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 Un angolo di cielo 2 poesie nel mondo
 PALESTINA.
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janet
Utente Master

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Posted - 14 March 2005 :  18:37:34  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando


Resteremo Qui



Come fossimo una ventina d'impossibilita'

A Lidda, Ramleh e in Galilea…

Qui, rimarremo quale muro sul vostro petto,

quali pezzi di vetro e pelli di fichi d'India nella gola,

quale bufera di fuoco nei vostri occhi.

Qui…sul vostro petto come un muro, resteremo.

Laveremo i piatti nei caffè,

riempiremo, forse, I bicchieri per I signori,

asciugheremo le piastrelle di cucine annerite,

per strappare un boccone per I nostri bambini

dai vostri canini azzurrastri,

cio' malgrado,

qui…sul vostro petto resteremo come un muro

soffriremo, probabilmente, di fame e di nudita',

cio' malgrado vi sfideremo,

canteremo poesie

flagelleremo con furiose dimostrazioni le strade,

colmeremo di fierezza le prigioni,

e dei nostri figli

faremo una ribelle generazione dopo l'altra.

Come fossimo una ventina di impossibilita',

a Lidda, Ramleh e in Galilea,

noi rimarremo qui, e se questo non vi piace

bevete il mare dalla rabbia…

qui custodiremo l'ombra del fico e degli ulivi,

e quale lievito nella pasta,

pianteremo I nostri pensieri della resistenza.

Freddissimi i nervi nostri

E nel cuore abbiamo un inferno d' ira.

Se saremo assetati spremeremo il deserto

E ci nutriremo di sabbia se avremo fame,

ma non partiremo di qui, e non esiteremo

ad offrire il nostro sangue per la patria.

Qui abbiamo il passato, il presente e l'avvenire,

come fossimo una ventina di impossibilita'

a Lidda, Ramleh e in Galilea.

Scendete qui, piu' profonde e forti,

oh, vive radici nostre!

Scendete piu' in fondo…

Il nostro persecutore invece

Si faccia bene i conti,

prima che si sconvolgano le ruote,

perche' ogni cosa ha la sua fine:

cosi' dicono I libri…




TEWFIQ ZEYYAD -Poeta palestinese






Un cuore non può bastare per due.
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janet
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Posted - 07 April 2005 :  00:42:06  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando


Rivolta nell'anniversario di una morte
di Alison Weir
Counterpunch





Si sta svolgendo una battaglia incruenta per il ricordo di una giovane donna che avrebbe potuto essere mia figlia, e forse la vostra.

Da una parte vi sono coloro che vorrebbero cancellarla dalla storia, oscurare le sue azioni, le sue convinzioni, il suo assassinio. E se non vi riusciranno, tenteranno la denigrazione postuma del suo carattere, la falsificazione della sua morte.

Dall'altra parte vi sono coloro che ritengono che i suoi brillanti principi debbano essere lodati, il suo coraggio onorato, la sua morte rimpianta. Da questa parte vi sono coloro che reputano nobile l'eroismo, ammirevole il coraggio e che sono certi che la compassione verso gli altri sia la più fondamentale forma di moralità.

Per quelli di noi che si trovano da questa parte, Rachel Corrie non sarà mai dimenticata. Aveva 23 anni quando e' stata uccisa.

Non dimenticheremo il suo giovane idealismo, il suo delicato coraggio, la sua morte insensata. E non dimenticheremo le sue convinzioni, la terza delle quali le fu fatale: che il bene avrebbe trionfato, che la giustizia avrebbe prevalso e che Israele non l'avrebbe uccisa.

Su questo si sbagliava. Il 16 marzo 2003, due militari israeliani lanciarono su di lei per due volte un bulldozer in grado di demolire una casa, schiacciandola tra le rovine di Gaza. Con cinque altri attivisti per i diritti umani, Rachel era seduta di fronte ad una casa palestinese, e chiedeva che i militari non la demolissero. Non lo fecero (per il momento); preferirono demolire lei.

I suoi amici si precipitarono verso di lei urlando. La estrassero dalle macerie. Uno di essi mi ha detto che gli occhi di Rachel erano aperti; le sue ultime parole furono: "Ho la schiena spezzata".

Naturalmente era spezzato molto di più. Il giorno era spezzato, l'universo era spezzato, il mondo di sua sorella era spezzato, la vita di suo fratello era spezzata, il cuore dei suoi genitori era spezzato. Tutte le cose si spezzano quando un innocente viene ucciso.

Negli ultimi cinque anni, migliaia di vite, mondi e giornate palestinesi sono state spezzate; e centinaia di israeliani. Noi sentiamo solo le tragedie israeliane; di rado sentiamo parlare dei molto più numerosi padri, madri, sorelle, figli, fratelli palestinesi uccisi e mutilati durante quei meravigliosi periodi di "calma relativa" su cui la stampa ci mente costantemente.

Mi chiedo se sentiremo parlare di Rachel Corrie il 16 marzo, nel secondo anniversario della sua morte. Israele, come fa normalmente con tutti quelli che uccide, dichiara che la sua morte e' stata "un incidente", che era "necessaria alla sicurezza", o che "stava proteggendo dei terroristi". Non appena queste fabbricazioni israeliane vengono respinte, ne vengono prodotte di nuove. Non importa quanto esse siano contraddittorie: i nostri media complici non si chiedono il perché.
Ciò che Israele dice, i nostri media ripetono. Ciò che Israele chiede, il nostro governo concede. Ciò che Israele vuole, la sua ben oleata lobby procura.

Tuttavia, le cose stanno per cambiare e ciò avviene con crescente impeto. La gente degli Stati Uniti ricorda Rachel e rimpiange la sua morte. Mentre il Congresso, intimidito, rifiuta ai suoi genitori il diritto ad un'investigazione sull'alleato che ha ucciso la loro figlia, la gente nelle città di tutti gli USA prepara commemorazioni ed azioni future.

In tutto il paese, lentamente ma inesorabilmente, vi e' l'inizio di una sollevazione americana. Uno dopo l'altro, popoli, comunità e città si sollevano. Siamo stufi a morte delle crudeltà gratuite e dei rapaci credo di violenza, e non vogliamo più subire.

Reclamiamo la nostra nazione, i nostri principi e le nostre anime. Siamo gli unici che possiamo farlo.
Non dimenticheremo Rachel. E non ci fermeremo.



Alison Weir e' direttore esecutivo di If Americans Knew.

traduzione a cura di www.arabcomint.com







Un cuore non può bastare per due.
Nulla è cambiato tranne il mio atteggiamento, così... tutto è cambiato.
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janet
Utente Master

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Posted - 10 April 2005 :  23:11:29  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando



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janet
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Posted - 10 April 2005 :  23:45:06  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando




APRILE E' IL MESE PIU' CRUDELE


di Israel Shamir


In un bellissimo giorno di primavera, quando i cieli della Terra Santa sono di un tenero azzurro e i prati sono verde brillante, i pullman con aria condizionata trasportano turisti dalla Citta' della Pianura alla Citta' delle Montagne. A poca distanza da meta' tragitto, proprio dietro la ricostruita Bab el-Wad, il Cancello della Valle, il pullman incrocia gli scheletri dipinti di rosso di alcuni veicoli blindati. Questo e' il luogo in cui la guida turistica fa il discorso di routine: "Questi veicoli sono in memoria dell'eroica battaglia degli ebrei contro la chiusura di Gerusalemme imposta dall'aggressione di nove stati arabi". Il numero di stati arabi varia a seconda dell'umore della guida e da come voglia impressionare il suo pubblico.


La battaglia per un varco verso Gerusalemme e' uno dei punti cruciali della guerra civile del 1948 in Palestina, e si concluse con la conquista da parte dei sionisti della prospera West End di Gerusalemme, con le sue ville di pietra bianca appartenenti ad aristocratici palestinesi, e a mercanti tedeschi, greci ed armeni. Nel corso di quella battaglia, i sionisti annetterono anche i dintorni, espellendo i non ebrei con una massiccia ondata di pulizia etnica. Per poter fare cio', rasero al suolo tutti i villaggi palestinesi lungo la strada per Gerusalemme.

I carriarmati arrugginiti non sono lo scenario adeguato per la narrazione israeliana standard, e di certo non sono qualificati per la produzione di un film realistico. E' una scena artefatta che manca del piglio di autenticita' che i registi cinematografici richiedono. La storia della chiusura e dell'aggressione e' un testo teatrale, non cinematografico. E' la performance di chiusura per i turisti che vengono indottrinati in un viaggio non stop dal Muro del Pianto al Museo dell'Olocausto.

La guerra, su questa strada, era finita nell'aprile del 1948, settimane prima della nascita dello stato d'Israele, molto prima che le sfortunate unita' arabe entrassero in Palestina per salvare cio' che restava della popolazione nativa. Come osservo' T.S.Elliot, Aprile e' il mese piu' crudele. E cosi' fu quel fatale aprile in cui i palestinesi furono costretti ad iniziare un viaggio di 50 anni d'esilio. La sua apoteosi fu raggiunta presso l'ingresso di Gerusalemme, in cui i giardini Sacharov conducono ad un cimitero, ad un manicomio e a Deir Yassin.

La morte ha molti nomi. I cecoslovacchi la chiamano Lidice, i francesi Oradur, i vietnamiti My Lai. Per i palestinesi, essa E' Deir Yassin. La notte del nove di aprile 1948, i gruppi terroristici ebraici Etzel e Lehi attaccarono il pacifico villaggio e ne massacrarono gli abitanti, uomini, donne e bambini. Non voglio ripetere il triste racconto di orecchi tagliati, ventri squarciati, donne violentate, uomini bruciati, corpi cementati nella pietra o la parata in trionfo dei massacratori. I massacri sono tutti uguali, da Babi Yar a Chain Gang a Deir Yassin.

Invece, Deir Yassin e' speciale per tre motivi. Uno, e' documentato e testimoniato. Affiliati ebraici dell'Hagana e della Palmach, scouts ebrei, rappresentanti della Croce Rossa e la polizia britannica di Gerusalemme rilasciarono tutti testimonianze complete dell'evento. Esso era uno dei tanti massacri di palestinesi perpetrati dagli ebrei durante la guerra del 1948, ma nessuno ha ricevuto tanta attenzione. Cio' e' dovuto, probabilmente, al fatto che Gerusalemme, sede del Mandato britannico in Palestina, era praticamente dietro l'angolo.

Secondo, Deir Yassin, al di la' del suo tragico destino individuale, ebbe conseguenze catastrofiche. L'orrore per il massacro facilito' l'espulsione in massa dei palestinesi dai villaggi circostanti e diede agli ebrei il pieno controllo dell'entrata occidentale di Gerusalemme. L'esodo era l'unica scelta razionale possibile per la popolazione civile. Mentre scrivo' cio', mi arrivano dalla TV le immagini dei contadini macedoni che scappano dal teatro delle operazioni belliche. La famiglia di mia madre fuggi' da una Minsk in fiamme il 22 giugno del 1941 e sopravvisse, mentre quella di mio padre rimase e peri'. Dopo la guerra, i miei genitori poterono tornare come qualsiasi altro profugo di guerra. I palestinesi, invece, non sono piu' potuti tornare, fino ad oggi.

Terzo, le carriere dei massacratori. I comandanti delle bande Etzel e Lehi, Menahem Begin e Yitzhak Shamir, in seguito divennero capi del governo israeliano. Nessuno dei due espresse mai il minimo rimorso, e Menahem Begin visse fino all'ultimo in una casa con veduta panoramica su Deir Yassin. Nessun giudice di Norimberga, nessuna vendetta, nessuna penitenza, solo un tappeto di rose fino al Premio Nobel per la Pace. Menahem Begin era fiero dell'operazione, e, in una lettera ai killers, si congratulo' con essi per aver adempiuto ad un dovere nazionale: "Siete i creatori della storia di Israele", scrisse. Anche Yitzhak Shamir fu ringraziato per aver contribuito a realizzare il suo sogno: espellere i nochrim (i non-ebrei) dallo stato ebraico.

Il comandante in campo dell'operazione, Judah Lapidot, ebbe anch'egli una brillante carriera. Il suo superiore, Menahem Begin, lo incarico' di condurre la campagna per convincere gli ebrei russi ad immigrare in Israele. Lui si appello' alla compassione e alla riunione familiare; orchestro' manifestazioni a New York e Londra, con il memorabile slogan: "Lasciate partire il mio popolo". Se avete sostenuto il diritto degli ebrei russi ad immigrare in Israele, probabilmente vi siete imbattuti in quest'uomo. A quel tempo, le mani insanguinate di Deir Yassin erano state presumibilmente ripulite. Per l'indottrinamento politico degli immigranti russi, aveva persino pubblicato una "versione" in russo del best-seller di Lapierre e Collins, "Oh Jerusalem", espurgato della storia di Deir Yassin.

Ma c'e' un'altra ragione che rende questo avvenimento storicamente significativo. Deir Yassin dimostro' il vero scopo delle tattiche sioniste. Dopo che l'eccidio di massa divenne noto, la leadership ebraica diede la colpa ... agli arabi. Davide Ben Gurion, primo ministro d'Israele, annuncio' che l'eccidio era stato perpetrato da bande violente di arabi. Quando questa versione crollo' miseramente, i leaders ebraici cominciarono le procedure per arginare il pericolo. Furono inviate delle scuse all'emiro Abdallah, Ben Gurion ed il suo governo presero pubblicamente le distanze dall'orribile massacro, affermando che esso diffamava il nome di tutti gli ebrei onesti e che era il lavoro compiuto da qualche terrorista dissidente. Le sue tecniche di pubbliche relazioni rimangono una pietra miliare, fonte di orgoglio per tutti i buoni "liberali "pro-sionisti" all'estero.

"Che storia orribile, spaventosa", mi disse un ebreo umanista quando lo accompagnai a visitare i resti di Deir Yassin, poi aggiunse: "Ma Ben Gurion condanno' i terroristi, che furono puniti esemplarmente". "Si", risposi io, "furono puniti severamente e promossi alle piu' alte cariche governative".

Tre giorni dopo il massacro, le bande terroristiche furono incorporate nell'esercito israeliano, i comandanti ricoprirono alte posizioni e fu indetta un'amnistia generale per i loro crimini. La stessa trafila, un iniziale diniego, seguito da scuse, ed un atto finale di clemenza e promozione, fu seguita per la prima atrocita' storicamente verificabile commessa dal primo ministro Sharon. Essa avvenne nel villaggio palestinese di Qibya, dove l'unita' comandata da Sharon fece saltare in aria con la dinamite le case di Qibya con i suoi abitanti, massacrando oltre 60 tra uomini, donne e bambini. Dopo che il massacro divenne di pubblico dominio, il primo ministro Ben Gurion, dapprima accuso' le violenti bande arabe, poi gli ebrei di origine araba. Per Sharon, invece, vi fu il consueto tappeto di rose fino alla carica di primo ministro. Sembra che per diventare primo ministro, in Israele, sia estremamente utile avere almeno un massacro alle spalle.

Anche il massacro di Kafr Kassem, in cui i soldati israeliani fecero allineare i contadini del villaggio e li abbatterono con un colpo alla nuca, fu trattato allo stesso modo. Quando l'iniziale diniego collasso', ed un giudice comunista scopri' gli orridi particolari del massacro, gli assassini furono giudicati da una corte marziale e condannati a pene severe. Prima della fine di quello stesso anno, erano gia' fuori, ed il comandante del gruppo fu promosso a capo delle Israel Bonds. Se avete mai acquistato le Bonds israeliane, probabilmente lo avrete incontrato. Sono certo che si sara' lavato le mani dal sangue di Kafr Kassem, quando avra' stretto la vostra.

Ora, dopo 50 anni, l'establishment ebraico ha deciso, ancora una volta, di fare del "revisionismo" su Deir Yassin. La Zionist Organization of America e' pioniera nell'arte di negare la storia ed ha pubblicato, a spese dei contribuenti americani, un libercolo chiamato: Deir Yassin, Storia di una menzogna. I revisionisti della ZOA hanno utilizzato tutti i metodi dei loro avversari, "i revisionisti dell'Olocausto": hanno trascurato i racconti dei testimoni oculari e dei sopravvissuti, della Croce Rossa, della polizia britannica, degli scouts e di altri testimoni ebrei che erano presenti sulla scena del massacro. Hanno trascurato persino le scuse di Ben Gurion, dal momento che, dopo tutto, i comandanti di quelle bande divennero, l'uno dopo l'altro, primo ministro dello stato ebraico. Per la ZOA, aveva validita' solo la testimonianza dei massacratori. Questo, ovviamente, se i massacratori sono ebrei.

Eppure, ci sono ancora dei giusti, ed e' probabilmente a causa loro che l'Onnipotente non ci ha ancora sterminati dalla faccia della terra. C'e' un'organizzazione chiamata Deir Yassin Remembered, che lotta contro tutti i tentativi di distorcere la storia. Pubblica libri, organizza incontri, e lavora ad un progetto per costruire un memoriale sulla scena del massacro, cosicche' le vittime innocenti possano avere l'ultimo conforto, e il loro nome ed il loro ricordo siano preservati per sempre (Isaia 56:5). Bisogna fare tutto cio', finche' i figli sopravvissuti di Deir Yassin e dei villaggi circostanti non ritornino, dai campi profughi, alla terra dei loro padri.





traduzione a cura di www.arabcomint.com



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janet
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Posted - 20 April 2005 :  18:23:33  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando


Le pericolose dichiarazioni USA sul Medio Oriente
:
Il punto di vista di Damasco


di Butheina Sha'aban
Ministro siriano per gli Affari degli espatriati
dal Los Angeles Times - 25 marzo 2005

Butheina Sha'aban - Condoleeza Rice




Recentemente, sfogliando un giornale, mi e' capitato di leggere il seguente titolo: "Rice promette che Washington costruirà un genere diverso di Medio Oriente". Incerta su cosa ciò volesse dire, ho dato più attento ascolto alle dichiarazioni della Rice alle truppe USA a Kabul, Afghanistan, per capire se avevo la possibilità di imparare ciò che questo nuovo Medio Oriente ha da essere.

"Un genere diverso di grande Medio Oriente che sia stabile e democratico", ecco cosa ha detto quel giorno, "dove i nostri figli non dovranno preoccuparsi delle ideologie d'odio che hanno condotto quelle persone a schiantare degli aerei in quelle costruzioni, l'11 settembre".

Vediamo se ho capito. La Rice crede che la nostra regione ospiti "ideologie d'odio" e che sia popolata da "quelle persone". Quei terroristi.

Questa assurda generalizzazione incarna la fallacia che pervade l'intera "guerra al terrorismo" degli USA, la quale ha severamente danneggiato la reputazione e la credibilità americana in tutto il mondo e che ha condotto alle disastrose politiche che guasteranno le relazioni tra USA e mondo arabo per i decenni a venire.

Suggerire che un gruppo di estremisti sia rappresentativo dell'intero popolo del Medio Oriente e' oltraggioso. Sarebbe come suggerire che i criminali di Abu Ghraib e Guantanamo siano i rappresentanti del popolo americano e dei valori americani. Sarebbe come considerare i criminali autori dei massacri Sabra e Shatila o Deir Yassin rappresentanti dei loro popoli e dei loro valori religiosi.

L'altra pericolosa idea contenuta nel messaggio della Rice e' che gli attacchi dell'11 settembre siano una giustificazione ragionevole per la selvaggia politica USA in Medio Oriente. E' ridicolo. Gli americani avrebbero dovuto ben capire - ma non credo che lo abbiano fatto - che gli eventi dell'11 settembre hanno influito sugli arabi ed i musulmani ben più di quanto possano aver influito sul popolo americano. Gli arabi ed i musulmani sono da sempre vittime del terrorismo e non possono essere puniti ed accusati di tale crimine.

Temo che gli americani non sappiano ciò che accade realmente oggi in Medio Oriente. Il loro giornalismo "embedded" non lo consente. Ciò che oggi accade e' che i gruppi palestinesi vengono smembrati, la resistenza libanese viene disarmata ed il governo siriano demonizzato - tutto ciò mentre Israele continua ad occupare dal 1967 terre palestinesi, libanesi e siriane in violazione di tutte le risoluzioni ONU che ne chiedono il ritiro. Gli estremisti israeliani si appropriano dei sobborghi arabi di Gerusalemme. Viene costruito un muro di apartheid che separerà decine di migliaia di palestinesi dalle loro città e dai loro villaggi.

Ecco cos'altro sta avvenendo: il retaggio secolare siriano e la sua lunghissima tradizione di coesistenza religiosa vengono minacciati; le dichiarazioni di molti dirigenti USA sembrano indicare che la destabilizzazione di cui siamo già testimoni nella regione potrebbe essere propagata ben presto alla Siria ed al Libano.

E perché? La Siria non ha mai minacciato gli Stati Uniti. Eppure, e' il bersaglio dell' "inimicizia ideologica" da parte dei membri del Congresso che supportano il rifiuto israeliano di mettere fine all'occupazione delle Alture del Golan e il suo persistente rifiuto alla pace giusta e globale desiderata dalla Siria.

Rice deve sapere che le nazioni non si arrendono all'ingiustizia. I popoli del Medio Oriente hanno lottato contro l'aggressione e l'occupazione per tutta la loro storia, e continueranno a farlo fino a che non abbiano raggiunto la libertà, la giustizia e la dignità.

Gli USA potrebbero essere d'aiuto assicurandoci che alla nostra regione siano garantite stabilità e democrazia - e che i nostri figli non dovranno più preoccuparsi di forze d'occupazione, discriminazione e pallottole.

Sono certa che la Rice riconosce la grande differenza tra i rapporti che riceve dai think tanks filo-israeliani - i quali non vedono altro in Medio Oriente se non risorse suscettibili di estrazione e popoli disarmati vulnerabili all'occupazione ed all'oppressione - e la realtà della lunga storia di civiltà e tolleranza dei popoli arabi.



traduzione a cura di www.arabcomint.com











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janet
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Posted - 13 May 2005 :  00:47:17  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando
Non chiamatelo Muro
di Ran HaCohen



Un anno fa, invitai i lettori a dimenticarsi della "Road-Map per la pace" del presidente Bush - verso cui fu sprecata tanta attenzione, all'epoca, e che ora e' lettera morta - ed a concentrarsi sulla mappa reale della Palestina, radicalmente mutata dalla costruzione del Muro di Apartheid israeliano, virtualmente ignorata dai media internazionali. E' passato un anno, ed il silenzio e' stato rotto: grazie al lavoro di molti giornalisti di coscienza, grazie agli sforzi palestinesi culminati nella denuncia del Muro presso la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, che dovrà presto decidere sulla sua legalità e - infine ma non meno importante - grazie alle migliaia di attivisti palestinesi, israeliani ed internazionali, di Ta'ayush, Gush Shalom ed altri gruppi, le cui manifestazioni non violente e quotidiane vengono disperse con crudele brutalità dall'esercito israeliano. Il Muro e' oggi sull'agenda, come dovrebbe. Ma si tratta, in realtà, di un Muro?

TERMINI CONTRASTANTI

Il termine e' stato controverso sin dall'inizio: "Il Muro di Apartheid" e' il nome palestinese per ciò che gli israeliani chiamano "Barriera di separazione" o "di sicurezza". Preferisco il termine palestinese: "barriera" e' un ridicolo eufemismo per un muro di cemento armato alto 8 metri con un'ampia "striscia di sicurezza" larga 100 metri, tanto per cominciare. Attualmente, l'arsenale di sorveglianza include non solo vedette e telecamere, ma sta sviluppando anche armi automatiche telecomandate che, come fieramente riporta la stampa israeliana, permetterà a gentili soldatesse di sparare ad ogni "movimento sospetto" (leggi: essere umano) mentre sono comodamente sedute, dietro un monitor, in un ufficio con aria condizionata a molte miglia di distanza. Per l'industria dell'assassinio, l'unico limite e' il cielo.

In realtà, entrambi i termini - Barriera e Muro - sono fuorvianti. Anche se la maggior parte della gente sa che il Muro non viene costruito lungo la Linea Verde, ma nella profondità del territorio palestinese, annettendone de facto ad Israele una gran parte (un terzo?), sia barriera che muro suggeriscono un qualche tipo di linea contigua con i palestinesi da un lato e gli israeliani dall'altro. "Noi qui, loro lì", come dichiarava lo slogan elettorale di Barak. Ma e' questo ciò che sta accadendo? No davvero. La realtà e' molto più orribile.

COSA E' IL MURO IN REALTA'

Date un'occhiata alla seguente mappa, adattata da un recente articolo di Amira Hass (Ha'aretz, 25 giugno 2004). Essa mostra un piccolo dettaglio del Muro, nel cosiddetto Triangolo Cristiano a sud di Gerusalemme.






Le linee rosse sono il Muro - in parte già costruito, in parte in costruzione, in parte da costruire. Ora date un'occhiata ai quattro villaggi palestinesi a sinistra: Nahalin, Hussan, Batir, Walaja. Su quale lato del Muro si trovano? Ovviamente, una domanda sbagliata. Essi sono, in realtà, circondati dal Muro, intrappolati da tutti i lati. Batir ed Hussan insieme, Nahalin e Walaja ognuno per conto suo. Considerate la scala: attraversare ciascuna delle enclavi, da un muro all'altro, richiede 10-20 minuti di cammino. Ogni abitante di questi villaggi non e' mai lontano dal muro per più di un chilometro. Non solo le terre agricole, ma le scuole, gli ospedali, le cliniche, i mercati, i negozi, i luoghi di lavoro, per non menzionare quelli di svago, sono tutti fuori. Per uscire, bisogna passare da un cancello, attraverso un checkpoint dell'esercito israeliano. Il cancello sarà probabilmente chiuso - perché e' aperto solo per un paio d'ore al giorno, o perché qualcuno ha deciso di dichiarare lo stato di massima allerta, o perché e' una festività ebraica, o perché il soldato incaricato non si e' svegliato in tempo.

E se accade che il cancello e' aperto, il soldato potrà lasciarti passare (se hai il permesso necessario) oppure no (per qualsiasi motivo, o senza alcun motivo), oppure chiederti qualcosa in cambio: un piccolo regalo, o maledire Maometto, Gesù o Arafat, o una mancia dal tuo vicino o da tuo fratello. Se il tuo lavoro, la tua salute o la vita di tuo figlio dipendono dall'uscire, farai qualunque cosa. La stessa cosa accade se vuoi entrare nel villaggio - in qualità di ospite, guidatore di camion, elettricista o medico.

Ci sono dozzine di villaggi accerchiati in questo modo in tutta la Cisgiordania. Danny Rubinstein fa un rapporto su circa 200.000 palestinesi abitanti a nord di Gerusalemme, molti dei quali in possesso di carta d'identità israeliana, tutti completamente dipendenti dalla città per le scuole, gli ospedali ed i posti di lavoro, tutti costretti a passare attraverso l'unico checkpoint - quello di Kalandiya, sovraffollato e sporco:

"I residenti di queste periferie sono stati inoltre informati dell'ulteriore costruzione di barriere interne che forniranno il passaggio per gli insediamenti. Queste barriere, la seconda fase del progetto del muro di separazione, creeranno cinque grandi isole in cui la popolazione palestinese verrà concentrata in ghetti" (Ha'aretz, 27 giugno 2004).

Talvolta le case sono recintate individualmente: Il Canale 2 della TV israeliana (25 giugno 2004) ha recentemente riportato di due case ai margini di un villaggio palestinese, attorno al quale e' cresciuto un insediamento ebraico. Le due famiglie sono state dunque circondate dalla "loro" barriera, che le separa per tre lati dall'insediamento ebraico e per il quarto lato dal resto del loro (circondato) villaggio.

Dunque questa non e' l'eccezione: e' la regola. Tutti i palestinesi saranno rinchiusi tra queste barriere, ed i più fortunati avranno solo una gabbia più spaziosa. La collocazione del muro segue la consueta regola empirica di Israele: il minimo della terra per i palestinesi, il massimo per gli ebrei. I muri sono costruiti a pochi metri di distanza dalle ultime case di un villaggio, ma, in molti casi, le case vengono distrutte per fare spazio. Persino i campi coltivati e le sorgenti d'acqua vengono lasciate al di fuori del muro, così che non possono più essere accessibili per i loro proprietari. Sulla mappa si può vedere chiaramente come tutte le aree aperte siano assegnate all'insediamento israeliano di Gilo, Har Gilo o Betar Illit, mentre ai villaggi ed alle città arabe non viene lasciato un centimetro di terra libero.

"MURO" E' UN TERMINE NON APPROPRIATO

Ora, questo non e' né una barriera né un Muro. Proprio come non si può chiamare "libro" un foglio o "farina" un pezzo di pane, questo non può essere chiamato Muro. Ciò che Israele sta costruendo in Cisgiordania e' fatto di mura e barriere, ma non e' un muro, né una barriera. E' qualcosa di molto diverso. Non sono sicuro del nome appropriato: ghetti? Centri di detenzione extra-giudiziaria? Prigioni all'aria aperta? Una rete di gabbie per umani? Non sono certo che vi sia un nome appropriato e non sono certo che abbia un precedente, nella storia dell'uomo. Non solo non ha nulla a che fare con il Muro di Berlino, che al confronto e' una miniatura, ha anche molto poco a che fare con i Bantustan dell'Apartheid, i quali erano ciascuno di decine di migliaia di chilometri quadrati. Le gabbie della Cisgiordania coprono pochi ettari ciascuna, che rappresenta qualcosa di molto differente.

Decenni fa, un argomento comune per Israele era che la Cisgiordania e la Striscia di Gaza erano troppo piccole per uno stato palestinese praticabile. Sia come sia, nessuno può sostenere che una gabbia di 2x2 chilometri, senza alcun servizio pubblico, senza riserve di terra per costruirvi case, senza campi, con un cancello custodito da un esercito ostile sia un luogo possibile in cui vivere. Le autorità israeliane lo sanno molto bene; dopo tutto, la loro avidità di terra e' insaziabile. La loro intenzione e' chiara: prima o poi, la popolazione disperatamente ingabbiata dovrà andare via, semplicemente per sfuggire alla morte per fame. Questa e' pulizia etnica, rendere la vita impossibile cosicché i palestinesi siano costretti ad andare via. Più ci avviciniamo alla Linea Verde ed agli insediamenti più grandi, più piccole diventano le gabbie. Queste sono le aree che Israele desidera di più, dunque le condizioni di vita dovrebbero spingere gli indigeni palestinesi ad andare via il prima possibile.


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Coloro che sono interessati ad una giusta pace in Medio Oriente dovrebbero quindi cercare un termine appropriato per la rete di gabbie che sono in costruzione in Cisgiordania, un termine che rifletta la sua vera natura, e iniziare una massiccia campagna per spiegarne il significato. Non e' separazione, ma una distruzione sistematica ed intenzionale delle condizioni basilari che rendono possibile la vita umana, la quale condurrà alla riduzione alla fame di massa - o alla pulizia etnica.




traduzione a cura di www.arabcomint.com
da antiwar.com





Un cuore non può bastare per due.
Nulla è cambiato tranne il mio atteggiamento, così... tutto è cambiato.
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janet
Utente Master

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Posted - 30 June 2005 :  23:33:40  Vedi Profilo Send janet a Private Message  Rispondi quotando
Fatti che meritano di essere citati





- Piano di spartizione ONU ai palestinesi:
Avrete il 47% del 100% di cio' che era originariamente vostro



- Gli accordi di Oslo ai palestinesi:

Avrete il 22 % del 100 % di cio' che era originariamente vostro



- La "generosa offerta" di Barak ai palestinesi:

Avrete l'80% del 22% del 100% della terra che era originariamente vostra



- Il "Piano di Pace" di Sharon del 2000 ai palestinesi:

Vi daremo il 42% dell'80% del 22% del 100% della terra che era originariamente vostra, e questo 42% rimarra' sotto continuo coprifuoco



- I "Sionisti-Americani" ai palestinesi:

Secondo la nostra personale versione della Bibbia, avete diritto allo 0% del 42% dell'80% del 22% del 100% della terra che era originariamente vostra, ma in cui abbiamo vissuto anche noi, per un po' di tempo, circa 2000 anni fa.


- La "road-map" che Bush prospetta per i palestinesi:

Se fermerete la resistenza contro l'occupazione (che noi chiamiamo terrorismo) e
i vostri profughi rinunceranno al loro diritto al ritorno alle case ancestrali, e
accetterete di eleggere solo personaggi graditi a Bush e Sharon, e
accetterete di arrestare tutti i combattenti della resistenza, e
accetterete di far passare le vostre automobili solo sulle strade che Sharon assegnera' al vostro uso, e
non vi opporrete al "muro" che Sharon sta costruendo, e
accetterete di non reclamare Gerusalemme come vostra capitale, e
accetterete che il curriculum scolastico dei vostri figli includa corsi e libri approvati dal governo israeliano, e
accetterete di non fare piu' di tre figli a famiglia,
allora Sharon potra' considerare l'eventualita' di intrattenere negoziati con voi sul 42% dell'80% del 22% del 100% della terra che era originariamente vostra.

da palestine-pmc
traduzione a cura di www.arabcomint.com







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