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janet
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Posted - 02 August 2005 :  00:34:40  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando

Le colonie: Gerusalemme
di Nadhmi al-Ju'beh*


Gerusalemme e' l'emblema ed il simbolo della colonizzazione israeliana della Palestina. Scavi archeologici trentennali non hanno portato alla luce alcun reperto che possa far pensare ad una presenza ebraica signiicativa nell'area, eppure questa citta', cuore pulsante della Palestina storica, viene illegalmente rivendicata da Israele.
Nel 132 l’imperatore Adriano aveva proibito agli ebrei di abitare a Gerusalemme. Tale divieto rimase in vigore fino al 636, anno della conquista islamica della città. Ci fu una limitata presenza ebraica a partire da quell’anno e fino alla conquista crociata nel 1099, quando gli abitanti di Gerusalemme, compresi gli ebrei, furono massacrati dai crociati. Una nuova presenza ebraica, sporadica e limitata, si segnala a partire dai secoli XIII e XIV, ma è dal 1860 che ci fu un aumento dell’immigrazione di ebrei nella Città vecchia. Si potrebbe attribuire questa crescita a una maggiore pressione sulle comunità ebraiche in Europa e alla comparsa, sempre in Europa, di movimenti che preludevano alla nascita del sionismo.
Il piccolo e storico Quartiere ebraico divenne sovraffollato. I nuovi arrivati cominciarono a trovare alloggio nei quartieri vicini. In questo modo il Quartiere ebraico si allargò. Ma l’affluenza di ebrei nella Città vecchia diminuì per la crescita di quartieri nuovi fuori le mura, dove i servizi erano più moderni, e forse anche per l’aumento della tensione tra gli abitanti autoctoni palestinesi e gli stranieri ebrei man mano che il progetto sionista prendeva piede (anni 1921, 1926, 1929).


Nel 1948 la situazione demografica nella Città vecchia era la seguente:
- totale abitanti: 36.000, - palestinesi (musulmani e cristiani): 33.600, - ebrei: 2.400.
Con la guerra del 1948 furono espulsi gli 80.000 abitanti palestinesi dei quartieri occidentali della città di Gerusalemme [fuori le mura] caduti sotto l’occupazione israeliana, mentre dai quartieri orientali [dentro e fuori le mura] caduti sotto controllo giordano, circa 4.000 ebrei si spostarono nei quartieri occidentali. Il Quartiere ebraico, rimasto disabitato, fu posto sotto l’amministrazione del governo giordano. Alcuni palestinesi profughi andarono ad abitarci.
L’occupazione israeliana della Città Vecchia durante la guerra del 1967 Il progetto israeliano per acquisire il dominio sulla Città vecchia è di gran lunga precedente alla sua occupazione. Il progetto prevedeva meccanismi di controllo delle aree limitrofe e l’insediamento di coloni in esse.
1. La prima fase.
La prima fase fu messa in opera appena conclusa l’occupazione militare della città e prima che ci fossero reazioni a livello locale, regionale o internazionale. Si può ricostruire questa prima fase attraverso alcune iniziative.
1.1. Il Quartiere maghrebino. Conclusa l’occupazione militare della Città vecchia, ci fu un dibattito sul futuro di alcune parti della Città vecchia tra i generali israeliani e alcuni rabbini. Il dibattito si concluse con la decisione di allargare la piazza davanti al Muro del Pianto, che fino a quel momento era di appena 120 metri quadrati. Non ebbero seguito le richieste di alcuni rabbini e in particolare di Goren, rabbino capo dell’esercito israeliano nel 1967, di distruggere la Cupola della Roccia e la moschea al-Aqsa, per costruire al loro posto il Terzo Tempio.
La mattina dell’11 giugno 1967 le ruspe cominciarono a demolire il Quartiere maghrebino. Dopo appena quattro giorni dalla caduta della Città vecchia sotto l’occupazione militare, l’opera di demolizione era compiuta.
Il quartiere storico, costruito nel XII secolo, non esisteva più. Agli abitanti erano state date tre ore per evacuarlo. Furono scacciate 135 famiglie, circa 650 persone. Tra le vittime si contano, oltre a numerosi edifici storici, il particolare patrimonio architettonico andaluso che ha accompagnato la nostra vita cittadina per 900 anni. L’area del Quartiere maghrebino demolito era di 10.000 metri quadrati, che andarono a far parte dell’enorme piazza creata a ridosso dell’area sacra della moschee. La nuova piazza serve sia per le celebrazioni israeliane, sia a creare una contiguità tra il Quartiere ebraico e il muro del Buraq [muro dell’Ascensione muhammadiana, o del Pianto], prima impedita dall’esistenza del Quartiere maghrebino.
1.2. Svuotamento del Quartiere ebraico. Nel 1948, gli ebrei possedevano circa il 15% dell’area del quartiere, e questo era costituito da 105 edifici, su un totale di 700, e tutto l’insieme veniva definito con l’espressione ’Quartiere ebraico’. Le proprietà ebraiche nella Città vecchia costituivano lo 0,6% del totale dell’area edificata. Queste proprietà erano distribuite in 192 immobili di varie dimensioni [intendendo per immobile qualsiasi singola proprietà immobiliare, sia che si tratti di terreno, di singolo locale o di un edificio intero].


Nell’aprile 1968, a 10 mesi dall’occupazione, il governo israeliano, con un ordine del ministro del Tesoro, sequestrò 29 ettari nella Città vecchia al fine di «ricostruire il Quartiere ebraico».Nell’area sequestrata vivevano 550 abitanti [ovviamente palestinesi]. Il sequestro avvenne in base a una legge del governo mandatario [britannico] del 1943 che autorizzava il sequestro di immobili «per utilità pubblica». Con questo sequestro il nuovo Quartiere ebraico raddoppiò la sua area rispetto a quella del 1948. Nel 1975 vi si erano insediati 1500 ebrei. Oggi l’area del Quartiere ebraico è quattro volte più grande di quella del 1948 dato che occupa il 15% dell’area dell’intera Città Vecchia. Nel nuovo Quartiere Ebraico non ci sono abitanti non ebrei. Una sentenza dell’Alta corte di Giustizia israeliana vieta ai non ebrei di abitarvi al fine di «garantire la convivenza e la pace interna della città».
Chi lo visita oggi può immediatamente notare come il nuovo Quartiere ebraico, sotto il profilo architettonico, non si armonizzi con gli altri quartieri della Città vecchia, ne deturpi l’armonia, e che, oltretutto, non vi si svolga una vita naturale, poiché, si può ben vedere, si tratta di uno strumento politico e propagandistico, cioè di un vero e proprio ‘ghetto’ creato dagli ebrei stessi. Si puo' notare peraltro che Gerusalemme, nonostante il ‘luccicante’ Quartiere ebraico, sia ancora una città araba, e che tutti gli altri quartieri conservino la vitalità e il carattere arabo-orientale.


1.3. Gli scavi israeliani. L’archeologia ha avuto un ruolo fondamentale nella creazione della leggenda di una continuità storica della presenza ebraica in Palestina. Gli scavi archeologici hanno tuttora un duplice obiettivo: da una parte servono a emarginare sempre di più la presenza palestinese con l’incremento delle aree dichiarate «aree protette di interesse storico», che servono anche come attrazione turistica. Per altro verso gli scavi archeologici servono a contrapporre la presenza ebraica a quella araba, cristiana e musulmana, cioè alle chiese, alle moschee, alle case e ai mercati arabi che costituiscono la città stessa. L’area maggiormente interessata dagli scavi archeologici è la parte sud occidentale dell’Area sacra [delle moschee], che ha visto una particolare attività tendente a cercare i resti del Tempio. Gli scavi hanno portato a scoperte di straordinaria importanza, ma tutte sono relative alla presenza araba nella città, di epoca omayyade (secoli VII e VIII). Sono stati scoperti quattro palazzi omayyadi e decine di edifici romani e bizantini. Gli scavi si sono estesi fino a interessare l’intera città, ma non hanno portato a nessuna scoperta significativa sulla storia ebraica. Dalla fine degli anni sessanta è cominciata un’intensa attività di scavo sotto il livello delle fondamenta degli edifici storici, è stata creata cosi' la famosa ‘galleria’, inaugurata nel settembre 1996 dall’allora primo ministro israeliano Netanyahu. Lo scavo e l’inaugurazione della galleria hanno portato a manifestazioni di protesta, con il massacro dei manifestanti che ne è seguito.
In realtà questi scavi non tendono a una maggiore conoscenza della storia antica di Gerusalemme, in parte già acquisita nell’ultimo secolo e mezzo, mirano piuttosto al controllo del sottosuolo della città e in particolare al controllo dell’Area sacra [delle moschee].
1.4. Sequestro della Madrasa al-Tankiziyya. Questo edificio, costruito nel 1336 e considerato uno dei grandi capolavori dell’architettura islamica, si affaccia sul muro occidentale dell’Area sacra [delle moschee]. Fu sequestrato nel 1969 e trasformato in caserma dell’esercito israeliano. Dal terrazzo di questo edificio i soldati israeliani sparano sui fedeli che si fermano a pregare e su eventuali manifestazioni di protesta: da quel terrazzo hanno sparato contro i manifestanti nel settembre 1996 provocando una strage, e da qui hanno continuato a sparare nel corso della seconda Intifada.


1.5. Sequestro di altri edifici. Il governo israeliano ha continuato nel tempo a sequestrare edifici nella Città vecchia, con pretesti vari, tra cui i famosi ‘motivi di sicurezza’. Se viene ucciso un israeliano l’intera area viene posta sotto sequestro. Sono stati sequestrati cosi' gli edifici che si affacciano sul muro del Pianto. Altri immobili sono stati sequestrati in base alla legge sulle «proprietà degli assenti» [cioè dei palestinesi], e cosi' via.
2. La seconda fase Si puo' affermare che l’ascesa al potere del Likud, nel 1977, abbia segnato l’inizio di una nuova fase nell’attuazione del progetto israeliano di domino sulla Città vecchia. Con i governi del Likud, la politica di colonizzazione della città ha seguito alcune direttive, che si ispirano sia alla parola d’ordine lanciata da Menahem Begin, primo likudista a essere capo del governo israeliano, per cui «gli ebrei hanno il diritto di insediarsi a Gerusalemme ovunque vogliano», sia alla parola d’ordine di Teddy Kollek, ex sindaco israeliano laburista della città, secondo cui la colonizzazione israeliana «è necessaria alla convivenza pacifica tra arabi ed ebrei» e «per conservare il mosaico di civiltà che caratterizza la città».


Alla fine degli anni settanta il governo israeliano ha dedicato una voce del bilancio dello Stato al controllo degli immobili, la cui proprietà è palestinese. La precedenza è stata data all’insediamento di ebrei nei quartieri musulmani e, in seconda priorità, nel quartiere cristiano. L’esempio fu dato dall’allora ministro della Difesa, e oggi primo ministro, Ariel Sharon, che mise le mani su un edificio vicino a Bab al-’Amud [la Porta di Damasco]. Una particolare attenzione fu data all’acquisizione, con vari mezzi, degli immobili lungo il muro occidentale dell’Area sacra [delle moschee], nei punti che sovrastano la famosa galleria e in direzione di piazza del muro del Buraq. Va detto che il muro meridionale dell’Area sacra e l’intera zona esterna è adesso sotto totale controllo israeliano e che un terzo del muro occidentale si trova all’interno della piazza del muro del Buraq e della Madrasa al-Tankiziyya. Il muro del piccolo Buraq [o Ribat al-Kurd (Castro dei Curdi)] è esposto continuamente a tentativi di sequestro da parte israeliana per congiungere i vari punti dell’insediamento ebraico. Per il momento tale congiungimento è garantito attraverso il controllo del sottosuolo [la famosa galleria, ad esempio] e dei terrazzi degli edifici.


Fuori del nuovo Quartiere ebraico allargato, ci sono 79 immobili, che i coloni sono riusciti a controllare fino a oggi, distribuiti nei vari quartieri della Città vecchia.
3. La terza fase: dopo Oslo, 1993 Si caratterizza per l’intensificazione dell’azione del movimento di colonizzazione e delle attività di insediamento al fine di prevenire le trattative sullo status finale della città, a creare cioè il fatto compiuto irreversibile. Tutto cio' è stato reso esplicito attraverso un’intensa campagna, che mira a prendere possesso delle aree adiacenti alle mura della Città vecchia. A cominciare dal 1993 le autorità israeliane hanno iniziato un’azione sistematica di pressione contro le istituzioni cittadine, per costringerle a trasferire le loro sedi nelle zone assegnate all’amministrazione dell’Autorità palestinese.
E stata seguita una politica di chiusura di Gerusalemme, di isolamento della città dal resto della Cisgiordania e di intensificazione delle pressioni sugli abitanti, per costringerli a lasciare la città. Nonostante l’intensità dell’azione, le autorità israeliane non possono vantare brillanti risultati. Impadronirsi di qualsiasi immobile è diventata un’operazione estremamente difficile. Le associazioni palestinesi impegnate nella resistenza al sequestro degli immobili attualmente sono più accorte e più efficienti. Sono migliorati livello, qualità e metodi di reazione dei palestinesi, sono migliorati pure gli stessi meccanismi di difesa degli immobili e sono nate strutture che si occupano del restauro degli edifici e di migliorarne le condizioni abitative.
I gruppi di coloni organizzati per l’insediamento Esistono alcuni gruppi di coloni che agiscono nella Città vecchia sorretti dal governo israeliano e dai suoi vari organismi. Questi gruppi e organizzazioni ricevono appoggi finanziari e logistici, e informazioni, dal municipio israeliano di Gerusalemme. Va detto che il più importante di questi movimenti è rappresentato dallo stesso governo israeliano, che ha sequestrato la maggior parte degli immobili, ha distrutto interi quartieri, si rifiuta di evacuare i coloni quando occupano le abitazioni palestinesi e ispira le sentenze dell’Alta Corte di Giustizia israeliana perché respinga le cause intentate dagli abitanti palestinesi in difesa delle loro proprietà. Le autorità israeliane, nell’opera di colonizzazione, sono affiancate da otto gruppi di coloni che agiscono nella Città vecchia.
Elenchiamo i tre più importanti.
- Il gruppo Atret Kohenim. Fondato nel 1978, si fa interprete dell’idea che sia necessario espellere «tutti gli arabi», per determinare le condizioni per la «ricostruzione del Tempio». Il gruppo si occupa, in particolare, dei preparativi «per la ricostruzione del Tempio», di preparare i sacerdoti e di predisporre quanto è necessario in vista dell’ora «ormai prossima» per la ricostruzione. Tra le ultime curiose iniziative del gruppo è la preparazione di un candelabro [menorah] d’oro zecchino del costo di tre milioni di dollari, che si aggiunge ad altri oggetti di culto approntati per essere usati nel futuro tempio. Il gruppo riceve sostanziosi appoggi e finanziamenti dal governo israeliano, dal municipio israeliano di Gerusalemme e da alcuni mecenati americani ebrei, capeggiati dal signor Moskovich. Questo è un nome legato a un nuovo insediamento, che è ormai pronto, a Bab al-Amud [Porta di Damasco] e al progetto di un nuovo insediamento da costruire ad Abu Dis.
- Il gruppo Atret Leosna. Fondato nel 1984, il gruppo ha l’obiettivo di far rivivere le tradizioni del Tempio e di preparare i sacerdoti del Terzo Tempio, in attesa del Messia. Un altro degli obiettivi è «liberare» Gerusalemme dagli «stranieri», in modo da permettere l’insediamento dei sacerdoti del Tempio, dato che il clima che esiste nella città ostacolerebbe il ritorno del Messia. Questo movimento è finanziato formalmente dal governo israeliano ed è sostenuto dall’ufficio del rabbino capo ashkenazita. Negli Stati Uniti inoltre raccoglie sottoscrizioni e qui è registrato come associazione ’non a scopo di lucro’, per cui le somme che riceve vengono detratte dalle tasse dei sottoscrittori.
- Il gruppo El’Ad. Fondato nei primi anni novanta, ha l’obiettivo di espellere gli abitanti da Silwan e da Sheikh Jarrah, al fine di creare una continuità tra le aree dei coloni insediati dentro le mura della Città vecchia e gli insediamenti fuori le mura.
I vari gruppi sono coordinati, ma svolgono ruoli diversificati, in particolare per quanto riguarda la dislocazione territoriale dell’operato di ciascuno di essi. L’ambito di azione comune, dove si esplica un maggiore coordinamento, è nell’individuazione delle antiche o precedenti proprietà ebraiche, dei luoghi a cui si rifà la tradizione ebraica, e nell’azione di sequestro, occupazione, acquisto, locazione dell’immobile individuato. Compito del singolo gruppo invece è portare a termine l’operazione. Il coordinamento tra i gruppi si esplica anche nella ristrutturazione, ricostruzione, sopraelevazione, ecc. degli edifici di cui entrano in possesso. E coordinata è anche la scelta del nucleo familiare a cui assegnare, gratuitamente, l’immobile. Hanno la priorità i nuclei familiari giovani con molti figli.
Parallelamente ai gruppi attivi nella presa di possesso degli immobili, agiscono altri gruppi strettamente legati al movimento dei coloni, specializzati nella questione della ‘ricostruzione del Tempio’. Il più importante di questi gruppi è quello dei Custodi del Monte del Tempio, capeggiato da Jarshon Salomon, un noto razzista. Fondato nel 1967, cerca ogni anno, il giorno 9 agosto del calendario ebraico, di posare la prima pietra del Tempio nel cortile della Moschea al-Aqsa [dentro l’Area sacra]. Le azioni di questo gruppo hanno portato a ripetuti scontri con gli abitanti [palestinesi] della Città vecchia. Un altro gruppo importante è l’Associazione del Monte del Tempio. Il medesimo obiettivo, la ’ricostruzione del Tempio’, è perseguito da molti altri piccoli gruppi, fra cui il Movimento dei visitatori di Sion e il Fondo del Monte del Tempio. Si puo' aggiungere anche l’Ambasciata cristiana internazionale (International Christian Embassy], fondata nel 1980, dopo che il governo israeliano ha fallito nel far trasferire le ambasciate straniere da Tel Aviv a Gerusalemme. L’Ambasciata considera un dovere religioso fornire «sostegno sufficiente» allo Stato di Israele, e questo in quanto identificato nell’Israele biblico.
I mezzi di appropriazione degli immobili La presa di possesso degli immobili avviene utilizzando i mezzi più disparati. Sembra certa l’esistenza di un archivio centrale che, oltre ai dati riguardanti gli immobili della Città vecchia di Gerusalemme, raccoglie anche informazioni sui loro proprietari. Da qui traggono informazioni i vari gruppi, che agiscono per entrare in possesso degli immobili.
Gli strumenti più frequenti per prendere possesso ’legale’ degli immobili, sono elencati qui di seguito:
a. requisizione di immobili perché di proprietà o usati da ebrei prima del 1948; b. applicazione della legge israeliana sulle «proprietà degli assenti» (i palestinesi espulsi, strumento giuridico attraverso il quale Israele legalizzo' l’appropriazione del territorio, delle città e dell’intero paese occupato nel 1948], a prescindere dal motivo dell’assenza; c. sequestro delle proprietà del demanio e dei beni affidati all’Amministrazione giordana prima del 1967; d. requisizione dei siti archeologici e di quelli di interesse storico, in base alla legge di «utilizzo per il bene pubblico» o della legge di «utilizzo per la pubblica sicurezza»; e. appropriazione per effetto della legge israeliana sull’eredità, per cui, in mancanza di eredi, è lo Stato a essere considerato «erede»; f. requisizione attraverso la falsificazione dei documenti di proprietà; g. requisizione, quando il proprietario palestinese è indebitato verso una banca; h. attraverso il ricatto, quando un proprietario palestinese è implicato in un affare di droga.


In altri casi, il prezzo dell’immobile puo' essere enormemente sottovalutato rispetto al prezzo di mercato o, infine, viene incaricato un intermediario palestinese di acquistare l’immobile per poi passarlo ai coloni.

Conclusione - Nei periodi in cui gli ebrei hanno avuto la possibilità di vivere a Gerusalemme [cioè negli ultimi 1400 anni sotto i governi musulmani], hanno preferito continuare a vivere nei loro vari paesi d’origine, dei quali condividevano il benessere.
La lotta per Gerusalemme, e in particolare per la Città vecchia, non è finita. E facile prevedere che la città attraverserà momenti difficili, poiché la parola d’ordine «mantenere Gerusalemme unita capitale eterna di Israele» resta tuttora strumento demagogico dei partiti politici israeliani, compresi quelli liberali e di sinistra.


(Traduzione dall’arabo di Wasim Dahmash)

note: * Nadhmi al-Ju’beh, archeologo, è docente all’Università di Bir Zeit.


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Nulla è cambiato tranne il mio atteggiamento, così... tutto è cambiato.
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janet
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Posted - 18 August 2005 :  01:50:05  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando
Abu Mazen a Sharon: "Ora via anche dalla Cisgiordania"
A centinaia seguono le manovre dagli edifici vicini alle colonie
Palestinesi in strada
festa per il ritiro da Gaza
Schierati oltre 7000 poliziotti per impedire scontri e violenze
Portavoce di Hamas ripete che non ci saranno azioni di guerriglia
dal nostro inviato FABIO SCUTO


Bandiere di Hamas
per festeggiare il ritiro


GERUSALEMME - Sono giorni di festa per i palestinesi di Gaza. Dopo 38 anni di occupazione militare, gli israeliani stanno lasciando la Striscia. Dai tetti degli edifici più vicini alle colonie ebraiche in centinaia seguono le manovre del ritiro. I festeggiamenti perciò si intensificano in città e i principali partiti e movimenti politici, come Al-Fatah e Hamas, cercano di attribuirsi il merito di aver "costretto gli israeliani alla ritirata".

Già lunedì notte, al termine della prima giornata del "disimpegno", in migliaia hanno festeggiato per le strade l'inizio della fase finale delle operazioni di sgombero delle 21 colonie ebraiche di Gaza. Cortei spontanei si sono formati a Gaza City, a Khan Yunis e Rafah, le due città palestinesi a ridosso del blocco di insediamenti ebraici di Gush Katif. Qualche gruppo ha tentato di avvicinarsi alla colonia di Nevè Dekalim ma è stato fermato dalla polizia palestinese che ha schierato oltre 7 mila uomini per impedire scontri e violenze che potrebbero bloccare lo sgombero. Un impegno che è valso alle forze militari dell'Anp i complimenti del generale israeliano Aaron Zivi, capo dei servizi segreti israeliani.

Il presidente palestinese Abu Mazen definisce "storico" questo momento per il suo popolo. Rivolgendosi agli israeliani li ha esortati a mettere fine all'occupazione militare dei Territori e a dare ai palestinesi la possibilità di vivere in libertà nel loro Stato indipendente. "Andatevene in pace dalla nostra terra e tornate a farci visita come turisti e ospiti", ha detto il presidente ma ha voluto puntualizzare che il "disimpegno" da Gaza deve rappresentare un passo verso la fine dell'occupazione anche della Cisgiordania.

Ha parole di apprezzamento Abu Mazen nei confronti del premier israeliano: "Apprezzo gli sforzi di Sharon per realizzare il suo piano" ha detto il leader palestinese: "Se vuole che si imbocchi la strada per la pace gli chiedo di fare in modo che questo passo non sia l'ultimo, ma che continui in Cisgiordania".

Sono in festa anche militanti e simpatizzanti della Jihad islamica e di Hamas, il più importante movimento islamico palestinese. Il portavoce del gruppo, Sami Abu Zuhri, ha ribadito che Hamas non condurrà azioni di guerriglia: "Se gli israeliani se ne andranno tranquillamente la nostra gente non ostacolerà questa evacuazione". Del resto Hamas ha ottenuto quel che voleva da Abu Mazen: è stata annunciata ufficialmente la data delle prossime elezioni politiche (il 21 gennaio 2006) e la partecipazione di esponenti del movimento al comitato nazionale incaricato della supervisione del ritiro dalla Striscia e dalla parte settentrionale della Cisgiordania.

Nell'entusiasmo generale si è anche affacciata, per la prima volta, la possibilità che parte dei 400 mila profughi palestinesi "ospitati" nei 12 campi nel sud Libano, possano rientrare a Gaza in un futuro non molto lontano, dopo la nascita dello Stato palestinese.

Ma non tutti condividono la visione ottimistica di Abu Mazen. Alcuni guardano con sospetto ai piani di Sharon e temono che il ritiro da Gaza sia il primo ma anche l'ultimo che Israele effettuerà. "Gli interrogativi sulle intenzioni di Sharon restano senza risposta", spiega il ministro della Pianificazione Ghassan Khatib. Il punto, secondo Khatib, resta l'unilateralismo delle decisioni del premier israeliano, cioè nella decisione di attuare progetti a lungo termine sul terreno, come il ritiro da Gaza, mettendo i palestinesi davanti al "fatto compiuto".

(17 agosto 2005)
la Repubblica



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janet
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Posted - 18 August 2005 :  02:00:02  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando


"Le persecuzioni non fanno soffrire il giusto, né egli e' distrutto dalle oppressioni, se si trova sul lato giusto della verità. Socrate sorrideva bevendo il veleno, e Stefano faceva lo stesso mentre lo lapidavano. Ciò che fa davvero male e' la nostra coscienza, che soffre se le siamo contro, e muore se la tradiamo" -

Jibran Khalil Jibran




Innamorato della Palestina
di Mahmud Darwish





I tuoi occhi sono una spina nel cuore

lacerano, ma li adoro.



Li proteggo dal vento

e li conficco nella notte e nel dolore,

cosi la sua ferita illumina le stelle,

trasforma il presente in futuro

più caro della mia anima.



Dimentico qualche tempo dopo,

quando i nostri occhi si incontrano,

che una volta eravamo

insieme, dietro il cancello.



Le tue parole erano una canzone

che io tentavo di cantare ancora,

ma la tribolazione si era posata

sulle fiorenti labbra.



Le tue parole come la rondine

volarono via da casa mia

volarono anche la nostra porta

e la soglia autunnale

inseguendo te,

dove si dirigono le passioni ….



I nostri specchi si sono infranti

la tristezza ha compiuto 2000 anni,

abbiamo raccolto le schegge del suono

e abbiamo imparato a piangere la patria.



La pianteremo insieme,

nel petto di una chitarra;

la suoneremo sui tetti della diaspora

alla luna sfigurata ed ai sassi.



Ma ho dimenticato,

oh tu dalla voce sconosciuta !

ho dimenticato,

è stata la tua partenza

ad arrugginire la chitarra,

o è stato il mio silenzio ?



Ti ho vista ieri al porto

viaggiatore senza provviste … senza famiglia;

sono corso da te come un orfano

chiedendo alla saggezza degli antenati:

perché trascinare il giardino verde

in prigione, in esilio, verso il porto

se rimane, malgrado il viaggio,

l’odore del sale e dello struggimento,

rimane sempre verde?



Ho scritto sulla mia agenda:

amo l’arancio e odio il porto,

ho aggiunto sulla mia agenda:

al porto mi fermai

la vita era con gli occhi d’inverno,

avevamo le bucce dell’arancia

e dietro di me la sabbia era infinita!



Giuro, tessero' per te

un fazzoletto di ciglia

scolpiro' poesia per i tuoi occhi

con parole più dolci del miele;

scrivero' “sei palestinese e lo rimarrai”



Palestinesi sono i tuoi occhi,

il tuo tatuaggio

Palestinesi sono il tuo nome,

i tuoi sogni

i tuoi pensieri e il tuo fazzoletto

palestinesi sono i tuoi piedi,

la tua forma

le tue parole e la tua voce

palestinese vivi, palestinese morirai.



traduzione curata da F.Aljaramneh ed A.Tailakh
dal testo: "Poesie della resistenza"
tutti i diritti riservati

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janet
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Posted - 27 August 2005 :  19:31:52  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando




TUTTI GLI UOMINI RAFFINATI DELLE NAZIONI UNITE

Signori d`ogni paese!

A che servono in questi tempi

Le cravatte a mezzogiorno…e le accese discussioni?

Signori d`ogni paese!

Il muschio che mi e` cresciuto nel cuore

Ha coperto tutte le pareti di vetro.

A che cosa potrebbero servire in questi tempi

Le infinite riunioni,

gli importanti discorsi,

le spie,

le parole delle prostitute…

e le discussioni?

Signori!

Lasciatemi girare come desidera la scimmia di luna,

e venite qua…

nel mondo ho perduto I ponti.

Ho il sangue giallo

Ed ll cuore distrutto dal fango dei voti.

Signori d`ogni paese!

Che la mia vergogna sia una peste,

e un serpente il mio dolore!

O scarpe nere e lucide di ogni terra!

La mia ira e` tanto piu` forte della mia voce…

Ma l`epoca e` vigliacca,

ed io son senza mani!

*SAMIH EL KASSEM







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janet
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Posted - 29 October 2005 :  01:59:40  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando
I semi del fallimento morale
di Ran HaCohen
Antiwar.com



Disgrazia
Disgrazia: questa e' stata una delle mie prime sensazioni quando ho visto la rivolta dei coloni contro la rimozione degli insediamenti di Gaza e di un paio di colonie in Cisgiordania. Guardate questa gente: adulti e bambini, uomini e donne, temerari, senza esitazioni, senza sentire il bisogno di giustificare la violenza contro il loro stesso stato. Bloccano le strade in tutto il paese. Mettono catene ai cancelli delle scuole durante la notte, versano adesivo all'interno delle serrature delle porte degli uffici statali. Ottengono un'udienza con il loro primo ministro e lo sbeffeggiano dovunque egli vada. Minacciano di uccidere il capo di stato maggiore, importunano i dirigenti individuali nelle loro stesse case. Versano petrolio e chiodi sulle autostrade, sabotano i veicoli dell'esercito e della polizia; versano zucchero nei serbatoi di benzina dei bulldozer. Picchiano poliziotti e militari; la loro offesa preferita contro le forze israeliane e' "nazisti". Incitano i soldati a disobbedire agli ordini e, in effetti, loro stessi li disattendono. Una rivolta interna che Israele non ha mai conosciuto.

Niente del genere e' mai accaduto qui quando centinaia di palestinesi furono massacrati sotto gli auspici israeliani in Libano, nel 1982. O quando Rabin deportò 400 palestinesi sulle montagne del Libano, nel 1992. O quando un colono israeliano assassinò dozzine di palestinesi in preghiera alla Tomba dei Patriarchi ad Hebron, nel 1994. O quando un jet israeliano uccise nove bambini con una bomba da una tonnellata sganciata in un quartiere densamente popolato di Gaza, nel 2002. O quando Israele cercò di uccidere con dei missili l'intera leadership di Hamas, nel 2002, o quando, finalmente, riuscì ad ammazzare il 65enne leader spirituale Yassin sulla sua sedia a rotelle, l'anno scorso. Né quando migliaia di palestinesi restarono senza tetto durante la seconda intifada e divennero profughi a casa loro. Né mentre l'intera popolazione palestinese viene imprigionata dal Muro. Nessuna di queste atrocità, e di molte altre, ha mai suscitato una protesta neanche lontanamente paragonabile all'attuale rivolta dei coloni, causata da una decisione legittima (e non ancora presa) del governo israeliano di spostare meno del 5% della popolazione dei coloni da un punto all'altro della "sacra terra d'Israele", fornendo loro le più generose ricompense per l'inconveniente.

Credo sia stato Kierkegaard ad aver detto una volta che si può capire molto di una persona dalle cose che la rendono seria. Parafrasando, si può imparare molto di una società dalle cose che riescono a mobilitarla. Il fatto che nessuna atrocità abbia causato proteste quali quelle dei coloni e' la disgraziata evidenza del completo fallimento morale dello stato ebraico.

Strade bloccate

Non tutto lascia l'israeliano medio così indifferente, naturalmente. Quando i coloni hanno bloccato nuovamente le autostrade in tutto il paese questa settimana, gli automobilisti, irritati, li hanno affrontati con sbarre di ferro. Questa storia ha catturato i titoli: da un lato i coloni, ben organizzati come sempre, dall'altro la polizia, o ciò che resta di essa dopo le ondate neo-liberiste di privatizzazioni e di tagli al bilancio, ed alcuni guidatori, furiosi abbastanza da affrontare fisicamente i coloni. In verità, se c'e' qualcosa che gli israeliani non sopportano, e' aspettare la riapertura di un'autostrada. Cinque anni fa, quando gli arabi israeliani osarono bloccare qualche strada in Israele poco dopo lo scoppio della seconda intifada, la saggezza popolare israeliana deliberò, all'unanimità, che tale blocco era totalmente inaccettabile ed appoggiò la decisione della polizia di utilizzare pallottole reali per ammazzare i cittadini arabo-israeliani pur di riaprire le strade.

Al giorno d'oggi, la polizia ha scoperto che vi sono altri metodi per tenere aperte le strade, o ha scoperto che talvolta la vita umana e' più importante di una strada aperta - almeno quando in ballo vi e' una vita ebrea, non araba.

Mi chiedo quanti di questi furiosi guidatori israeliani pensino mai ai palestinesi dei territori occupati, dove non vi sono autostrade (cioè, non per palestinesi), ma dove le strade, fatte a pezzi da decenni di occupazione brutale senza che sia stato investito un solo centesimo nelle infrastrutture, sono punteggiate di blocchi stradali e checkpoint israeliani, dove un intero popolo umiliato deve aspettare di continuo, a volte per lunghe ore sotto un sole cocente, in attesa di passare a piedi (alle macchine non e' concesso).

I guidatori israeliani sono arrivati equipaggiati con sbarre di acciaio per aprire le strade bloccate dai coloni: dopo tutto, abbiamo il diritto di muoverci liberamente nel nostro paese. Ma la violenza palestinese continua a restarci incomprensibile. Di certo, essi non ritengono di avere alcun diritto di muoversi liberamente nella loro terra; e anche se lo ritenessero, e' una ragione sufficiente per diventare violenti, questa?

Linciaggio

Le strade bloccate erano la notizia principale; solo dopo, molto dopo, e' giunta quella del palestinese Ziad Majaida, 16 o 18 anni, linciato da coloni ebrei estremisti nella Striscia di Gaza quello stesso pomeriggio. Immagini televisive hanno mostrato il ragazzo ferito, steso a terra, con i coloni che lo prendevano a sassate mentre un militare tentava di impedirlo. In seguito, il ragazzo ha dichiarato alla TV che tutto e' cominciato quando un soldato lo ha spinto contro un muro, rendendolo una facile preda per i coloni assassini; il giornalista di Ha'aretz Nir Hasson ha raccontato dalla scena del crimine di un paramedico, un colono "moderato", incaricato di curare il ragazzo svenuto.

"Meditò per venti secondi se curare Hilal o meno, poiché uno degli aggressori gli gridò: "Se lo curi, ti uccidiamo". Girò le spalle imbarazzato e se ne andò. L'uomo ferito giaceva a terra, la faccia coperta di sangue, privo di conoscenza".

La televisione israeliana in seguito ha spiegato che mentre avveniva il linciaggio - nei pressi di una casa palestinese privata rilevata violentemente dai coloni un paio di giorni prima - non vi erano abbastanza soldati nei dintorni. Invece vi erano molte telecamere e molti giornalisti, da tutto il mondo. Hasson riferisce che, diversamente dal coraggioso paramedico, lui e molti altri giornalisti cercarono effettivamente di aiutare il ragazzo linciato. Dunque nessuno era sorpreso del linciaggio - nessuno, eccetto l'esercito israeliano. Fate attenzione a questa "sorpresa". Noi ebrei lo sappiamo fin troppo bene: lo abbiamo sperimentato per secoli, in tutta Europa, quando tutti sapevano dell'imminenza di un pogrom, tranne la polizia locale, che veniva "colta di sorpresa" e dunque, sfortunatamente, era "impedita" dal proteggere gli ebrei minacciati.

I semi del fallimento morale

I coloni dunque non operano di propria iniziativa. Da quasi 40 anni, hanno il totale supporto dello stato nei loro illegali progetti. "Illegali" non solo perché gli insediamenti sono contrari alla legge internazionale, ma perché l'intero progetto degli insediamenti - circa 200, con una popolazione di 250.000 coloni - e' stato condotto illegalmente, in clandestina cooperazione tra coloni, esercito, apparati dello stato e della politica , che hanno lavorato in armonia contro la legge e l'ordine, aggirando le procedure democratiche, ingannando il pubblico ed i media: "E' giusto mentire per la Terra d'Israele", come disse una volta il primo ministro Yitzak Shamir. Questa cooperazione coperta ha trasformato i coloni nei "Signori della Terra" (il titolo di un nuovo libro ebraico sulla storia dei coloni, di Akiva Eldar e Idith Zertal), abituati a compiere qualsiasi crimine ed offesa volessero, sempre sostenuti, o almeno perdonati, dallo stato.

Ogni recluta israeliana lo sa: l'appartenenza, propria o di un familiare, alla sinistra radicale, ti squalifica per l'entrata in una qualsiasi unità d'elite dell'esercito. Tuttavia, questa settimana, le Forze Aeree israeliane hanno fieramente annunciato che il figlio dell'assassino di massa Baruch Goldstein e' divenuto pilota. Non c'e' da meravigliarsi, dunque, che ora l'esercito ammetta che tutti i suoi piani operativi, non importa quanto segreti, siano immediatamente riconducibili ai coloni.

I coloni obbediscono allo stato solo fintanto che questi obbedisce a loro. Essendo stati utilizzati da Israele come il suo Freikorps, come dei criminali che fanno il lavoro sporco che lo stato non vuole o non può fare, il flusso della tradizionale violenza dei coloni entro Israele e' uno sviluppo naturale. Come ha sperimentato e descritto molto bene lo scrittore ebreo Albert Memmi durante la colonizzazione francese della Tunisia, "ogni potenza coloniale porta i semi della tentazione fascista e del fallimento morale". Questi semi mortali sono fiorenti oggi in Israele.



traduzione a cura di www.arabcomint.com











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janet
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Posted - 17 November 2005 :  01:37:54  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando






Tu sai che alcuni di loro

senza la tua poesia

che li ha messi in luce

sarebbero rimasti nell’ombra.

Erano re su terre spezzate,

ove le persone pativano la fame

e le piante erano aride.

Tu hai voluto creare degli eroi

per far rivivere l’epoca del profeta

ma essi non erano all’altezza ….”

****************


Muhammad al-Fayturi
poeta libico-sudanese






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Posted - 19 November 2005 :  00:53:30  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando


L'artista britannico Bansky ha decorato il lato palestinese della barriera di apartheid issata da Israele all'interno dei ierritori occupati con immagini satiriche della vita dall'altro lato. I dipinti sono nove e ritraggono scene idilliache, come spiagge e montagne innevate. L'artista di Bristol, i cui controversi lavori sono stati esposti nelle più importanti gallerie d'arte di Gran Bretagna ed USA, ha dichiarato di essere stato minacciato più volte dall'esercito israeliano durante i lavori.







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