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janet
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Posted - 11 September 2004 : 18:33:20
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Sabra e Shatila: La storia di Nabil e Munir E prima dei massacri di Nablus, Ramallah e Jenin...
I nonni di Nabil erano di Suhmatah, villaggio della Palestina del nord, presso Akka. Erano contadini e vendevano l'olio pressato dai prodotti del loro oliveto. I genitori di Nabil nacquero e vissero tranquillamente in Palestina fino al 1948, fino a quando la violenza scoppio' nel piccolo paese. I palestinesi si ribellavano alla creazione, sul loro territorio, di uno stato per gli ebrei provenienti dall'Europa. I militanti ebrei, appartenenti ai gruppi paramilitari dell'Hagana, della Banda Stern e dell'Irgun, risposero a questa opposizione terrorizzando la popolazione civile palestinese per incoraggiare un esodo di massa. Furono distrutti centinaia di villaggi, furono perpetrari orrendi massacri ed anche il villaggio dei nonni di Nabil subi' questo destino, allorche' le forze militari sioniste lo accerchiarono e ne espulsero gli abitanti sotto la minaccia delle armi. La famiglia, insieme a centinaia di profughi, intraprese a piedi il triste viaggio verso la frontiera libanese. I nonni di Nabil si stabilirono nel campo profughi di Tel az-Zatar, ad est di Beirut, costruito dall'UNRWA nel 1950. Nel 1960, I genitori di Nabil si sposarono e, a distanza di breve tempo, nacquero 6 figli, tutti nel campo di Tel az-Zatar. Le animosita' tra I profughi palestinesi ed I cristiani libanesi alleati di Israele nel tentativo di sradicare la presenza palestinese dal Libano, si facevano sempre piu' dure. Nel corso degli anni 70, I falangisti libanesi tentarono piu' volte di annientare il campo profughi. I bombardamenti erano quotidiani, come pure le vittime. Il fratello maggiore di Nabil fu ucciso nel 1975. Nel giugno 1976, il campo di Tel az-Zatar fu cinto d'assedio e bombardato. Il padre di Nabil resto' ucciso un mese dopo. Dopo un assedio di due mesi, I miliziani falangisti riuscirono ad entrare nel campo e vi massacrarono 2000 tra profughi palestinesi e libanesi. Nabil, che all'epoca aveva 13 anni, sua madre e cio' che restava della sua famiglia, scapparono dal campo. I falangisti li trasportarono su camion al loro quartier generale, dove separarono gli uomini maggiori di 14 anni dalle donne e dai bambini. Questi ultimi furono spinti oltre la linea verde che separava Beirut est da quella ovest, mentre degli uomini non si seppe piu' nulla. Le donne e I bambini furono accolti nel campo profughi di Rashdieh. Qui la famiglia visse, con altri parenti, per due anni. Nel 1979, I continui bombardamenti di Israele sul campo, spinsero la famiglia di Nabil presso Sidone, una citta' tra Beirut e Rashdieh. Per tre mesi la loro casa fu un garage, condiviso con altre cinque famiglie. I bombardamenti israeliani li spinsero a rifugiarsi nel campo profughi di 'Eyn al-Hilweh e poi a Burj al-Barajneh, un altro campo profughi presso Beirut. Infine, nel 1980, la famiglia compro' una casa nel campo profughi di Shatila. Il piano scolastico dell'UNRWA terminava al terzo ciclo, ma Nabil fu iscritto ad una scuola privata. La retta era pagata da un ramo dell'OLP che sosteneva le famiglie I cui sostenitori erano stuccisi. Qui Nabil raggiunse il diploma. Al tempo stesso, il giovane lavorava nell'edilizia per sostenere la famiglia, mentre sua madre preparava il pane da vendere ai ristoranti e sua sorella si dedicava ai lavori di ricamo a punto a croce. Durante I pesanti bombardamenti israeliani ai dintorni del campo, la famiglia trovo' riparo a Beirut, ma, alla fine di agosto 1982, fece ritorno a Shatila con altri 10.000 profughi, per trovare la casa danneggiata, insieme a quella di molti altri. Non vi era elettricita', ne' acqua corrente, ma era l'unico luogo in cui potevano restare. Il giorno dopo l'assassinio di Gemayel, l'esercito israeliano circondo' I campi, e cominciarono I bombardamenti. Nabil e la sua famiglia trovarono scampo in un rifugio, ma, allorche' ne stavano venendo fuori, una donna li rispinse all'interno, urlando che I falangisti erano entrati nel campo ed uccidevano tutti quelli che vedevano.
Quella notte stessa, Nabil, sua sorella col marito, ed un cugino, riuscirono a scappare da Shatila e si rifugiarono a Sabra, presso un ospedale per disabili mentali in cui lavorava una zia. Dal tetto dell'ospedale Nabil vedeva gli elicotteri israeliani che illuminavano a giorno I campi e sentiva spari, ma nessun grido. Il giorno dopo senti' il rumore dei bulldozers. Il sabato mattina ebbe notizia del ferimento di suo fratello e del suo ricovero al Gaza Hospital. Il fratello era Munir, restato con sua madre, le sorelle, I fratelli, uno zio e la sua famiglia ed I vicini di casa, nel rifugio di Shatila. I falangisti erano entrati nel rifugio, avevano preso tutti gli uomini maggiori di 14 anni e li avevano sparati alla nuca, compresi gli zii ed I cugini del ragazzo. Un fratello di Munir fu inseguito dai falangisti fino all'ospedale Akka ed ucciso a colpi d'accetta. Una delle sorelle fu uccisa di fronte a tutti, con un colpo in testa, mentre Munir si nascondeva dietro il corpo di sua madre. Molti, nel rifugio, furono colpiti, ma non tutti morirono. Munir, fingendo di essere morto, si salvo'. Vide I miliziani che strappavano l'oro dalle donne morte e resto' fermo per tutta la notte, coi cadaveri tutti attorno. Quando I falangisti si allontanarono, seppur sanguinante, Munir scappo'da una casa all'altra, senza che nessuno desse segni di vita. Alla fine, alcuni sopravvissuti palestinesi lo raccolsero in strada e lo trasportarono al Gaza Hospital. Dopo diverse traversie, Nabil riusci' a raggiungere l'ospedale, ma non vi trovo' suo fratello. Il giovane si rivolse alla Croce Rossa, dove avevano trovato rifugio molti sopravvisuti al massacro di Sabra e Shatila e dove lo staff riusciva a tenere lontani israeliani e falangisti. Nabil entro' nel campo e passo' attraverso I corpi dilaniati buttati nei cumuli di spazzatura. In particolare vide I cadaveri di 25 amici, giovani con cui aveva trascorso la giornata precedente il massacro. Prima di entrare nel campo, Nabil sperava che qualche membro della sua famiglia fosse vivo: dopo aver visto lo scempio, sperava di poter almeno recuperare I corpi. Per due giorni li cerco', senza successo, tra le cataste di corpi in decomposizione. I morti venivano identificati dagli abiti o dalle scarpe e quelli non identificati furono gettati in una fossa comune. "So che, da qualche parte erano li', anche se non ero riusciti a trovarli. La mia sorellina di 6 anni, quello di 8, di 15, di 13, di 11. E mia madre. La famiglia di mio zio, che contava 11 persone. I nostri vicini…"
Alcuni giorni dopo, Nabil trovo' Munir. Insieme, lasciarono il Libano e si stabilirono negli Stati Uniti. Nabil si e' diplomato in scienze del computer, Munir ha finito le scuole superiori. Il giovane ha detto: "Da un campo all'altro, nulla e' cambiato - la stessa tragedia si ripete, a Rashdieh, Tel az-Zatar, Damur, Sidone, Burj al-Barajneh, 'Eyn al-Hilweh, a Shatila. Siamo abituati alla lotta, ai massacri, alla morte, a tutto cio'. Lo accettiamo, perche' noi palestinesi aspettiamo che arrivi qualcosa ogni giorno, qualcosa in piu' di quello che abbiamo gia' vissuto".
traduzione a cura di www.arabcomint.com
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janet
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Posted - 11 September 2004 : 18:36:21
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Le testimonianze sono state raccolte due anni fa, prima della decisione belga di non processare Sharon
Sabra e Shatila: La testimonianza del dottor Ben Alofs
Sono un medico olandese, e attualmente vivo nel Galles del nord. Nell'estate del 1982 lavoravo a Beirut ovest, che all'epoca era assediata dall'esercito israeliano. Il negoziatore statunitense Philip Habib aveva mediato un accordo, secondo il quale l'esercito israeliano si sarebbe astenuto dall'occupare Beirut ovest, dopo che I fedayn palestinesi se ne fossero allontanati. Il secondo punto fondamentale dell'accordo era che gli USA avrebbero garantito la sicurezza dei civili palestinesi rimasti.
L'evacuazione dei guerriglieri palestinesi, supervisionata da una forza internazionale di pace, prosegui' tranquillamente e fu completata il 1 settembre. Molto prima del 26 settembre, data prevista dagli accordi, la forza internazionale di pace si ritiro' tra il 10 ed il 13 settembre.
Il 3 settembre ebbe luogo la prima violazione degli accordi, ed Israele occupo' Bir Hassan, sobborgo a sud di Beirut. Prima di cio', lo stesso Sharon aveva dichiarato che voleva le forze di pace fuori da Beirut.
Dopo l'assassinio di Bashir Gemayel, il carismatico e spietato leader dei Falangisti alleati di Israele, Ariel Sharon ordino' l'invasione di Beirut ovest, col pretesto di "riportare l'ordine e la legge".
Contrariamente alla sua affermazione, Beirut ovest era perfettamente tranquilla, in quel momento. L'invasione di Beirut fu una grave violazione agli accordi Habib.
Ma la cosa piu' importante e' che, dal momento in cui Israele occupo' Beirut, essa diveniva, in base alla Quarta Convenzione di Ginevra ed ai Protocolli 1, responsabile della sicurezza dei civili sotto il suo controllo.
I giornalisti israeliani Zeev Schiff e Ehud Ya'ari rivelarono il modo in cui Sharon forzo' le milizie falangiste nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila: il 15 settembre egli si incontro' con Elie Hobeika, Fadie Frem e Zahi Bustani (leaders della milizia) e con Amin e Pierre Gemayel, leaders politici del partito falangista.
I leaders israeliani, incluso Sharon, ben conoscevano l'umore dei falangisti a causa dell'assassinio del loro capo (peraltro, sull'assassinio di Gemayel non e' mai stata fatta luce. Che sia stato un altro degli omicidi politici ad opera dei servizi israeliani??).
Tel el-Zatar e' un nome ben conosciuto in Libano ed in Israele. Questo campo profughi di Beirut ovest, in cui incontrai per la prima volta dei rifugiati palestinesi nel 1975, era stato cinto d'assedio per 53 giorni dai miliziani falangisti e maroniti durante l'estate del 1976. Dopo la resa dei palestinesi, la Croce Rossa Internazionale, a cui era stato aperto un "varco sicuro" per il campo, non pote' evitare il massacro di piu' di 1000 civili palestinesi.
I generali israeliani, dunque, ben sapevano cosa sarebbe accaduto ai civili dei campi allorche' Ariel Sharon diede la luce verde ai falangisti di entrare a Sabra e Shatila.
Essi vi penetrarono al crepuscolo del 16 settembre 1982. Mentre veniva compiuto il massacro, io lavoravo al Gaza Hospital di Sabra. La situazione era caotica e confusa. Il nostro obitorio si riempi' di cadaveri in pochissimo tempo, mentre I feriti venivano trasportati senza sosta. Il 17 settembre fu chiaro che I falangisti di Saad Haddad (assoldati ed armati da Israele) stavano massacrando la popolazione civile.
Un bambino di 10 anni fu trasportato agonizzante all'ospedale. Era vivo, ed aveva trascorso tutta la notte sotto I cadaveri dei suoi genitori, fratelli e sorelle. Durante la notte, gli assassini venivano aiutati dagli elicotteri israeliani, che illuminavano I campi con le torce.
Io lavoravo con un team di medici ed infermieri scandinavi, inglesi, americani, olandesi e tedeschi. C'erano pressioni affinche' lo staff dell'ospedale si trasferisse al nord di Beirut ovest.
Sabato mattina 18 settembre, fummo arrestati dai miliziani falangisti di Haddad. Essi ci costrinsero ad abbandonare I feriti ed a lasciare Sabra e Shatila attraverso la strada principale. Passammo attraverso centinaia di donne, bambini ed uomini fatti a ciambella. Vedemmo corpi nelle strade e negli stretti vicoli.. I miliziani spararono contro la nostra auto, chiamandoci "Baader-Meinhof". Una infermiera palestinese, che credeva di essere salva con noi, fu identificata e trasportata dietro un muro. Dopo poco gli spari.
Appena prima di uscire dal campo, vidi un'immagine che restera' per sempre nella mia mente: un grosso cumulo di terra rossa da cui fuoriuscivano braccia e gambe.
Fuori del campo vi era un bulldozer dell'esercito israeliano. Lungo il perimetro sud ed ovest del campo, blindati e carriarmati israeliani.
Dopo averci interrogati nel loro quartier generale, I falangisti ci consegnarono al comando israeliano distante appena 75 metri. Era una costruzione di 4-5 piani ai bordi di Shatila (qualche settimana dopo salii all'ultimo piano. Offriva una visuale perfetta del campo). I soldati israeliani sembravano a disagio al cospetto di piu' di 20 americani ed europei. Ci chiesero cosa volessimo. Tornare al Gaza Hospital, dicemmo. Impossibile, fu detto, troppo pericoloso. Infine, a due di noi fu permesso raggiungere l'ospedale con un lascia-passare in ebraico ed arabo.
Appariva chiaro che c'era coordinazione tra gli israeliani ed I falangisti. Anzi, gli israeliani sembravano avere il controllo su di essi. E se anche fosse stato impossibile agli israeliani vedere cosa avveniva nei campi, singoli soldati furono informati del massacro da reporters che uscivano da Sabra, ma nessuno mosse un dito per fermare la carneficina. Anzi, gruppi di civili che tentavano di scappare dai campi, sventolando fazzoletti bianchi, venivano rispediti indietro, verso la morte.
Anche il sabato che lasciammo i campi, vedemmo milizie falangiste fresche che vi entravano sotto la supervisione israeliana. Swee, un ortopedico del nostro team, mi racconto' che una mamma palestinese aveva tentato di mettergli tra le braccia il suo figlioletto per tentare di salvarlo, ma il piccolo gli fu strappato di mano e ridato a sua madre.
Domenica 19 settembre, tornai a Sabra e Shatila accompagnata da due giornalisti danesi ed un olandese. L'esercito libanese circondava I campi e cercava di tenerne lontani I giornalisti. Riuscimmo ad entrare. Tutti eravamo atterriti dalla ferocia degli assassinii. L'esercito civile libanese aveva cominciato il recupero dei cadaveri non ancora sepolti dai bulldozers. Non sapremo mai quanti civili furono effettivamente trucidati durante quei terribili giorni di settembre 1982. Forse 1500? 2000? O piu'?
Quando le pioggie autunnali iniziarono a cadere, alla fine di novembre, le fogne congestionate inondarono Sabra e Shatila. La congestione era causata in parte dai cadaveri gettati nelle fogne. Altri corpi erano stati sepolti in fosse comuni, coperte da massi che non avrebbero mai dovuto essere aperti, per ordine del governo libanese nella persona del presidente Amin Gemayel, fratello di Bashir. Il primo ministro israeliano Begin commento' : "I goyim uccidono altri goyim e accusano gli ebrei".
Certamente, I responsabili furono Hobeika, Frem e le loro bande, ma il massacro non avrebbe mai avuto luogo se Sharon non avesse ideato l'eccidio e non l'avesse reso possibile dando via libera per l'operazione.
Sharon voleva distruggere ad ogni costo cio' che restava delle infrastrutture palestinesi in Libano. Io ero a Sabra e Shatila e quelli non erano 2000 "terroristi", come proclamava Sharon. I soli "terroristi" rimasti erano alcuni ragazzini di 10-12 anni che cercavano di proteggere le loro famiglie imbracciando piccoli fucili, di quelli uasti per cacciare gli uccelli. Certo, se soltanto fosse stato consentito ad un centinaio di fedayin palestinesi di restare a protezione dei campi, niente di simile sarebbe accaduto.
Quando qualcuno mette un serpente velenoso nella culla di un neonato ed il bimbo muore, la responsabilita' e' di chi ha messo il serpente nella culla. Quindi I generali israeliani Eitan, Dori e Yaron sono direttamente responsabili, ma piu' di tutti, Ariel Sharon. Lui fu l'ideatore, il boss. Colui che desiderava stornare I palestinesi da Beirut per spingerli in Giordania, "il loro stato", secondo lui. DeiYassin rivisitat.
"Animali a due piedi", defini' Begin I palestinesi nel 1982. Eitan li paragono' a "scarafaggi impazziti in bottiglia": questa disumanizzazione dei palestinesi era ed e' ancora la causa dell'insensibile noncuranza dell'esercito israeliano verso la vita dei palestinesi.
I 400.000 israeliani che manifestarono a Tel Aviv devono essere lodati, poiche', se non altro, fecero in modo che una commissione d'inchiesta indagasse sull'eccidio. Il giudice libanese Germanos, a sua perenne vergogna, non fu in grado di stabilire l'identita' dei massacratori falangisti, mentre la commissione israeliana, nonostante le sue conclusioni furono fatalmente alterate, ritenne Sharon "indirettamente responsabile" del massacro, e quindi non adatto a svolgere le funzioni di ministro della difesa..
Ci spieghi allora la Corte Suprema israeliana come un uomo giudicato non idoneo ad essere ministro della difesa possa diventare primo ministro. Alla luce di quanto asserito ed accertato, Ariel Sharon e' un criminale di guerra. Le vittime dei crimini di guerra chiedono giustizia. Intissar chiede giustizia.
Intissar Ismail era una bella diciannovenne palestinese e lavorava come infermiera nel mio stesso reparto, all'ospedale di Sabra. Ricordo il terrore sul suo volto quando alla radio sapemmo della morte di Gemayel. Cercai di tranquillizzarla, ma sei giorni dopo, Intissar trovo' la morte nell'ospedale in cui era di guardia: I falangisti mutilarono il suo corpo in maniera tale che fu possibile identificarla solo da un anello che portava al dito.
Intissar chiede giustizia. Lo vedo, lo sento, quando di sera I 2000 fantasmi di Sabra e Shatila affollano I miei ricordi.
Sarebbe soddisfacente se Ariel Sharon, in visita in Europa, fosse arrestato e trasferito nella prigione di Scheveningen.
Sono troppo cinico se dico che l'Europa fallira' allorche' decidera' di processare I criminali di guerra israeliani?
E sono troppo pessimista se dico che Sabra e Shatila non era il primo ne' sara' l'ultimo crimine commesso da Ariel Sharon?
traduzione a cura di www.arabcomint.com
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janet
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Posted - 01 October 2004 : 17:58:34
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Nessuno pianga
Mentre entra nel suo quinto anno, la seconda Intifada palestinese ha lasciato segni indelebili e presenta sempre più numerose affinità con la prima Intifada (1987-1993) contro l'occupazione israeliana. Quest'ultima scoppiò dopo l'assassinio, per mano di coloni israeliani, di quattro operai palestinesi. L'Intifada delle Pietre, l'epico confronto tra i carri armati dell'occupazione ed i giovani palestinesi armati di sassi, durò quasi sette anni e, per spegnerla, Israele escogitò il trucco del "processo di pace infinito", che mise fine al lancio delle pietre e che segnò l'inizio del periodo forse più buio della storia palestinese: la farsa del processo di pace significò per i palestinesi una doppia occupazione, con i giovani del popolo arruolati nelle forze di "polizia" palestinesi, costretti a badare alla sicurezza dei coloni d'Israele, più che a quella del loro popolo. Durante la seconda Intifada, tutti questi giovani poliziotti saranno scientificamente eliminati, uno dopo l'altro, dalla mano dell'occupante, nel tentativo di delineare un futuro privo di tutte le strutture fantoccio dell' "auto-governo". Nel settembre 2000, anni di amarezza e disillusione esplosero in un nuovo lancio di pietre, questa volta sulla spianata delle Moschee di Gerusalemme, teatro di una provocatoria visita del massacratore di arabi, Ariel Sharon. Per questo, l'Intifada delle Pietre si trasformò nell'Intifada dell'Aqsa: cambiava il nome, ma i protagonisti erano gli stessi. Centinaia di palestinesi disarmati caddero quel giorno - e in quelli successivi - sotto i colpi dell'esercito più potente del Medio Oriente. La resistenza armata comincerà molto dopo. Nei primi tre mesi di intifada, dal 29 settembre alla fine di dicembre, 300 palestinesi vennero uccisi dall'esercito israeliano mentre manifestavano contro l'occupazione. 86 di essi avevano meno di 18 anni. Il mondo assisté impassibile all'abbattimento del popolo palestinese che manifestava nella sua terra occupata per il diritto alla libertà. Mentre la prima Intifada ebbe un carattere eminentemente popolare, la seconda rivolta palestinese assunse, dopo pochi mesi, i contorni di un confronto militare tra i gruppi della resistenza e le forze d'occupazione, in risposta agli incessanti assassini israeliani. Si trattava tuttavia di una rivolta - seppur nella sproporzione delle forze in campo - che Israele non riusciva a soffocare, nonostante l'assedio, l'affamamento, le miserie ed i lutti inflitti alle città palestinesi. Sharon, il massacratore di arabi, promise: "In tre mesi stroncherò l'intifada", ed il popolo lo elesse primo ministro. Gli ci volle molto di più, ed il supporto incondizionato di un'America furbescamente trascinata contro il mondo arabo in una patetica "guerra contro il terrorismo" innescata dopo il misterioso 11 settembre, per perseguire il suo piano di "soluzione finale". I massacri a Jenin, a Ramallah e Nablus; gli oltre 500 bambini abbattuti dalle pallottole intelligenti di Israele - mentre andavano a scuola, erano in casa, per strada, sul tetto, mentre giocavano a calcio con palloni di pezza; il Muro di apartheid che rubava terre palestinesi, risorse palestinesi, aria e case palestinesi; le orde di coloni armati che imperversavano nelle città bloccate dai coprifuoco, sfasciando vetrine, finestre, demolendo orti e giardini, sradicando olivi millenari e coltivazioni; ed il popolo palestinese non si piegava all'ineluttabile.
Per la prima volta nel corso della sua storia, il popolo palestinese decise di utilizzare l'unica arma in grado di bilanciare in qualche modo il terrore inflitto quotidianamente dai jet e dai tanks israeliani: il corpo dei figli della Palestina. L'amarissima risorsa, che ha privato la società di tanti suoi giovani - colti, studenti, intelligenti e disperati - infligge lutti anche ad Israele, in Israele. Il mondo insorge compatto contro la "barbarie": non sia mai detto che i palestinesi usino la sola arma che la comunità internazionale gli ha lasciato per difendere casa, terra, vita e dignità. Che sia messa fine alla "barbarie"! E c'e' chi - patetico - propone di bollare come "criminali di guerra" non già gli occupanti che, dall'alto dei loro jet supersonici lanciano tonnellate di bombe contro case di profughi, ma gli occupati - i giovani palestinesi che non hanno altro per farsi udire da un mondo sordo ed indifferente. Solo le fredde statistiche di morte ristabiliscono la verità di chi sia la vittima e chi il carnefice: 3.287 palestinesi uccisi contro 943 israeliani, molti dei quali militari e coloni d'occupazione, 35.000 palestinesi feriti contro 4.200 israeliani. 2000 case palestinesi distrutte e nessuna casa israeliana distrutta, circa 8000 prigionieri palestinesi e nessun prigioniero israeliano. I martiri palestinesi includono quasi 600 ragazzi al di sotto dei 18 anni d'età, 160 leaders della resistenza, 30 neonati alle cui madri fu negato il permesso di partorire in ospedale. L'11% dei bambini e ragazzi uccisi erano di sesso femminile.
Non sono mancati gli assassini "simbolici": quello di sheikh Yassin, ad esempio: un leader spirituale, un punto di riferimento per il popolo palestinese. "Il messaggio e' il seguente: Israele non ha limiti, né morali né legali. Israele può colpire vecchi ed invalidi, leaders politici e capi religiosi. Se uccidiamo Yassin, possiamo uccidere chiunque; nessun giudice, nessuna moralità, nessuna convenzione e nessuna legge può fermare i nostri missili". (Ran HaCohen, Ritorno alla barbarie"). Sullo sfondo, la decapitazione del braccio politico di Hamas, con l'eliminazione del dottor Rantissi e di tanti altri leaders politici.
La seconda intifada palestinese - a differenza della prima - ha visto la cooperazione stretta e rimarchevole tra tutti i gruppi della resistenza palestinese, quelli d'ispirazione laica e quelli che si rifanno all'Islam, mentre Yasser Arafat, da anni prigioniero nel suo ufficio devastato di Ramallah, ancora ha voce per chiedere che sia ripristinato il "processo di pace". Ha visto inoltre il ruolo incisivo svolto dalle donne palestinesi nello sforzo di resistere all'occupazione. Non solo da quelle che hanno rinunciato alla loro vita per portare a termine operazioni kamikaze, ma anche da quelle ordinarie, le mogli, le madri e le sorelle che hanno perso i loro cari o che ne attendono la liberazione dai campi di prigionia e tortura, e che pazientemente abbracciano il loro fardello nella quotidiana lotta per sopravvivere. Ha visto infine il tentato assassinio della verità, parzialmente realizzato attraverso l'uccisione di otto giornalisti ed il ferimento di altre dozzine. I sopravvissuti, o sono stati comprati o intimiditi, fino al punto di non raccontare al pubblico - tradendo la loro etica professionale - la realtà di un'occupazione brutale che mira all'annichilimento di un intero popolo e della sua storia, alla cancellazione definitiva delle sue tracce.
Nonostante tutto, nonostante questi quattro anni di tormenti inenarrabili per i palestinesi, di violazioni terrificanti per l'esercito d'occupazione, la fiamma dell'Intifada non e' ancora totalmente spenta. Il popolo palestinese - seppur nella drammatica solitudine a cui e' condannato - e' ferito ma non umiliato; e' percosso ma non piegato; e' sanguinante ma in piedi; barcolla ma la testa e' alta. In tanti anni di sofferenza, il popolo palestinese ha sempre dimostrato di saper rinascere, ad ogni difficoltà, "più giovane e bello".
Ma che nessuno nessuno dico che nessuno pianga! Non una lacrima dalle terre segrete del nostro dolore non una lacrima! Perché in piedi in piedi sono morti Che nessuno pianga! In piedi accanto al pozzo e alle radici del pane Che nessuno pianga! In piedi fra le stagioni testarde del loro lavoro Che nessuno pianga! In piedi con le scarpe indosso e con fucili Che nessuno pianga! In piedi da barricate parlando alle stelle Che nessuno pianga! In piedi con gli occhi fissi ai fiumi di Palestina Che nessuno pianga! In piedi tracciando strade immense verso il ritorno Che nessuno pianga! In piedi con doni di speranza ai bimbi del futuro Che nessuno pianga! In piedi Ahmed Fathma Ibrahim in piedi Mervath Abeth Leila in piedi Youssef il nonno e il piccolo Fadh che aveva tre anni in piedi ognuno dei trentamila di Tel el Zaatar e che nessuno nessuno dico che nessuno pianga! Non una lacrima! Perché vedete Li hanno scacciati dalla loro terra e dal loro sogno li hanno dispersi li hanno rinchiusi nei campi gli hanno messo un numero chiamandoli profughi li hanno venduti su tutti i mercati e quando hanno preso il fucile “Banditi!” hanno gridato e li hanno uccisi torturati massacrati divisi e gli hanno detto “Tu non avrai patria!” ed essi in piedi con la loro statura abitano il mondo abitano il mondo abitano il mondo.
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janet
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Posted - 01 October 2004 : 18:29:37
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-EILAT
30-09-2004
Powell ai palestinesi: “Fermate l’intifada”
In un’intervista trasmesso dalla televisione Al-Jazeera in tutto il mondo arabo, il segretario di stato Usa Colin Powell ha sollecitato mercoledì la fine della cosiddetta seconda intifada, i quattro anni di violenze palestinesi contro Israele. “Cosa ha portato l’intifada al popolo palestinese? – ha chiesto Powell – Ha forse prodotto qualche progresso verso uno stato palestinese? Ha forse sconfitto Israele sul campo di battaglia? Dunque è ora di porre fine a questo andamento, è tempo di porre fine all’intifada”. Nello stesso tempo Powell ha detto che il presidente George W. Bush desidera ardentemente contribuire alla nascita di uno stato per il popolo palestinese, che viva in pace a fianco di Israele. “Ciò avverrà solo quando il terrorismo avrà fine – ha detto Powell – Mentre l’intifada in tutti questi anni ha generato terrorismo senza ottenere nulla”. E intanto, ha aggiunto il segretario di stato americano, l’economia del popolo palestinese si è deteriorata, così come le sue condizioni di vita in generale, e Israele ha costruito una barriera per tenere fuori gli aggressori. “L’intifada ci ha impedito di fare progressi con i vari piani di pace proposti”, ha detto Powell. Powell ha nuovamente criticato il presidente dell'Autorità Palestinese Yasser Arafat per non voler cedere poteri al primo ministro Ahmed Qureia (Abu Ala) affinché questi possa davvero utilizzare le forze di sicurezza palestinesi per fermare il terrorismo. Powell ha criticato anche Israele, dicendo che Bush è preoccupato per le attività negli insediamenti e per la mancata demolizione di tutti gli avamposti illegali in Cisgiordania. Ma quando l’intervistatore ha insinuato che stesse incolpando i palestinesi e difendendo “l’occupante”, Powell è sbottato: “Chi sono le vittime? Le vittime sono quelli che vengono fatti saltare in aria con le bombe”. Israele non può far altro che difendersi dando la caccia a coloro che ritiene responsabili degli attentati terroristici, ha concluso Powell, “per cui vi sono vittime su entrambi i versanti di questa faccenda”.
(Da: Jerusalem Post, 29.09.04)
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janet
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Posted - 16 October 2004 : 02:05:51
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Di chi e' la colpa? Una verità che non deve essere rivelata di RAN HACOHEN antiwar.com
Su circa 1.400 parole, e' stata la seguente breve frase ad attrarre quasi tutte le reazioni dei lettori del mio precedente articolo: "Gli stati arabi e la leadership palestinese hanno in effetti riconosciuto il diritto di Israele di vivere in pace, se si ritira dai territori palestinesi occupati nel 1967, mentre Israele vuole tenersi questi territori, anche se non sa esattamente come".
E' davvero impressionante il successo della propaganda israeliana e dei media occidentali nell'oscurare il semplice fatto che l'attuale conflitto sia il risultato di una politica volontaria di Israele, in cui gli arabi ed i palestinesi giocano un ruolo sussidiario. Il sorriso indelebile di Sharon e' giustificato: oggi egli può dire tutta la verità sulla sua risoluta intenzione di perpetuare la guerra e di sabotare ogni iniziativa di pace seria, conservando tuttavia la sua immagine di "uomo di pace". Il cosiddetto "uomo di pace" dice apertamente di aver rifiutato una proposta americana, l'anno scorso, per riesumare i colloqui di pace tra Israele e Siria, e rifiuta in assoluto il ritiro dal Golan occupato (come chiedono la legge internazionale e le risoluzioni ONU). Ammette apertamente le sue intenzioni di non onorare la Road-map americana e sta già preparando gli animi a "decenni di impasse", cioè di violenza. Asserisce la sua volontà di annichilire il presidente dell'Autorità Palestinese, Yasser Arafat, di congelare l'occupazione della Cisgiordania e di impedire per anni la soluzione dei due stati. Niente paura: Sharon può contare su ciò che il ben informato Aluf Benn, di Ha'aretz, definisce "l'ascolto selettivo" da parte del pubblico, che sente solo ciò che vuole sentire. Si tratta infatti dello stesso "ascolto selettivo" - non individuale, ma mediato dall'intera rosa dei media correnti - che si e' dimostrato sordo all'iniziativa di pace araba o a qualsiasi parola distensiva pronunciata da arabi o palestinesi. Contrariamente ai fatti, Israele conserva ancora il termine "pace" come prima associazione di idee che suscita, ed i palestinesi il contrario.
Vediamo ora come i lettori reagiscono a questa semplice verità - cioè che la continuazione del conflitto in Medio Oriente e' colpa di Israele e della sua avidità di terra. Le citazioni in italico che siano senza riferimenti rappresentano le reazioni al mio precedente articolo.
STAI ZITTO!
In primo luogo, vi e' l'approccio di azione-diretta: se non ti piace il messaggio, uccidi il messaggero - o almeno mandalo all'ospedale. "Ran HaCohen, sei molto, molto malato. Hai bisogno di un medico ASAP". Una simile strategia rappresenta una negazione dogmatica: "Questa e' una BUGIA e questa bugia rende irrilevante l'articolo". Nessuna spiegazione.
PARLIAMO D'ALTRO
Un'accusa inevitabile (spesso combinata alle disturbanti allusioni sull' "anti-semitismo di riflesso della sinistra") e': "dove e', nel tuo articolo, anche il minimo accenno agli attentati terroristici?". Ogni volta in cui vengono menzionati occupazione e insediamenti - il nocciolo del colonialismo israeliano, dunque il nocciolo del conflitto - si chiede immediatamente di cambiare argomento e di parlare di "terrorismo" e di "sicurezza". Non e' una coincidenza, né una legge di natura: e' un'istruzione estrapolata direttamente dalle linee guida scritte della propaganda israeliana. Ammettendo con discrezione che "le colonie sono il nostro tallone d'Achille", le linee guida suggeriscono che "la migliore risposta (la quale e' ancora piuttosto debole) e' il bisogno di sicurezza". Dopo tutto "la sicurezza e' divenuto il principio chiave per tutti gli americani", dunque "la sicurezza e' il contesto mediante cui spiegare [...] perché Israele non può cedere la terra".
Mi dispiace, amici, il ministero degli Esteri israeliano ha più che abbastanza giornalisti che facciano l'eco della sua propaganda; io non ne faccio parte. Inoltre parlerò di terrorismo quando vorrò; ma prima parlerò del suo terreno di coltura, che e' l'occupazione, il rifiuto, gli insediamenti israeliani.
MITOLOGIA E BUGIE
Poi entriamo nella mitologia: "L'autore di quest'articolo tende a dimenticare che ai palestinesi fu offerto tutto ciò che egli ritiene necessario per la pace, e loro rifiutarono", scrive un lettore. "Dobbiamo ricordare che Arafat voltò le spalle all'accordo del secolo, solo pochi anni fa", dice un altro. "I palestinesi avrebbero avuto quasi l'intera Cisgiordania e Gaza, risarcimenti per i profughi ed altro [...] se Arafat non avesse abbandonato il tavolo nel 2000", ripete un terzo. Davvero: l'invincibile leggenda di Ehud Barak, confutata già da tempo, in quanto un misto di bugie e fiction, da Robert Malley, tra gli altri, il quale presenziò personalmente agli incontri a Camp David e dimostrò nel dettaglio "i motivi per i quali la cosiddetta generosa offerta israeliana non era né generosa, né israeliana, né tanto meno un'offerta". Non c'e' bisogno di ripetere tutto qui. Ma una buona fiction e' più forte di qualsiasi prova storica, e la gente preferisce credere alla sua mitologia più che a testimoni di prima mano che contraddicono i loro pregiudizi.
IL BOTTINO DELLE DOTTRINE DI GUERRA
Dopo di che, abbiamo l'estremista degli affari. Un "manager operazionale" mi scrive: "Quando ottieni dei beni immobili durante una guerra, essi sono tuoi e coloro che li hanno persi devono arrangiarsi". La vita delle persone, la loro libertà ed i loro fondamentali diritti umani sono elegantemente ridotti a "proprietà immobili", ma nello stile rivelatore del giornalista, i termini pseudo-economici non riescono a cancellare tutta la violenza fisica che si nasconde dietro di essi.
Questa argomentazione popolare (ma totalmente errata) sulla guerra come lucroso affare immobiliare mi giunge in due versioni. La variante che abbiamo appena sentito arguisce che in guerra, la parte vincente si tiene il bottino: "La forza crea i diritti". La versione opposta della stessa argomentazione sostiene che, in guerra, l'aggressore viene punito con perdite territoriali: "Il crimine non paga". "Uno dei modi accettabili di punire i paesi bellicosi e' attraverso perdite territoriali", scrive un deficiente su Ha'aretz. E' curioso come una completa bestialità ed un'asserzione pseudo-morale possano produrre lo stesso risultato.
Infatti, entrambi i ragionamenti sono errati. Ci e' voluta la corsa umana verso la Seconda Guerra Mondiale e le sue centinaia di milioni di vittime per capirlo e per proibire ogni acquisizione territoriale ottenuta con la violenza. Dal 1945 nessuno stato al mondo e' riuscito a modificare con la forza i suoi confini ed a farla franca. La questione del "chi ha cominciato" e' irrilevante: ogni paese in guerra si dipinge come la vittima e da' la colpa all'altra parte; persino le aggressioni non provocate possono essere presentate come misure preventive di auto-difesa.
Così, l'Iraq non poté tenersi il Kuwait come bottino di guerra, l'Indonesia fu buttata fuori da Timor Est, la Russia dall'Afghanistan, Israele dal Libano e dall'ultimo granello di sabbia del Sinai egiziano. Nondimeno, né l'Iraq, né l'Indonesia, né la Russia, né Israele hanno perso un solo metro del loro territorio come punizione per l'aggressione. Così funzionano le cose: nell'era post-Seconda Guerra Mondiale, le frontiere possono essere spostate esclusivamente con mezzi pacifici. Persino l'Impero Americano, nonostante la sua auto-convinzione di essere nel giusto, sottolinea sempre il suo impegno a salvaguardare l'integrità territoriale dei paesi che conquista abitualmente.
DUE PER UN TANGO
Non posso trattare qui tutte le argomentazioni che ho ricevuto. Della tipica strategia di immergersi nella storia per far pagare ai palestinesi i presunti peccati dei loro antenati, ho già scritto alcune parole in un precedente articolo. Un ultimo argomento che vorrei menzionare brevemente e' la "semplificazione eccessiva": "Non e' così semplice". Questo e' sempre vero. Per ballare un tango ci vogliono due persone. Se i palestinesi avessero rinunciato alla loro terra, all'acqua ed ai diritti umani in silenzio e fossero andati a vivere altrove, o meglio avessero rinunciato del tutto alla vita, avremmo potuto avere la pace molto tempo fa; quindi e' colpa loro. Ma e' una visione morale ed imparziale, questa? Non ne sono affatto convinto. Una cosa e' asserire che nessuna parte e' esclusivamente responsabile in un conflitto. Ad esempio, il moralmente condannabile terrorismo palestinese contro i civili israeliani e' stato molto contro-producente per la pace (per non parlare di quello israeliano contro i palestinesi). Ma saltare da questa ragionevole asserzione alla affermazione che le due parti sono ugualmente responsabili per il conflitto in corso significa balzare dal senno comune alla barbarie, e ciò ad esclusivo vantaggio, come sempre, della parte più forte.
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janet
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Posted - 20 October 2004 : 01:49:27
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I giorni della penitenza di Jennifer Loewenstein Palestine Chronicle
Il 29 settembre, membri dell'ala militare di Hamas hanno sparato un razzo Qassam oltre la frontiera di Gaza nella città di Sderot, uccidendo due bambini israeliani. Non era la prima volta che membri di Hamas colpissero la città, ma e' l'unica volta in cui sono morti dei civili. I lanci dei razzi Qassam sono tentativi altamente simbolici di mandare ad Israele il messaggio che i palestinesi non si arrenderanno alla decennale occupazione della loro terra ed ai piani a lungo termine di Israele.
Questi lanci sono strategicamente contro-producenti, oltre che essere illegali dal momento che prendono di mira civili: essi danno ad Israele il pretesto perfetto per portare a termine il suo obiettivo di rubare più terra, appropriarsi di tutte le risorse naturali e spossessare e ri-collocare la popolazione indigena in prigioni di terra isolate, sovraffollate e militarmente accerchiate. Cosa abbastanza normale, Israele ha ancora una volta cinicamente utilizzato la morte di innocenti, usandoli come scusa per lanciare l' "Operazione Giorni della Penitenza", una massiccia incursione militare senza limiti precisi nella striscia di Gaza, un'operazione pianificata da mesi, se non da anni.
In una sola settimana, i soldati israeliani hanno ucciso più di 100 palestinesi, molti dei quali civili e più di un quarto dei quali bambini. Hanno demolito le case di dozzine di famiglie, squassato intere strade, sfasciato negozi, sradicato alberi, chiuso scuole, tagliato acqua e corrente elettrica a migliaia di persone, condotto raid aerei ed omicidi extra-giudiziari e chiuso i checkpoint fortificati a Gaza e lungo il confine, impedendo il flusso di traffico umano e automobilistico. Hanno cinto d'assedio il disperatamente sovraffollato campo di Jabalia, un miglio quadrato di terra abitato da 106.000 profughi, preso controllo delle città di Beit Hanun e Beit Lahya nel nord di Gaza, ed impediscono alle organizzazioni internazionali di emergenza di distribuire cibo, acqua e rifornimenti sanitari. Intendono creare una "zona cuscinetto" di cinque miglia apparentemente per bloccare il lancio dei razzi Qassam, ma in realtà con l'obiettivo di annettere ad Israele il nord della striscia di Gaza (inclusi gli insediamenti illegali) prima di "disimpegnarsi" da Gaza - l'ultimo eufemismo per definire il ridispiegamento dell'esercito israeliano dentro e attorno Gaza "in cambio" dell'annessione di ancora più consistenti pezzi di Cisgiordania ad Israele.
In breve, Israele ha creato l'ultima crisi umanitaria per far capire ad un popolo occupato, diseredato e sofferente chi e' il boss - e ci sta riuscendo grazie al supporto del suo principale protettore. Martedì 5 ottobre 2004, gli USA hanno posto il veto ad una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che criticava l'ultima invasione israeliana delle terre palestinesi. Unito al consueto ed assordante silenzio dei media sull'evento, il veto USA ha messo fine a qualsiasi ulteriore dibattito sull'ultimo crimine commesso da Israele contro i palestinesi.
La scelta del tempo non avrebbe potuto essere più perfetta. Con le elezioni presidenziali USA che incombono, un dibattito vero sulle reali intenzioni israeliane in Palestina e' ancora più improbabile. Nessun candidato che voglia proseguire la sua carriera politica può permettersi di criticare Israele, neanche in maniera molto blanda. Le influenti costituenti politiche combinate al potere dei media corporativi sono in grado di macchiare la reputazione di chiunque osi suggerire che Israele debba essere fermato.
Probabilmente, cosa più importante, arrivare al cuore della questione israelo-palestinese significherebbe interrogarsi sull'intera politica estera americana in Medio Oriente; sottolineerebbe il fatto che in nessuno stato arabo o islamico al mondo ( per non parlare del resto) si può discutere della politica estera mediorientale degli USA senza immediatamente identificare la sua servile, criminale politica verso Israele. Divulgherebbe il punto morto ed il caos verso cui, in Iraq, stanno precipitando i nostri candidati alla presidenza esponendo le superficiali "soluzioni" imposte dall'esterno. Suggerirebbe che vi sono reali e giustificate ragioni per il crescente anti-americanismo in quell'area ed altrove.
Questo e' inaccettabile - dunque ogni critica viene oscurata. Le potenti organizzazioni filo-Israele negli Stati Uniti, inclusa la principale organizzazione della comunità ebraico-americana, hanno il permesso di prevalere sulle nostre opinioni con la loro sempre più cattiva e razzista propaganda contro arabi e musulmani. Sono loro che ci impediscono persino di sentire notizie di individui palestinesi, come la 13enne Iman al-Hams, di Rafah, che, mentre tornava a casa da scuola questa settimana (la settimana scorsa, ndt), e' stata uccisa da militari israeliani che l' hanno definita "una sospetta terrorista". I medici hanno trovato 20 pallottole nel suo corpo, cinque delle quali in testa.
Chi l'avrebbe mai saputo, qui?
a cura di www.arabcomint.com
Jennifer Loewenstein e' una giornalista freelance ed attivista per i diritti umani. Ha lavorato al Mezan Center per i diritti umani a Gaza City per cinque mesi, nel 2002. Nel febbraio 2003 Jennifer ha fondato il progetto di gemellaggio tra Madison e Rafah, ed ha visitato il campo profughi nel gennaio 2004, con la prima delegazione in visita a Rafah. Insegna al'univerità di Wisconsin-Madison. Può essere contattata all'indirizzo: jsarin@facstaff.wisc.edu
Un cuore non può bastare per due. |
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janet
Utente Master
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Posted - 30 October 2004 : 02:32:13
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La guerra uccide il corpo L'occupazione uccide l'anima in Palestina come in Iraq
Un futuro da guardare attraverso le grate dell'occupazione
Occhi neri che sorridono, nonostante tutto ... come in Palestina
Un nuovo ordine mondiale e' un mondo senza piu' guerra ne' ingiustizia
Un cuore non può bastare per due. |
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