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janet
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Posted - 15 July 2006 : 01:39:27
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lettera del Rev. G. Simon Harak alla Radio Pubblica Nazionale, in risposta ad una trasmissione della Savvy Feature intitolata "Dopo tutti questi anni"
Molte di queste informazioni possono essere trovate in "Issa Nakhleh, "Encyclopedia of the Palestinian Problem" (New York, NY: Intercontinental Books 1991).
Cara Viaggiatrice di Buon senso:
Nella sua "cartolina storica", che parla in massima parte di India, Maxine Davis scrive dei viaggi dei suoi genitori, ricordando: "I miei genitori videro Israele quando era ancora un deserto e il Giappone prima che vi arrivassero le auto".
Posso capire la parte riguardante il Giappone, ma in quale epoca esattamente i suoi genitori videro Israele quando era "ancora un deserto"?
Non puo' essere stato nel 1946. Questo e' l'anno in cui Walter C. Lowdermilk, Assistente Capo del Servizio per la Conservazione del suolo USA, esamino' la Palestina e la paragono' alla California, osservando pero' che "il suolo della Palestina era uniformemente migliore". [Palestine's Economic Future: A Review of Progress and Prospects_ (London, UK: Percy Lund Humphries and Co., Ltd., 1946), 19-23.]
Non puo' essere stato nel 1945, quando la Palestina aveva piu' di 600.000 dunum di terra piantata ad oliveti, i quali producevano circa 80.000 tonnellate di olive, e circa l' 1% della produzione MONDIALE di olio d'oliva [Statistical Abstract of Palestine, 1944-45 (Department of Statistics, Government of Palestine), 225], e produceva quasi 245.000 tonnellate di vegetali [A Survey of Palestine_, for the Anglo-American Committee of Inquiry, Vol.I, 325-26].
Non puo' essere stato nel 1943, quando la Palestina produceva 280.000 tonnellate di frutta, escluso i cedri [Statistical Abstract of Palestine, 1944-45_, 226].
Non puo' essere stato nel 1942, quando la Palestina produceva 305.000 tonnellate di grano e legumi [A Survey of Palestine, Vol.I, 320].
Non puo' essere stato nel 1939, quando la Palestina esporto' oltre 15 milioni di casse di cedri [ A Survey of Palestine, Vol. 1, 337].
Probabilmente i genitori della signora Davis visitarono la Palestina piu' di 60 anni fa. Allora poteva forse essere un deserto? Sicuramente non vi potevano trovare un deserto nei primi anni del 1900, perche' Moshe Dayan sottolineo' che "I villaggi ebrei furono costruiti al posto di quelli arabi ... Non c'e' un solo posto in questo paese che non avesse una precedente popolazione araba" [Ha'aretz_ Intervsta, 4 Aprile 1969 ].
Non puo' essere stato nel 1893. Questo e' l'anno in cui il console britannico avviso' il suo governo del valore degli alberi da frutto di Jaffa per migliorare la produzione in Australia e Sudafrica [citato in Marwan R. Beheiry, "The Agricultural Exports of Southern Palestine, 1885-1914," Journal of Palestinian Studies, Vol. 10, No. 4, 1981, p. 67].
Non puo' essere stato nel 1887, quando la visita di Lawrence Oliphant alla Valle di Esdralon lo fece meravigliare di fronte ad un "immenso lago verde di grano ondeggiante, da cui sbucavano villaggi come piccole isolette, una delle piu' sorprendenti immagini di fertilita' che si possano immaginare" [citato da Ibrahim Abu-Lughod, ed., The Transformation of Palestine_ (Chicago, IL: Northwestern Press, 1971) 126].
Non puo' essere stato in nessun periodo tra il 1856 ed il 1882, perche' il geografo tedesco Alexander Scholch scopri' che, in quegli anni, "la Palestina produce un surplus agricolo relativamente alto, che arrivava sui mercati dei paesi circostanti" [Alexander Scholch, "The Economic Development of Palestine, 1856-1882," _Journal of Palestinian Studies Vol 10, No. 3, 1981, 36-58].
E nel 1859, un missionario britannico descrisse la costa meridionale della Palestina come un "dorato mare di grano", osservando che "sembrava quasi una fattoria inglese" [citato da James Reilly, "The Peasantry of Late Ottoman Palestine," _Journal of Palestine Studies_, Vol. 10 No. 4, 1981, p. 84].
Non puo' essere stato nel 1856, quando Henry Gillman, console americano a Gerusalemme, suggeri' agli agricoltori d'agrumi della Florida, di imparare le tecniche d'innesto palestinesi [Beheiry, 75-76].
E sicuramente non puo' essere stato in nessun periodo tra il 18esimo ed il 17esimo secolo. Lo storico dell'economia francese Paul Masson riconosce che il contributo di grano proveniente dalla Palestina salvo' la Francia da numerose carestie [Beheiry, 67].
Forse e' stato prima? Sembra di no.
Nel 1615, l'inglese George Sandys descrisse la Palestina come "una terra in cui scorreva il latte e il miele", senza "alcun angolo privo di delizie o profitto" [citato in Richard Bevis, "Making the Desert Bloom: An Historical Picture of Pre-Zionist Palestine,"_The Middle East Newsletter_, Vol. 2, Feb.-Mar., 1971, p.4].
Nel tardo Decimo Secolo, un visitatore scriveva: "La Palestina e' bagnata da pioggie e rugiade. I suoi alberi ed i suoi campi non necessitano di irrigazione artificiale. La Palestina e' la piu' fertile delle provincie siriane" [Guy Le Strange, _Palestine under the Moslems_ (Beirut, Lebanon, Khayat, 1965), 28.].
Prima di morire nel 986 d.C., Muqaddisi, che visse a Gerusalemme, scrisse che i prodotti della Palestina "erano copiosi e rinomati: frutti d'ogni genere (olive, fichi, uva, prugne, mele, datteri, nocciole, mandorle, jojoba e banane), alcuni dei quali trasportati nei mercati esteri e coltivazioni per prodotti tessili (indico, sommacco)" [citato in Walid Khalidi, _Before Their Diaspora_ (Washington, DC: Institute for Palestine Studies, 1984), 28-29.].
Sembra dunque che la signora Davis ricordi un "deserto" che non e' mai esistito. Il punto e', chiaramente, che lei (e con lei, anche voi) sta solo propagandando una fabbricazione sionista, secondo cui essi "fecero fiorire il deserto", e , quindi, meritavano la terra da cui cacciarono i palestinesi.
Spero che la prossima volta non ci invitera', inavvertitamente, a viaggiare in terre che non sono mai esistite e non accettera' acriticamente una mitologia che nasconde la pulizia etnica.
Noi viaggiatori abbiamo bisogno di piu' buon senso, non crede?
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traduzione a cura di www.arabcomint.com
Un cuore non può bastare per due. Nulla è cambiato tranne il mio atteggiamento, così... tutto è cambiato. |
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janet
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Posted - 22 July 2006 : 18:04:50
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Israele/Palestina: 13° incontro internazionale delle donne in nero Da quale porta di Gerusalemme potrà entrare la pace? domenica 18 settembre 2005
:: Nadia Cervoni
Cinque straordinari giorni, dal 12 al 16 agosto a parlare di conflitti, occupazione, militarismo, strategie di resistenza non violenta, crimini di guerra contro le donne, patriarcato, sviluppo, politiche di genere, effetti della globalizzazione, eco-femminismo e tanto altro ancora. Tutto questo mentre le televisioni di tutto il mondo mandavano ininterrottamente le immagini degli 8.500 coloni di Gaza ancora increduli di essere proprio loro i prescelti per convincere il mondo che Sharon sta perseguendo una politica di pace.
Attenta è armato!
Giocavo a guardie e ladri da ragazzina, preferivo fare la ladra perché scappando difendevo la mia libertà, però il gioco mi costringeva a fare un po’ la ladra e un po’ la guardia. Le guardie nella fantasia del gioco erano armate. Nella realtà succede che i ladri si armano e diventano guardie. Quante guardie quella notte a Gerusalemme! Pistole infilate nella cinta e languite dall’abbraccio di bimbi attaccati ai pantaloni dei loro papà. Fucili a tracolla, qualche volta anche due insieme, portati da giovani, ragazzi e ragazze; ogni tanto una sosta per un saluto tra amici, pacche sulla spalla e il fucile dondola, soste sul muretto e il fucile si appoggia. Via vai incredibile di gente la notte tra il 14 e il 15 agosto. Gerusalemme dorme poco la notte, ma questa notte è speciale, domani scade il termine di uscita consenziente e super pagata dalle colonie di Gaza. Quasi 40 anni di vita, dalla guerra israeliana di invasione nel 1967, a costruire serre, case, muri, sinagoghe, recinti spinati e armati, insediamenti di coloni e insediamenti militari. Troppo pochi 40 anni per dimenticare che quelle terre sono state rubate, occupate, illegalmente e violentemente. Tantissimi 40 anni per chi abitava, coltivava, viveva su quelle terre, i palestinesi, cacciati, violentati, sradicati dalla loro terra come i loro alberi.
Nessuna di noi ha messo in valigia abiti arancioni perché è questo il colore scelto per indicare opposizione allo sgombero delle colonie a Gaza, il blu per dichiararsi d’accordo. Quella notte, nei giorni precedenti e nei giorni successivi, a Gerusalemme ce n’era tanto di arancione. I coloni arrivavano a frotte da tutti gli altri insediamenti della West Bank e di Gerusalemme, la maggioranza, per manifestare e per andare a pregare al Muro del pianto perché non accadesse ciò che era stato deciso. Nella notte dei coloni, cammino per Gerusalemme invasa.
Mi sfiora la canna di un fucile, come evitarla! Mi blocco, ho la sudarella, "attenta è armato, è armata". Chi, dove, quanti sono? Sono dentro le mura di Gerusalemme, sono sulle terrazze di Gerusalemme, sono davanti le porte di Gerusalemme, sono dentro le case, i caffè di Gerusalemme. Arrivo al Santo Sepolcro, la pietra è ancora calda, qui i cavalieri della notte non arrivano ma sono dovunque.
Non è solo una mia impressione, i cavalli sono altissimi, i loro cavalieri, militari addestrati più dei loro cavalli, si mostrano con i simboli della morte, armature e armi super tecnologiche, mi fanno paura con quelle luci fosforescenti dei loro manganelli applicate anche sulle selle dei cavalli. In coppia, tantissimi, i cavalieri s’infilano nei vicoli più stretti, ti sbucano davanti e quando mi passano accanto, in modo infantile, attaccata al muro, trattengo il respiro. Pregano in tanti quella notte, ma cosa, chi, come? Come se ne uscirà? Da quale porta di Gerusalemme potrà entrare la pace?
Ce lo chiediamo in tante al convegno internazionale delle Donne in Nero mentre ci raccontiamo e insieme cerchiamo strategie e condivisioni per resistere alla guerra e all’occupazione. Poche le donne palestinesi, soprattutto quelle che vivono nei territori occupati, eppure qualcuna ce l’ha fatta, non so come, sicuramente rischiando tantissimo. Per questo il convegno si sposta per un giorno a Ramallah dove tante donne palestinesi ci accolgono, però è la volta della mancanza delle donne israeliane. Straordinaria, emozionante e dolorosa la manifestazione al ceck point di Qalandya tra Gerusalemme e Ramallah. Un lungo ponte fatto con i nostri corpi, da una parte noi donne internazionali insieme alle Donne in nero israeliane e dall’altra ancora internazionali insieme a molte donne palestinesi. Sì, da una parte all’altra e in mezzo la mostruosità del muro. Sul pullman che ci sta portando a Qalandya, qualcuna dice al microfono che per arrivare al check point faremo la strada alternativa. “Non ci sono strade alternative”, mi dice Julien, una Donna in Nero ebrea che vive tra New York e Gerusalemme. "Ci sono solo strade dell’apartheid dove possono passare solo israeliani e coloni, i palestinesi non hanno nessuna strada alternativa se non i check point e il muro alto più di 9 metri". I palestinesi possono fare bandiere lunghe 9 metri e più, come quella del villaggio di Bi’lin, vicino a Ramallah, dove il muro sta sottraendo molti ettari di terra palestinese e dove dopo ogni manifestazione di protesta, i soldati israeliani entrano nel villaggio con tragiche sventagliate di mitra, ma non possono i palestinesi vivere in uno stato dell’apartheid. No, questo non sarà mai possibile e chi si ostina a perseguire e a sostenere la strada dell’apartheid, come unica via d’uscita, non può pretendere con ciò di sostenere la pace in Medio oriente. Lo abbiamo detto, la sola sicurezza è la pace, prima che sia troppo tardi, per gli uni e per gli altri, israeliani e palestinesi.
Il muro deve cadere!
C’è un muro che sta dividendo tutti noi, ogni scelta di stare dall’una e dall’altra parte è falsa, come sono false le ricchezze accaparrate, le democrazie consacrate, le verità assolute proclamate. Siamo donne e uomini a cui il dubbio è concesso, potremmo fare meglio. Volere è potere? Forse, ma di più “volere è amare”. Cara Virginia, "tra uccidere e morire" ci dici che si può scegliere di vivere. Vivere vuol dire amare? Una società incapace di amare si autodistrugge. Non voglio dedicare la mia vita a coltivare la categoria del nemico. Per questo ogni guerra, ogni terrorismo, ogni ingiustizia, ogni violazione di libertà, non è in mio nome. Ma non basta, lo abbiamo detto con forza a Gerusalemme, in israeliano, in arabo, in cambogese, in nigeriano, in spagnolo, in serbo-croato, in tutte le lingue dei 44 paesi da cui provenivamo. Io donna, violata per cultura e per storia, in ogni angolo del mondo mi trovi, non ci sto, e resisto perché la vita che voglio dare non mi venga scippata da assolutismi, fondamentalismi, colonialismi che invadono e devastano le menti e i corpi. Se mi vesto di nero, dentro ho mille colori; la mia politica non prevede bottoni di comando ma fili intrecciati, collegati, capaci di entrare nei meccanismi più sofisticati. Sono i fili di un’umanità dolente che vuole continuare ad avere voce e che non si arrende. Uno degli ultimi interventi del nostro convegno è stato di una donna palestinese," mi sono sentita abbracciata dalla vostra solidarietà. Dobbiamo essere sempre di più ma il nostro sforzo deve andare anche verso la qualità e l’efficacia del nostro agire" Luisa Morgantini il giorno prima a Ramallah ha chiuso il suo intervento con questo appello: "il muro deve cadere".
Sì, in Palestina e in Israele il muro deve proprio cadere e l’impegno che ci siamo prese è di cercare di impedire che ancora altri muri, dentro e fuori di noi, rendano prigioniere e impossibili le nostre vite.
E ora?Un passo avanti e tre indietro....
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janet
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Posted - 25 July 2006 : 01:17:40
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citazioni di Ben Gurion, Golda Meir, Rabin, Begin, Shamir, Netanyahu, Barak e Sharon (7 maggio 2004)
David Ben Gurion Primo Ministro d'Israele, 1949 - 1954, 1955 - 1963
"Noi dobbiamo espellere gli arabi e prenderci i loro posti." David Ben Gurion, 1937, Ben Gurion and the Palestine Arabs, Oxford University Press, 1985.
"Dobbiamo usare il terrore, l'assassinio, l'intimidazione, la confisca delle terre e l'eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba". David Ben-Gurion, Maggio 1948, agli ufficiali dello Stato Maggiore. Da: Ben-Gurion, A Biography, by Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978.
"Ci sono stati l'anti-semitismo, i nazisti, Hitler, Auschwitz, ma loro in questo cosa centravano? Essi vedono una sola cosa: siamo venuti e abbiamo rubato il loro paese. Perché dovrebbero accettarlo?" Riportato da Nahum Goldmann in Le Paraddoxe Juif (The Jewish Paradox), pp. 121-122.
"I villaggi ebraici sono stati costruiti al posto dei villaggi arabi. Voi non li conoscete neanche i nomi di questi villaggi arabi, e io non vi biasimo perché i libri di geografia non esistono più. Non soltanto non esistono i libri, ma neanche i villaggi arabi non ci sono più. Nahlal è sorto al posto di Mahlul, il kibbutz di Gvat al posto di Jibta; il kibbutz Sarid al posto di Huneifis; e Kefar Yehushua al posto di Tal al-Shuman. Non c'è un solo posto costruito in questo paese che non avesse prima una popolazione araba." David Ben Gurion, citato in The Jewish Paradox, di Nahum Goldmann, Weidenfeld and Nicolson, 1978, p. 99.
"Tra di noi non possiamo ignorare la verità ... politicamente noi siamo gli aggressori e loro si difendono ... Il paese è loro, perché essi lo abitavano, dato che noi siamo voluti venire e stabilirci qui, e dal loro punto di vista gli vogliamo cacciare dal loro paese." David Ben Gurion, riportato a pp 91-2 di Fateful Triangle di Chomsky, che apparve in "Zionism and the Palestinians pp 141-2 di Simha Flapan che citava un discorso del 1938.
"Se avessi saputo che era possibile salvare tutti i bambini della Germania trasportandoli in Inghilterra, e soltanto la metà trasferendoli nella terra d'Israele, avrei scelto la seconda soluzione, a noi non interessa soltanto il numero di questi bambini ma il calcolo storico del popolo d'Israele". David Ben-Gurion (Citato a pp 855-56 in Ben-Gurion di Shabtai Teveth).
Golda Meir Primo Ministro d'Israele, 1969 - 1974
"Non esiste una cosa come il popolo palestinese ... Non è come se noi siamo venuti e li abbiamo cacciati e preso il oro paese. Essi non esistono." Golda Meir, dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969.
"Come possiamo restituire i territori occupati? Non c'è nessuno a cui restituirli." Golda Meir, 8 marzo 1969.
"A tutti quelli che parlano in favore di riportare indietro i rifugiati arabi devo anche dirgli come pensa di prendersi questa responsabilità, se è interessato allo stato d'Israele. E bene che le cose vengano dette chiaramente e liberamente: noi non lasceremo che questo accada." Golda Meir, 1961, in un discorso alla Knesset, riportato su Ner, ottobre 1961
"Questo paese esiste come il compimento della promessa fatta da Dio stesso. Sarebbe ridicolo chiedere conto della sua legittimità." Golda Meir, Le Monde, 15 ottobre 1971
Yitzhak Rabin Primo Ministro d'Israele, 1974 - 1977, 1992 - 1995
"Uscimmo fuori, Ben-Gurion ci accompagnava. Allon rifece la sua domanda, `Che cosa si doveva fare con la popolazione palestinese?' Ben-Gurion ondeggi? la mano in un gesto che diceva `cacciateli fuori!" Yitzhak Rabin,versione censurata delle memorie di Rabin, pubblicata sul New York Times, 23 ottobre 1979.
"[Israele vorrà] creare nel corso dei prossimi 10 o 20 anni le condizioni per attrarre naturalmente e volontariamente una migrazione dei rifugiati dalla striscia di Gaza e dalla Cisgiordania verso la Giordania. Per ottenere questo dobbiamo arrivare ad un accordo con Re Hussein e non con Yasser Arafat." Yitzhak Rabin (un "Principe di Pace" secondo Clinton), spiega il suo metodo di pulizia etnica dei territori occupati senza sollevare scalpore nel mondo. (Riportato da David Shipler sul The New York Times, 04/04/1983 citando i commenti di Meir Cohen al comitato affari esteri e difesa della Knesset del 16 marzo.)
Menachem Begin Primo Ministro d'Israele, 1977 - 1983
"[I palestinesi] sono bestie che camminano su due gambe." Discorso alla Knesset di Menachem Begin Primo Ministro israeliano, riportato da Amnon Kapeliouk, "Begin and the 'Beasts'," su New Statesman, 25 giugno 1982.
"La divisione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta ... Gerusalemme è e sarà per sempre la nostra capitale. Eretz Israel verrà ricostruito per il popolo d'Israele. Tutta quanto. E per sempre." Menachem Begin, il giorno dopo il voto all'ONU sulla divisione della Palestina.
Yizhak Shamir Primo Ministro d'Israele, 1983 - 1984, 1986 - 1992
"I vecchi dirigenti del nostro movimento ci hanno lasciato un chiaro messaggio di prendere Eretz Israel dal mare al fiume Giordano per le future generazioni, per un'aliya di massa (=immigrazione ebraica), e per il popolo ebraico, che tutto quanto sarà radunato in questo paese." Dichiarazione dell'ex primo Ministro Yitzhak Shamir al ricordo funebre dei primi dirigenti del Likud, novembre 1990. Servizio locale di Radio Gerusalemme.
"Determinare la terra d'Israele è l'essenza del sionismo. Senza determinazione, noi non realizziamo il sionismo. E' semplice." Yitzhak Shamir,su Maariv, 02/21/1997
"(I palestinesi) saranno schiacciati come cavallette... con le teste sfracellate contro i massi e le mura." Yitzhak Shamir a quel tempo Primo Ministro d'Israele in un discorso ai coloni ebrei, New York Times, 1 aprile 1988
Benjamin Netanyahu Primo Ministro d'Israele, 1996 - 1999
"Israele avrebbe dovuto approfittare dell'attenzione del mondo sulla repressione delle dimostrazioni in Cina, quando l'attenzione del mondo era focalizzata su quel paese, per portare a termine una massiccia espulsione degli arabi dei territori." Benyamin Netanyahu, allora vice ministro degli esteri, ex Primo Ministro d'Israele, in un discorso algi studenti della Bar Ilan University, dal giornale israeliano Hotam, 24 novembre 1989.
Ehud Barak Primo Ministro d'Israele, 1999 - 2001
" I palestinesi sono come coccodrilli, più gli date carne, più ne vogliono".... Ehud Barak, a quel tempo Primo Ministro d'Israele - 28 agosto 2000. Apparso su Jerusalem Post, 30 agosto, 2000
"Se pensassimo che invece di 200 vittime palestinesi, 2.000 morti metterebbero fine agli scontri in un colpo, dovremmo usare più forza...." Il Primo Ministro israeliano Ehud Barak, citato dall'Associated Press, 16 novembre 2000.
"Sarei entrato in un'organizzazione terroristica." risposta di Ehud Barak a Gideon Levy, giornalista del quotidiano Ha'aretzr, quando chiese a Barak che cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese.
Ariel Sharon Primo Ministro d'Israele, 2001 - ad oggi
"E' dovere dei dirigenti d'Israele spiegare all'opinione pubblica, chiaramente e coraggiosamente, un certo numero di fatti che col tempo sono stati dimenticati. Il primo di questi è che non c'è sionismo, colonizzazione, o Stato Ebraico senza lo sradicamento degli arabi e l'espropriazione delle loro terre." Ariel Sharon, Ministro degli esteri d'Israele, parlando ad una riunione di militanti del partito di estrema destra Tsomet, Agenzia France Presse, 15 novembre 1998.
"Tutti devono muoversi, correre e prendere quante più cime di colline (palestinesi) possibile in modo da allargare gli insediamenti (ebraici) perché tutto quello che prenderemo ora sarà nostro... Tutto quello che non prenderemo andrà a loro." Ariel Sharon, Ministro degli esteri d'Israele, aprendo un incontro del partito Tsomet Party, Agenzia France Presse, 15 novembre 1998.
"Ogni volta che facciamo qualcosa tu mi dici che l'America farà questo o quello...devo dirti qualcosa molto chiaramente: Non preoccuparti della pressione americana su Israele. Noi , il popolo ebraico, controlliamo l'America, e gli americani lo sanno." Ariel Sharon, Primo Ministro d'Israele, 31 ottobre 2001, risposta a Shimon Peres, come riportato in un programma della radio Kol Yisrael.
"Israele può avere il diritto di mettere altri sotto processo, ma certamente nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato d'Israele." Ariel Sharon, Primo Ministro d'Israele, 25 marzo 2001 citato dalla BBC News Ondine.
fonte: slava1@aliceposta.it da www.pane-rose
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janet
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Posted - 07 August 2006 : 00:12:13
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Yad Vashem- museo dell´Olocausto di Gerusalemme
Lettera di un ebreo a Israele Moni Ovadia
Yad Vashem è il museo dell´Olocausto di Gerusalemme, il sacrario della Shoah, ma per gli israeliani è ben altro che questo. Quel luogo è per molti aspetti, il topos del senso stesso dell´esistenza di Israele come stato ebraico. Ogni cittadino, ogni fanciullo, ogni soldato, si reca in pellegrinaggio in quel luogo per assumere il pieno statuto identitario di ebreo israeliano. Ogni persona, dal semplice turista o viaggiatore, al più illustre politico in visita in Israele, quale che sia la ragione della sua presenza, sa che ha il dovere di rendere omaggio alle vittime dello sterminio nazista recandosi a Yad Vashem.
Con quel solenne pellegrinaggio, il visitatore riconosce il suggello con cui lo stato d'Israele assume su di sé un'intera eredità. Per un grandissimo numero di ebrei che si riconoscono nelle istituzioni ufficiali, Israele diviene acriticamente e senza mediazioni, passato, presente e futuro. Per essi la diaspora perde significato in sé per divenire appendice di un ritorno in pectore anche se procrastinato sine die. Di fatto, essi si sentono israeliani in standby.
Le recenti drammatiche vicende mediorientali, richiedono una rimessa in questione di questi assetti israelo-ebraici e delle dinamiche psicologico-culturali che vi sottostanno. Il movimento sionista ha avuto fra i suoi obbiettivi primari quello di normalizzare gli ebrei, collocandoli in una terra con la quale avevano un'antico legame e facendone un popolo come gli altri. Quando il primo ebreo fu arrestato per furto e messo in prigione nella neonata entità statuale ebraica, il padre fondatore e primo capo del governo, David Ben Gurion, esultò: «Siamo un paese normale!». Mai affermazione fu più rovinosamente scentrata. Israele è tutto fuorché un paese «normale». La sua collocazione geografica è in Medio Oriente ma in questo momento la sua vocazione è occidentale. Per certi aspetti potrebbe essere uno stato degli Stati Uniti, anche se più di metà della sua popolazione viene da stati arabi e il 17% di essa è arabo-palestinese. La sua politica, in grande misura coincide con quella delle amministrazioni americane. È stato fondato da scampati alle persecuzioni antisemite zariste e degli stati autoritari centro-orientali e da sopravvissuti alla Shoà, ha piena dunque titolarità a quella eredità, ma gli ebrei sterminati dai nazisti erano quanto c'è di più lontano da quello che è oggi l'ebreo israeliano. Quelli parlavano lo yiddish ed erano a proprio agio in molte altre lingue, vivevano a cavallo dei confini, erano cosmopoliti, ubiqui, inquieti, refrattari alle logiche militari, poco interessati, quando non ostili ai nazionalismi, erano smunti, fragili, dediti allo studio, alle professioni liberali, intellettuali, al piccolo o grande commercio, appartenevano alla categoria dei paria perseguitati emarginati, erano dalla parte degli sconfitti. L'israeliano delle nuove generazioni si esprime in ebraico moderno, una lingua costruita desantificando l'ebraico biblico e piegandolo alle esigenze di una nazione e la sua seconda lingua è l'inglese.
L'israeliano sta con i vincitori, è forte, determinato, orgogliosamente nazionale, militarmente molto preparato, capace di essere agricoltore e soldato quanto intellettuale e tecnico, ma anche taxista, ingegnere, negoziante o impiegato, operaio e persino occupante e poliziotto di un altro popolo, cosa inconcepibile per un ebreo della diaspora che subì lo sterminio.
Oggi, che nuovamente un leader fanatico di un paese islamico chiede la cancellazione dello stato sionista dalla carta geografica, in Israele e nella diaspora, si evoca il legame con la Shoà in modo univoco e schematico quasi a volere stabilire un parallelo inaccettabile con il ghetto di Varsavia. Ma ancorché Israele viva in stato di grande difficoltà e subisca il terrorismo e l'aggressione di Hezbollah sulla carne della propria gente, pensare di rappresentare la tragica eredità dello sterminio solo con un modello rigido per giustificare l'uso indiscriminato della propria soverchia forza militare e radere al suolo intere città provocando quasi esclusivamente morti civili, è scambiare etica per propaganda.
Se Israele vuole assumere l'eredità di quell'ebraismo ridotto in cenere, deve assumerne la piena eredità morale, cessare di vessare ed imprigionare un altro popolo, diventare più piccolo, molto più democratico, abbandonare la mistica della potenza, diventare leader del processo di pace ed assumere la funzione di ponte fra occidente e Medio Oriente.
Pubblicato il 05.08.06- L'unità
«Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l'arte di vivere come fratelli.»Martin Luther King «L'umanità deve mettere fine alla guerra, o la guerra metterà fine all'umanità.»John F. Kennedy
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janet
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Posted - 28 September 2006 : 00:18:22
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I SOGNI DEI BAMBINI PALESTINESI
Si svegliano urlando, con le lenzuola avvolte intorno alle gambe, o, terrorizzati, tremano sotto le coperte: le notti dei bimbi palestinesi sono sconvolte dalla repressione israeliana della rivolta iniziata 10 mesi fa.
I loro sonni non sono disturbati da streghe e mostri, ma da elicotteri israeliani, mitragliatrici, soldati in assetto da guerra e carrarmati.
Quelli non direttamente esposti ai combattimenti, hanno visto le immagini grafiche del sangue attraverso la televisione.
Un ragazzo palestinese sogna di restare decapitato da un missile israeliano mentre torna a casa da scuola, zainetto in spalla.
Una bambina 11enne sogna di far esplodere le bombe strette intorno al suo corpo di fronte al primo ministro israeliano Sharon ed al suo predecessore, Barak: I due muoiono dilaniati, mentre lei, miracolosamente, sopravvive.
Lo psicologo clinico palestinese dottor Shafiq Masalha ha collezionato circa 300 sogni, stabilendo che il 78% dei bambini palestinesi fanno sogni che hanno a che fare con la politica, mentre il 15% sogna di morire come martire.
Il dottor Masalha ha dato a 150 bambini di diversi campi profughi della Cisgiordania, libri da colorare e matite con cui documentare I loro sogni, attraverso il racconto scritto e attraverso il disegno.
Ha poi decifrato I quaderni pieni di figure, colorati di rosso e nero, rappresentanti la potenza israeliana contrapposta al coraggio palestinese.
Molti di essi si dipingono come eroi, coloro che riusciranno a mettere fine all'occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza.
Una bambina 11enne ha sognato di trovare un missile israeliano inesploso e di averlo usato per colpire un insediamento di coloni. "Molti israeliani sono morti nell'attacco. Vedendo il missile che io avevo trovato, la polizia imparo' a costruirne e, ogni notte, con essi, colpivano gli insediamenti, finche' I coloni scapparono", scrive la bimba.
Masalha ha detto che molti disegni terminavano con la frase: "Vorremmo essere come tutti gli altri bambini".
Lo psicologo sostiene che la miseria causata dall'assedio israeliano e la morte di quasi 570 palestinesi, dozzine di essi adolescenti, spaventano I bambini dei Territori occupati.
La televisione contribuisce a dilatare il trauma. Il dottor Iyyad al Sarraj del Centro di Salute mentale di Gaza, ha messo in guardia le autorita' circa la pericolosita', per la salute mentale dei bambini, della messa in onda di scene devastanti in ore non consone.
Il campo profughi di Aida, presso Betlemme, e' la casa di centinaia di bambini palestinesi le cui notti sono terrorizzate dalle scene di violenza vissute durante il giorno, nel quotidiano confronto con le forze d'occupazione.
La loro scuola e' nei pressi di un sito che conserva le spoglie della matriarca biblica Rachele, ed e' percio' presidiato da militari israeliani. I colpi sparati dai militari colpiscono spesso le pareti della scuola.
L'assistente sociale Iman Saleh aiuta I bambini traumatizzati a controllare le loro paure ed insegna loro tecniche di sopravvivenza quali stendersi sul pavimento allorche' la scuola e' presa di mira, o canzoni che li distraggano dal suono delle pallottole.
Molte mamme si rivolgono a lei preoccupate del fatto che I loro figli bagnano il letto, non si impegnano abbastanza nello studio, ingaggiano lotte libere a scuola o a casa. Le loro vite sono immerse nella rivolta.
"Prima dell'Intifada, la loro vita era quasi normale", sostiene Iman. "Ora vogliono solo giocare a palestinesi contro soldati". Alcuni bambini giocano a lanciare pietre, altri, armati con attrezzi piu' professionali, quali fionde simboleggianti armi automatiche, fingono di essere soldati.
Il dottor Sarraj ritiene che I bambini che assistono alle scene di violenza attraverso la TV non sono psicologicamente rovinati, ma turbati e fortemente spaventati.
Quelli le cui case sono state demolite dai bulldozers israeliani, che hanno visto gente morire o che hanno avuto lutti in famiglia sono realmente sottoposti a traumi pericolosi.
Essi esprimono il trauma attraverso un mutamento del comportamento che si evince da una forma di violenza contro se stessi. Molti sono preoccupati per il loro rendimento scolastico, non riescono a concentrarsi sullo studio e, come sintomo cardinale, soffrono di enuresi notturna.
Sarraj, che guida otto centri di igiene mentale a Gaza, ritiene che, se non si corre prontamente ai ripari, questa situazione influenzera' la societa' palestinese di domani.
I BAMBINI CRESCONO IN UNA PENTOLA A PRESSIONE
Il dottor Sarraj sostiene che la societa' palestinese e' come una pentola a pressione per I bambini, che crescono con una intensa coscienza politica, specie dall'inizio dell'Intifada.
Il blocco militare israeliano ha rafforzato I legami all'interno delle comunita'.
"Non abbiamo un'adolescenza innocente", dice Sarraj, aggiungendo che I bambini "sono molto politicizzati e molto influenzati dalla situazione a cui sono esposti".
Al campo profughi di Aida, la 13enne Shatha Yusef vuole diventare ingegnere agricolo per "impedire la confisca delle terre da parte di Israele". Suo fratello Sarey, di nove anni, vuole diventare un combattente degli Hezbollah. I sogni di entrambi sono disturbati. Shatha sogna spesso che un bimbo di Gaza ucciso all'inizio della rivolta le chiede aiuto.
Suo fratello sogna il corpo del suo amico Mota'z coperto di pallottole pendente da una trave. Saray ha visto effettivamente il corpo del suo compagno di giochi ucciso dagli israeliani alcuni mesi fa, in televisione, sepolto come un giovane eroe palestinese.
A volte esprime il desiderio di diventare martire come Mota'z, altre di diventare soldato "per proteggere le case palestinesi dalle demolizioni dei soldati israeliani. Mio padre mi ha detto che I martiri vanno in paradiso, cosi' io gli ho detto che, quando avro' 17 anni, andro' fuori a tirare pietre".
Sarraj afferma che I bambini palestinesi ritengono il martirio per la causa del loro popolo come "l'ideale piu' alto". "E' una forma di glorificazione ammessa dalla societa'. Finche' vi e' l'occupazione israeliana, finche' vi sono gli insediamenti vi saranno anche giovani pronti a morire e a diventare bombe umane".
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«Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l'arte di vivere come fratelli.» Martin Luther King «L'umanità deve mettere fine alla guerra, o la guerra metterà fine all'umanità.» John F. Kennedy
"Lasciatemi essere un uomo libero, libero di viaggiare, libero di fermarmi, libero di lavorare, libero di commerciare come mi pare libero di scegliermi i miei maestri, libero di seguire la religione dei miei padri, libero di pensare, e di parlare e di agire"; Capo Giuseppe -Hein-mot Too-ya-la-kekt =Tuono che Rotola dalla Montagna |
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janet
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Posted - 13 October 2006 : 01:20:39
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Usate armi chimiche a Gaza? 11 Lug 2006 15:34
Usate armi chimiche a Gaza?
Fonti: al Jazeera e PCHR-Gaza – data: 11 Luglio 2006
51 palestinesi uccisi dall’inizio dell’operazione militare Summer Rain, oltre ad altri tre civili morti perché intrappolati nella no-men’s-land tra Rafah e Gaza. Un soldato israeliano morto forse per “fuoco amico” e uno fatto prigioniero il 25 Giugno. A Gaza una crisi umanitaria senza precedenti con code per i rifornimenti di cibo e acqua. Attacchi deliberati sui civili da parte dell’esercito israeliano. Dopo l’uccisione della famiglia Hajjaj a Shejaiya (madre, una figlia di 6 anni e un figlio di 20) si è aggiunto ieri, 10 Luglio, l’attacco deliberato a 4 ragazzini che si trovavano nel campetto di calcio vicino a casa. Un aereo dell’aviazione israeliana ha lanciato un missile che ha colpito in mezzo ai ragazzi uccidendone istantaneamente tre e disperdendone i resti a causa dell’esplosione. Il quarto è rimasto ferito in modo serio. Secondo quanto riportato dal Centro per i diritti umani di Gaza (PCHR-Gaza) i morti sono stati identificati in: Mahfouth Farid Nuseir, Ahmas Ghalib Abu Amasha e Ahmad Fathi Shabat, tutti e tre di 16 anni. Anche il ferito, Raji Omar Diefallah ha 16 anni. Distruzione di case e di infrastrutture come forme di punizione collettiva severamente proibita dalla IV Convenzione di Ginevra questo il bilancio della “moralità” dell’esercito israeliano. E ora secondo quanto riportato da al Jazeera, il ministero della Sanità palestinese ha rivelato lunedì che l’esercito israeliano sta usando un nuovo tipo di esplosivo e che per questo chiede alla comunità internazionale di inviare staff medici a Gaza per verificare l’ipotesi di un uso di armi proibite sui civili. Nella sua offensiva sulla Striscia di Gaza Israele potrebbe avere usato sostanze esplosive e tossiche radioattive provocano ustioni interne sui corpi delle vittime e malformazioni a lungo termine. La maggior parte dei feriti che arrivano negli ospedali di Gaza sono stati colpiti in enormi esplosioni che in molti casi hanno causato bruciature e amputando le estremità. Già 12 dei feriti hanno dovuto subire l’amputazione di arti. La testimonianza del dottor al Saqqa dell’ospedale Shifa di Gaza City raccolta da al Jazeera dice che un gran numero di cadaveri giunti in ospedale erano stati fatti a pezzi e completamente bruciati e anche i corpi dei feriti presentano bruciature estese che i medici gestiscono con difficoltà per il fatto di non averle mai viste prima. Addirittura pare che perfino i parenti non siano stati in grado di identificare molti dei cadaveri a causa delle bruciature. Passati ai raggi X i corpi delle vittime, sia cadaveri che feriti, non presentavano tracce di schegge o proiettili, per questa ragione si è dedotto che possano essere state usate armi in grado di produrre bruciature di natura chimica o di natura sconosciuta. Oltre il 25% dei feriti sono bambini sotto i 16 anni. Israele non è nuovo per l’utilizzo di armi proibite dalla Convenzione di Ginevra nella Striscia di Gaza. Rapporti ben documentati di giornalisti ed organizzazioni per i diritti umani come B’tselem hanno denunciato l’uso di armi a frammentazione come “le flechettes” che aggiungevano al potere esplosivo dei missili una pioggia di chiodi di varie dimensioni capaci di distruggere tutto quanto incontrano nella loro corsa e di fare “macelleria” dei corpi umani. Molti dei feriti dalle flechettes sono stati colpiti proprio nel nord della Striscia di Gaza tra Beit Lahya e Beit Hanoun durante l’initifadah. L’utilizzo di armi di nuova generazione in Iraq e Afghanistan sulla popolazione civile dovrebbe mettere in guardia la comunità internazionale sul pericolo di orribili crimini contro l’umanità a Gaza.
A cura di Patrizia Viglino
«Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l'arte di vivere come fratelli.» Martin Luther King «L'umanità deve mettere fine alla guerra, o la guerra metterà fine all'umanità.» John F. Kennedy
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janet
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Posted - 16 November 2006 : 01:16:44
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MAHMUD DARWISH
Poeta della resistenza
Mahmud Darwish nacque ad Al-Birwah, presso la citta' d'Akka, in Palestina, nel 1941. Nel 1948 il suo villaggio fu attaccato dai Sionisti e la sua popolazione si disperse in altri luoghi. Il futuro poeta e la sua famiglia ripararono in Libano. Un anno dopo, tornati in Palestina, trovarono il villaggio completamente distrutto, ed al suo posto un insediamento ebraico. Darwish scrisse la sua prima poesia quando frequentava la scuola elementare, nel villaggio di Der-el-Asad. Fu detenuto nelle carceri israeliane, e molte volte fu costretto agli arresti domiciliari, a causa dei suoi scritti e della sua attivita' patriottica. Cio' non gli permise di frequentare l'Universita'. Nel 1970 fu a Mosca, e da qui, nel 1971, si trasferi' al Cairo. Fu a capo del Centro di ricerca Palestinese, editore del giornale Palestinian Affaire Magazine, direttore dell'Associazione degli Scrittori e Giornalisti Palestinesi, fondatore del giornale dell'Associazione, Al Karmil Magazine e, piu' tardi, membro della Commissione Esecutiva dell'OLP, da cui si dimise nel 1993.
CARTA D'IDENTITA'
Ricordate!
Sono un arabo
E la mia carta d'identita' e' la numero cinquantamila
Ho otto bambini
E il nono arrivera' dopo l'estate.
V'irriterete?
Ricordate!
Sono un arabo,
impiegato con gli operai nella cava
Ho otto bambini
Dalle rocce
Ricavo il pane,
I vestiti e I libri.
Non chiedo la carità alle vostre porte
Ne' mi umilio ai gradini della vostra camera
Perciò, sarete irritati?
Ricordate!
Sono un arabo,
Ho un nome senza titoli
E resto paziente nella terra
La cui gente è irritata.
Le mie radici
furono usurpate prima della nascita del tempo
prima dell'apertura delle ere
prima dei pini, e degli alberi d'olivo
E prima che crescesse l'erba.
Mio padre…viene dalla stirpe dell'aratro,
Non da un ceto privilegiato
e mio nonno, era un contadino
ne' ben cresciuto, ne' ben nato!
Mi ha insegnato l'orgoglio del sole
Prima di insegnarmi a leggere,
e la mia casa e' come la guardiola di un sorvegliante
fatta di vimini e paglia:
siete soddisfatti del mio stato?
Ho un nome senza titolo!
Ricordate!
Sono un arabo.
E voi avete rubato gli orti dei miei antenati
E la terra che coltivavo
Insieme ai miei figli,
Senza lasciarci nulla
se non queste rocce,
E lo Stato prenderà anche queste,
Come si mormora.
Perciò!
Segnatelo in cima alla vostra prima pagina:
Non odio la gente
Né ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamato
La carne dell'usurpatore diverrà il mio cibo.
Prestate attenzione!
Prestate attenzione!
Alla mia collera
Ed alla mia fame!
«Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l'arte di vivere come fratelli.» Martin Luther King «L'umanità deve mettere fine alla guerra, o la guerra metterà fine all'umanità.» John F. Kennedy
"Lasciatemi essere un uomo libero, libero di viaggiare, libero di fermarmi, libero di lavorare, libero di commerciare come mi pare libero di scegliermi i miei maestri, libero di seguire la religione dei miei padri, libero di pensare, e di parlare e di agire"; Capo Giuseppe -Hein-mot Too-ya-la-kekt =Tuono che Rotola dalla Montagna |
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