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janet
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Posted - 25 January 2004 : 21:00:15
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Dove nascono l'odio e la disperazione di Gideon Levy
Le dozzine di checkpoints interni in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza sono inasprite da centinaia di altri ostacoli: massi di cemento armato, montagne di terreno, cancelli d'acciaio chiusi a chiave, barriere, muri, blocchi stradali a sorpresa, trincee e fossi - una gamma completa di metodi d'imprigionamento. Nessun altro popolo al mondo, oggi, e' incarcerato come lo e' quello palestinese, da anni, a causa nostra.
Tutti i checkpoints creati dall'esercito israeliano nei Territori occupati sono immorali ed illegittimi. Di conseguenza, devono essere rimossi senza condizioni. Non vi e' alcuna ragione per spiegarne il compito di sicurezza. Se anche qualcuno riuscisse a dimostrare che esiste una relazione tra il rinchiudere i palestinesi nei loro villaggi e la prevenzione degli attacchi in Israele - il che e' altamente dubbio - non vi sarebbe alcuna differenza. Uno stato che si definisce legale non può adottare misure immorali ed illegittime.
Ugualmente irrilevante e' la discussione sulle condizioni fisiche esistenti ai checkpoints. Disgraziati come sono, migliorarli non aggiungerà nulla alla loro legittimità. La sola questione lecita e': perché esistono questi checkpoints nei territori occupati? Secondo quale diritto? Solo per soddisfare i coloni ed abusare dei palestinesi? E' irrilevante anche la questione se gli ordini che ricevono i militari israeliani siano legali o meno. E' il soldato che ha lasciato passare un ragazzo ferito attraverso il checkpoint di Beit Iba, la settimana scorsa, ma ha impedito il passaggio ad un uomo con l'ernia del disco?
La risposta e' irrilevante. Il solo fatto che egli sia lì, e che gli sia conferita l'autorità di privare arbitrariamente un popolo del diritto basilare di muoversi all'interno della sua terra, e' immorale. Dunque, l'iniziativa di porre militari che parlano arabo ai checkpoints e' ridicola. Privare qualcuno dei suoi diritti parlandogli in arabo e' tutto meno che morale.
Uno stato che si definisce una democrazia non imprigiona tre milioni e mezzo di persone nei loro villaggi e città, taglia il loro paese in strisce e dichiara che le strade sono per i soli ebrei. In Israele, tuttavia, non si ritiene che l'illegittimità dei checkpoints sia una buona ragione per rimuoverli. L'unica discussione che può capitare di sentire e' sulla loro utilità per la sicurezza e sul bisogno di migliorare la condotta dei militari. Una commissione speciale stabilita non molto tempo fa dal coordinatore del governo per le attività nei territori sta esaminando le azioni dell'esercito in quattro differenti checkpoints. Non c'e' alcun bisogno di una commissione: tutto ciò che si deve fare e' smantellarli. Un'altra iniziativa del parlamentare di Meretz, Roman Bronfman, che la scorsa settimana ha convocato un gruppo di deputati che visiteranno e monitoreranno gli eventi ai checkpoints, e' ugualmente encomiabile. Come l'articolo di Ha'aretz scritto dall'ex sindaco di Tel Aviv e generale maggiore in pensione Shlomo Lahat, il quale descrive ciò che egli ha visto ai checkpoints, questa nuova iniziativa parlamentare riuscirà a generare interesse su ciò che accade in quei luoghi. I parlamentari vedranno con i loro occhi e racconteranno al pubblico ciò che i militari fanno: le donne in travaglio costrette ad aspettare, in piedi, senza fine, le donne obbligate a dire ai militari che stanno sanguinando, affinché i loro cuori si ammorbidiscano, il ragazzo che implora il soldato di lasciarlo passare per andare a visitare suo nonno. Ma questa iniziativa non deve avere come obiettivo il miglioramento delle condizioni ai checkpoints, bensì la loro rimozione immediata.
Dal primo giorno d'occupazione, i palestinesi non sono mai stati sottoposti ad una violenza più dura di quella che li priva della libertà di muoversi. Le dozzine di checkpoints interni in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza sono inasprite da centinaia di altri ostacoli: massi di cemento armato, montagne di terreno, cancelli d'acciaio chiusi a chiave, barriere, muri, blocchi stradali a sorpresa, trincee e fossi - una gamma completa di metodi d'imprigionamento. Nessun altro popolo al mondo, oggi, e' incarcerato come lo e' quello palestinese, da anni, a causa nostra. Tuttavia, la maggior parte degli israeliani non sa la vera dimensione di questo imprigionamento. La confusione che esiste tra i checkpoints posti sulla linea verde del 1967, legittimi perché costituiscono una sorta di "confine" tra due entità, e quelli interni, che sono la maggioranza e che non hanno altro scopo se non quello di tormentare la vita della popolazione, accresce questa inconsapevolezza. Invisibili in Israele, i checkpoints della Cisgiordania e di Gaza umiliano quotidianamente un intero popolo. Ciò non ha nulla a che vedere con la sicurezza - o forse ce l' ha: i checkpoints sono la grande fucina del terrorismo. E' lì che vengono fomentati odio e disperazione. "Funzionari umanitari ai checkpoints?". Questa e' una frase inaccettabile tanto quanto la contraddizione interna dell' "occupazione illuminata". In Palestina si nasce così
E' difficile immaginare cosa significhi passare attraverso un checkpoint - situato, diciamo, tra Ramat Hasharon e Tel Aviv - con un soldato straniero che ti umilia ed un'ottima probabilità di essere vergognosamente rispedito indietro da dove sei venuto. In questo spettacolo, persino il funzionario più umanitario recita un ruolo distintamente disumano. Un giorno dovremo rispondere a domande che oggi non sono sull'agenda pubblica: Chi ci ha dato il diritto di decidere del destino di un altro popolo? Con quale autorità imprigioniamo da anni milioni di persone? Quando ciò accadrà, la questione se il soldato avrà lasciato passare la partoriente o se conosce la lingua araba diverrà secondaria, come dovrebbe essere.
da "Ha'artez", 18 gennaio 2004
Un cuore non può bastare per due.
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janet
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Posted - 05 February 2004 : 01:29:33
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I dimenticati. Viaggio ad 'Ayn al-Hilweh di ALASDAIR SOUSSI
Con gli eventi mediorientali che diventano sempre più prominenti nelle relazioni internazionali, i problemi generati da Palestina ed Israele non passano inosservati sui media mondiali o presso il pubblico in generale.
In verità, il problema dei profughi palestinesi non si limita ai confini di Israele, ma e' un fenomeno presente in paesi quali il Libano - uno stato che si sta ricostruendo dopo anni di guerra. Entro il Libano, circa 400.000 profughi sopravvivono a stento in campi simili a ghetti, nelle periferie di Beirut, Tiro, Tripoli e Sidone.
Il più grande di questi, 'Ayn al-Hilweh, a sud della città libanese di Sidone, ospita circa 70.000 persone, in condizioni simili a quelle delle poverissime "shanty-town" del Perù.
'Ayn al-Hilweh fu creato nel 1948, per ospitare i palestinesi scacciati dalla loro patria. All'entrata del campo, si e' accolti da un cartello che decreta la volontà del popolo palestinese all'interno. Sidone - una povera ma dignitosa città libanese - e' alle spalle, e qui c'e' un mondo diverso, governato da regole diverse, in cui la gente vive sperando nel ritorno in una Palestina libera e pacifica.
Faccio visita al capo del movimento Fatah entro il campo, Ahmad Shabaytah, un uomo piacevole, e resto colpito dalla sua propensione a diventare poetico parlando delle disperate condizioni sociali di 'Ayn al-Hilweh. In una stanza occupata da quattro guardie del corpo, di cui una armata di fucile, Shabaytah, nato e cresciuto nel campo, parla dell'ironia insita nella creazione di questo sito.
"Questo pezzo di terra ci fu dato nel 1948 dal governo libanese, che all'epoca simpatizzava con le nostre sofferenze, come "rifugio temporaneo" per il popolo palestinese", dice. "Siamo invece qui da 55 anni. Eravamo 35.000 persone, ma, a causa dei conflitti interni scoppiati in Libano, molti profughi si riversarono nel campo ed oggi siamo in 70.000. La crescita della popolazione, tuttavia, non ha coinciso col miglioramento della situazione generale. La vita quotidiana, qui, e' responsabilità dell'UNRWA, la quale non adempie ai suoi obblighi a causa di pressioni esterne esercitate dagli USA".
Continua: "Dalla firma degli accordi di Oslo, la pressione americana su di noi e' aumentata. Gli USA puntano a gettarci nella disperazione e fanno continue pressioni anche sul governo libanese che ci ospita, affinché ci sia conferita la cittadinanza, con la quale perderemmo automaticamente il nostro diritto al ritorno in patria".
Questa pressione, secondo Shabaytah, e' la responsabile principale del grave collasso sociale verificatosi nel settore dell'istruzione e della sanità ad 'Ayn al-Hilweh. "Il sistema educativo del campo e' simile a quello vigente in ogni altra parte del Libano", dice, "ma, mentre nel resto del paese gli studenti frequentano le strutture educative dalle 8 alle 14, nel campo, a causa del sempre crescente numero di studenti, dobbiamo fare due o tre turni per poterli sistemare tutti. I turni influenzano la qualità dell'insegnamento, perché gli studenti non hanno abbastanza tempo per istruirsi in maniera adeguata. Il numero di studenti e' aumentato, ma quello delle scuole e' rimasto lo stesso. Allo stesso modo, il numero di studenti per classe e' passato da 30 a 60".
Nonostante ciò, Shabaytah e' fiero della forte risolutezza che molti palestinesi hanno mostrato in termini di abilità a prosperare nei circoli accademici. "Nonostante tutte le difficili circostanze educative, gli studenti palestinesi hanno un talento innato per la matematica e la fisica". Purtroppo, in un'area in cui le opportunità sono rare e le situazioni quotidiane catastrofiche, molti professionisti, come medici ed ingegneri, sono costretti a guidare taxi e a vendere uccellini per sopravvivere.
"Il governo libanese ha emanato un decreto che impedisce ai palestinesi di esercitare 72 professioni al di fuori del campo", spiega. "Prima era loro permesso di dedicarsi a lavori di forza fisica, come ad esempio costruire strade, ma ora non più. Non abbiamo diritti". Il suo futuro lo spiega con estrema semplicità. "Morirò qui come martire oppure tornerò nella mia terra", dice con fermezza. "O questo o quello".
Il mio prossimo appuntamento richiede mezzo chilometro in macchina attraverso le rovinate strade del campo. Con una guardia armata nel retro dell'automobile, ci occorrono circa 10 minuti per schivare i numerosi ostacoli lungo il nostro tragitto. Occhi sospettosi ci scrutano dai negozi sui fianchi della strada, dove frutta e carni sono disposte in bella mostra nel sole di mezzodì. Un altro gruppo di uomini mi aspetta in una stanza semibuia. Al suono di un ventilatore da soffitto, Ghazi Assadi, l'unico membro indipendente della Commissione Popolare del campo, sembra nervoso ma, come Shabaytah, e' pronto a descrivere le sofferenze quotidiane, le quali, egli dice, sono entrate in una spirale al di fuori di ogni controllo. "La mancanza di cure mediche e' il problema peggiore, qui", dice. "L'UNRWA e' l'unico organismo che fornisca servizi ai palestinesi ma e' in deficit di bilancio da molto tempo, specie dopo gli accordi di Oslo. Quando abbiamo bisogno del ricovero in ospedale, essi ci mandano agli ospedali privati del Libano. E, comunque, anche lì i posti letto per i palestinesi sono limitati. Il numero di letti e' molto inferiore al numero di pazienti". "La gente qui non ha soldi", dice. "La maggioranza viene lasciata soffrire. I palestinesi bisognosi di operazioni al cuore o i malati di età superiore ai 60 anni non vengono curati. Abbiamo disperatamente bisogno del supporto della comunità internazionale".
Più allarmante e' lo stato delle strutture sanitarie pubbliche nel campo. La presenza di 70.000 palestinesi a cui badare e soli cinque medici - stipendiati direttamente dall'UNRWA - fornisce una prova evidente della tragica situazione che i palestinesi ordinari si trovano a dover affrontare. "Se dovessimo parlare di sanità, occorrerebbe un giorno intero", conclude, con un sorriso forzato.
Quando la discussione arriva all'argomento "crimine", Assadi fa una osservazione, che mette in luce le dure realtà di 'Ayn al-Hilweh senza il minimo tono sarcastico. "Sorprendentemente, il crimine qui e' molto basso, nonostante il fatto che abbiamo problemi di conflittualità tra le varie fazioni".
Fonte: Palestine Chronicle
Un cuore non può bastare per due.
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janet
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Posted - 05 February 2004 : 20:19:48
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Aspettando i barbari di Ari Shavit
Il professor Benny Morris, lo storico di sinistra che ha aperto il vaso di Pandora del Sionismo, ha cambiato il proprio modo di confrontarsi con i diavoli che ha liberato. Egli giustifica l'espulsione degli arabi nel 1948, rimpiange il fatto che il lavoro non sia stato completato, e in certe condizioni non esclude un'ulteriore espulsione anche per questa generazione. Con la riedizione dei suoi libri, spiega cos'altro bisognerebbe fare per fermare i nuovi barbari.
Benny Morris afferma di essere sempre stato sionista. Si sbagliava chi lo considerava un post-sionista, chi pensava che i suoi studi storici sulla nascita del problema dei profughi palestinesi servissero a sminuire l'impresa sionista. Morris afferma che si tratta di assurdità, completamente infondate. Molti lettori hanno semplicemente frainteso il libro. Non l'hanno letto con la stessa obiettività, la stessa neutralità morale con la quale è stato scritto. Così sono giunti alla conclusione errata secondo cui quando Morris descrive gli atti più crudeli che il movimento sionista compì nel 1948 lo faccia con un tono di condanna, che quando descrive le espulsioni di massa lo faccia con un tono di denuncia. Non immaginavano che il grande documentarista dei peccati del sionismo di fatto si identificasse con questi peccati. Che pensa che alcuni di questi, per lo meno, fossero inevitabili.
Due anni fa, iniziarono a emergere opinioni diverse. Lo storico che veniva considerato un estremista di sinistra all'improvviso affermò che Israele non aveva nessuno con cui parlare. Il ricercatore che era stato accusato di odiare Israele (e che veniva boicottato dalle istituzioni universitarie israeliane) iniziò a pubblicare articoli in favore di Israele sul quotidiano inglese The Guardian.
Mentre il cittadino Morris ha smesso di essere una colomba bianca, lo storico Morris ha continuato a lavorare alla traduzione in ebraico della sua imponente opera "Vittime: storia del conflitto arabo-sionista, 1881-2001", che era scritto nel vecchio stile pacifista. E al tempo stesso lo storico Morris ha completato la nuova versione del suo libro sulla questione dei profughi, che servirà da sostegno a chi odia Israele. Quindi negli ultimi due anni il cittadino Morris e lo storico Morris hanno lavorato come se non ci fosse alcun legame fra i due, come se uno stesse cercando di salvare quel che l'altro continua a cercare di distruggere.
Entrambi i libri verranno pubblicati il mese prossimo. Il libro sulla storia del conflitto arabo-sionista verrà pubblicato in ebraico da Am Oved di Tel Aviv, mentre la Cambridge University Press pubblicherà "La nascita della questione dei profughi palestinesi riesaminata" (fu pubblicata la prima volta da CUP nel 1987). Questo libro descrive con dettagli agghiaccianti le atrocità della Nakba. Morris non ha paura delle implicazioni politiche attuali delle sue ricerche storiche? Non ha paura di aver contribuito a trasformare Israele in uno Stato quasi pariah? Dopo alcuni attimi di esitazione, Morris ammette che è così. A volte ha veramente paura. A volte si chiede cosa ha fatto.
E' basso, paffuto e molto emotivo. E' figlio di immigrati inglesi, nato nel kibbutz Ein Hahoresh e membro del movimento giovanile di sinistra Hashomer Hatzair. In passato, è stato cronista del Jerusalem Post, e si è rifiutato di fare il servizio militare nei territori. Ora è professore di storia all'Università Ben Gurion del Negev a Beer Sheva. Ma seduto in poltrona nella sua casa di Gerusalemme, non indossa gli abiti di un cauto accademico. Tutt'altro: Morris fa scaturire le proprie parole, con rapidità ed energia, spesso parlando in inglese. Non ci pensa due volte prima di sparare le dichiarazioni più pungenti e shockanti, tutt'altro che politicamente corrette.
Descrive sbrigativamente spaventosi crimini di guerra, dipinge visioni apocalittiche con il sorriso sulle labbra. Dà all'osservatore la sensazione che questo frenetico individuo, che con le proprie mani ha aperto il vaso di Pandora sionista, faccia ancora fatica a fronteggiare quel che vi ha trovato dentro, e che faccia ancora fatica ad affrontare le proprie contraddizioni interne, che sono le contraddizioni di tutti noi.
Stupro, massacro, trasferimento
Benny Morris, il mese prossimo la nuova versione del tuo libro sulla nascita della questione dei profughi palestinesi verrà pubblicato in inglese. Chi sarà meno compiaciuto del libro - gli israeliani o i palestinesi?
"La riedizione del libro è una lama a doppio taglio. E' basato su molti documenti che non avevo a disposizione quando scrissi la prima edizione, in gran parte presi dagli archivi dell'Israel Defense Forces. Quel che mostra il nuovo materiale è che ci furono molti più atti di massacro da parte israeliana di quanto pensassi prima. Sono rimasto stupito, ma ci furono anche molti casi di stupro. Nei mesi di aprile-maggio 1948, le unità dell'Haganah [le forze di difesa che precedettero l'IDF] ricevettero ordini che prevedevano esplicitamente di scacciare gli abitanti dei villaggi, espellerli e distruggere i villaggi stessi."
"Al tempo stesso, si è scoperto che furono emanati una serie di ordini da parte dell'alto comitato arabo e dai livelli intermedi palestinesi di portare via bambini, donne e anziani dai villaggi. Così, da una parte il libro rinforza l'accusa contro la parte sionista, ma dall'altra prova anche che molti fra coloro che lasciarono i villaggi lo fecero dietro la spinta della stessa leadership palestinese."
Secondo le tue nuove scoperte, quanti casi di stupri da parte israeliana ci furono nel 1948?
"Una dozzina. Ad Acre quattro soldati violentarono una ragazza e uccisero lei e suo padre. A Jaffa, soldati della Brigata Kiryati violentarono una ragazza e cercarono di violentarne altre. A Hunin, in Galilea, due ragazze furono violentate e uccise. Ci furono uno o due casi di stupro a Tantura, a sud di Haifa. Ci fu un caso di stupro a Qula, nel centro del paese. Nel villaggio di Abu Shusha, vicino al kibbutz Gezer [nella zona di Ramle] c'erano quattro prigioniere, una delle quali fu violentata più volte. E ci furono altri casi. Di solito erano coinvolti più soldati. Abitualmente si trattava di una o due ragazze palestinesi. Nella maggioranza dei casi finivano con un omicidio. Poiché né le vittime né i violentatori volevano che questi eventi venissero alla luce, possiamo supporre che la dozzina di casi riportati che ho trovato non siano tutto. Si tratta solo della punta di un iceberg."
Secondo i tuoi studi, quanti atti di massacro da parte israeliana furono perpetrati nel 1948?
"Ventiquattro. In alcuni casi quattro o cinque persone vennero giustiziate, in altri le cifre erano 70, 80, 100. Ci furono anche molti casi di esecuzioni sommarie. Vengono avvistati due vecchi che camminano in un campo - vengono colpiti. Una donna viene trovata in un villaggio abbandonato - viene uccisa. Ci sono casi come quello del villaggio di Dawayima [nella zona di Hebron] in cui una squadra entrò nel villaggio con le armi spianate e uccise tutto ciò che si muoveva."
"I casi peggiori furono Saliha (70-80 morti) Deir Yassin (100-110), Lod (250), Dawayima (centinaia) e forse Abu Shusha (70). Non ci sono prove inconfutabili di un massacro a Tantura, ma furono perpetrati crimini di guerra. A Jaffa vi fu un massacro di cui non si era mai saputo niente fino a oggi. Lo stesso ad Arab al Muwassi, nel nord. Circa metà dei massacri facevano parte dell'Operazione Hiram [nel nord, nell'ottobre 1948]: Safsaf, Saliha, Jish, Eilaboun, Arab al Muwasi, Deir al Asad, Majdal Krum, Sasa. Durante l'Operazione Hiram ci fu una inconsueta concentrazione di esecuzioni di persone contro a un muro o vicino a un pozzo. Non si può trattare solo di un caso. E' un modello. Apparentemente, molti ufficiali che presero parte all'operazione pensavano che l'ordine di espulsione che avevano ricevuto permettesse loro di compiere questi atti per incoraggiare la popolazione ad andarsene. Sta di fatto che nessuno fu punito per questi omicidi. Ben Gurion mise a tacere la questione. Coprì gli ufficiali che compirono i massacri."
Quel che mi stai dicendo, come se niente fosse, è che l'Operazione Hiram era un esplicito ordine di espulsione. E' così?
"Sì. Una delle rivelazioni del libro è che il 31 ottobre 1948, il comandante del Fronte Settentrionale, Moshe Carmel, diede ordine scritto alle proprie unità di affrettare il trasferimento della popolazione araba. Carmel intraprese questa azione subito dopo una visita di Ben Gurion al Comando Settentrionale di Nazareth. Non ho dubbi sul fatto che questo ordine sia stato dato da Ben Gurion. Come l'ordine di espulsione per la città di Lod, che fu firmato da Yitzhak Rabin, venne emesso subito dopo che Ben Gurion visitò il quartier generale dell'Operazione Dani [luglio 1948]."
Stai dicendo che Ben Gurion fu personalmente responsabile di una deliberata e sistematica politica di espulsione di massa?
"Dall'aprile del 1948, Ben Gurion trasmette l'idea del trasferimento. Non ci sono ordini espliciti nei suoi scritti, non c'è una precisa linea politica, ma traspare l'idea del trasferimento [di popolazione]. L'idea del trasferimento è nell'aria. L'intera leadership ha capito che questa era l'idea. Il corpo ufficiali capisce cosa gli viene richiesto. Sotto Ben Gurion, viene creato il consenso al trasferimento."
Ben Gurion era un sostenitore del trasferimento?
"Certo, Ben Gurion era un sostenitore del trasferimento. Aveva capito che non avrebbe potuto esistere uno Stato ebraico con una vasta minoranza araba ostile al suo interno. Non avrebbe mai potuto esistere uno Stato simile. Non sarebbe stato in grado di sopravvivere."
Non sembra che tu lo stia condannando
"Ben Gurion aveva ragione. Se non avesse fatto quel che ha fatto, lo Stato non avrebbe potuto nascere. Questo deve essere chiaro. E' impossibile evitarlo. Senza la rimozione dei palestinesi, qui non avrebbe potuto nascere uno Stato ebraico."
Riguardo alla pulizia etnica
Benny Morris, per decenni hai cercato il lato oscuro del Sionismo. Sei un esperto delle atrocità del 1948. Alla fine stai giustificando tutto questo? Sei un sostenitore del trasferimento del 1948?
"Non esistono giustificazioni per gli stupri. Non esistono giustificazioni per i massacri. Si tratta di crimini di guerra. Ma in determinate condizioni, l'espulsione non rappresenta un crimine di guerra. Non penso che le espulsioni del 1948 fossero crimini di guerra. Non puoi fare una frittata senza rompere le uova. Ti devi sporcare le mani."
Stiamo parlando dell'uccisione di migliaia di persone, la distruzione di un'intera società
"Una società che ha intenzione di ucciderti ti costringe a distruggerla. Quando la scelta è fra distruggere o essere distrutti, è meglio distruggere."
C'è qualcosa di inquietante nella calma con cui stai dicendo queste cose
"Se ti aspetti che io scoppi in lacrime, mi dispiace deluderti. Non lo farò"
Così quando i comandanti dell'Operazione Dani stanno in piedi ad osservare la lunga e terribile colonna di 50.000 persone espulse da Lod che si dirigono ad est, sei dalla loro parte? Li giustifichi?
"Certo che li capisco. Capisco le loro motivazioni. Non penso che loro abbiano sentito i morsi della coscienza, e al loro posto non avrei sentito i morsi della coscienza. Senza questa azione, non avrebbero vinto la guerra e lo Stato non sarebbe nato."
Non li condanni moralmente?
"No"
Attuarono pulizia etnica
"Ci sono circostanze nella storia che giustificano la pulizia etnica. So che questo termine ha un significato completamente negativo nel modo di pensare del 21° secolo, ma quando la scelta è fra la pulizia etnica e il genocidio - lo sterminio del tuo popolo - preferisco la pulizia etnica."
Ed era questa la situazione nel 1948?
"La situazione era questa. Questo è ciò che il sionismo dovette affrontare. Uno Stato ebraico non avrebbe potuto nascere senza l'espulsione di 700.000 palestinesi. Quindi era necessario espellerli. Non c'era altra scelta se non quella di espellere quelle persone. Era necessario ripulire l'entroterra, ripulire le zone di frontiera e ripulire le principali vie di comunicazione. Era necessario ripulire i villaggi dai quali i nostri convogli e i nostri insediamenti venivano colpiti."
Il termine 'ripulire' è terribile
"So che non suona bene, ma questo è il termine che venne usato a quel tempo. L'ho ripreso da tutti i documenti del 1948 che ho consultato."
Quel che stai dicendo è difficile da ascoltare e da digerire. Dai l'impressione di essere una persona insensibile
"Sono solidale con il popolo palestinese, che ha davvero dovuto sopportare una vera tragedia. Sono solidale con i profughi stessi. Ma se il desiderio di fondare uno Stato ebraico in questo luogo è legittimo, non c'era altra scelta. Era impossibile lasciare una vasta quinta colonna nel paese. Appena lo Yishuv [la comunità ebraica in palestina prima del 1948] fu attaccato dai palestinesi e in seguito dagli Stati arabi, non c'era altra scelta se non quella di espellere la popolazione palestinese. Espellerla durante la guerra." "C'è da ricordare un'altra cosa: il popolo arabo si è aggiudicato una grossa fetta del pianeta. Non grazie alle proprie capacità o alle sue grandi virtù, ma perché ha conquistato e ucciso e costretto chi veniva conquistato a convertirsi per molte generazioni. Ma alla fine gli arabi hanno 22 Stati. Il popolo ebraico non aveva neanche uno Stato. Non c'è ragione al mondo perché non debba avere uno Stato. Quindi, dal mio punto di vista, la necessità di stabilire questo Stato è più forte dell'ingiustizia che è stata compiuta nei confronti dei palestinesi espellendoli."
E moralmente parlando, questo atto non ti crea problemi?
"Esatto. Anche la grande democrazia americana non avrebbe potuto nascere senza lo sterminio degli indiani. Ci sono casi in cui il buon fine giustifica atti duri e crudeli che vengono commessi nel corso della storia." E nel nostro caso questo giustifica il trasferimento di popolazione
"Questo è ciò che emerge"
E tu riesci ad accettare tutto questo senza problemi? Crimini di guerra? Massacri? I campi in fiamme e i villaggi devastati della Nakba?
"Bisogna mettere le cose nelle giuste proporzioni. Si tratta di piccoli crimini di guerra. In totale, se consideriamo tutti i massacri e tutte le esecuzioni del 1948, vediamo che circa 800 persone furono uccise. In confronto ai massacri che sono stati compiuti in Bosnia, queste sono noccioline. In confronto ai massacri che i russi hanno compiuto contro i tedeschi a Stalingrado, queste sono briciole. Se si tiene conto che qui si è svolta una sanguinosa guerra civile e che in tutto abbiamo perso l'1% della popolazione, a conti fatti ci siamo comportati bene."
Le condizioni per il prossimo trasferimento
Hai subito un cambiamento interessante. Hai iniziato a compiere ricerche riguardo a Ben Gurion e all'istituzione sionista in modo critico, ma alla fine ti identifichi con loro. Sei duro nelle tue parole come loro lo erano con le azioni
"Potresti aver ragione. Avendo analizzato il conflitto in profondità, sono stato costretto ad affrontare le questioni profonde che queste persone hanno dovuto affrontare. Ho compreso il carattere problematico della situazione che hanno affrontato e forse ho adottato parte della loro ideologia. Ma non mi identifico con Ben Gurion. Penso che abbia compiuto un grave errore storico nel 1948. Anche se aveva compreso la questione demografica e il bisogno di fondare uno Stato ebraico senza una vasta minoranza araba, ha avuto paura durante la guerra. Alla fine, ha fallito."
Non sono certo di aver capito. Stai dicendo che Ben Gurion ha sbagliato perché ha espulso troppo pochi arabi?
"Se aveva già iniziato l'espulsione, avrebbe dovuto finire il lavoro. So che questo stupisce gli arabi e i liberali e i personaggi politicamente corretti. Ma quel che penso è che questo posto sarebbe stato più tranquillo e avrebbe conosciuto meno sofferenza se la questione fosse stata risolta una volta per tutte. Se Ben Gurion avesse compiuto una grande espulsione e ripulito l'intero paese - l'intera Terra d'Israele, fino al fiume Giordano. Potremmo scoprire che questo fu il suo errore fatale. Se avesse portato a termine un'espulsione completa - invece di una parziale - avrebbe potuto stabilizzare lo Stato d'Israele per molte generazioni."
Non riesco a credere a quel che sento
"Se la fine di questa storia sarà tragica per gli ebrei, sarà perché Ben Gurion non portò a compimento il trasferimento nel 1948. Perché lasciò una vasta ed instabile riserva demografica in Cisgiordania e a Gaza, e all'interno dello stesso Israele."
Al suo posto, li avresti espulsi tutti? Tutti gli arabi del paese?
"Ma non sono uno statista. Non mi metto al suo posto. Ma in quanto storico, affermo che qui è stato compiuto un errore. Sì. Il non-completamento del trasferimento fu un errore."
E oggi? Sei un sostenitore del trasferimento oggi?
"Se mi stai chiedendo se sostengo il trasferimento e l'espulsione degli arabi dalla Cisgiordania, da Gaza e forse anche dalla Galilea e dal Triangolo, rispondo che questo non è il momento. Non ho intenzione di associarmi a un atto simile. Alle condizioni attuali non sarebbe morale né realistico. Il mondo non lo permetterebbe, gli arabi non lo permetterebbero, distruggerebbe la società ebraica dall'interno. Ma sono pronto a dire che in circostanze diverse, apocalittiche, che potrebbero realizzarsi in cinque o dieci anni, potrebbero verificarsi delle espulsioni. Se ci troveremo circondati dalla armi atomiche, o se ci sarà un attacco arabo generalizzato contro di noi e una situazione di guerra al fronte con gli arabi che sparano alle spalle dei convogli che vanno al fronte, gli atti di espulsione saranno pienamente ragionevoli. Potrebbero essere addirittura indispensabili."
Compresa l'espulsione degli arabi israeliani?
"Gli arabi israeliani sono una bomba ad orologeria. La loro progressiva "palestinizzazione" li ha resi un emissario del nemico in mezzo a noi. Sono una potenziale quinta colonna. In termini demografici e di sicurezza, sono in grado di minare lo Stato. Così se Israele si troverà di nuovo in una situazione di minaccia alla propria esistenza, come nel 1948, potrebbe essere costretto ad agire come fece allora. Se saremo attaccati dall'Egitto (in seguito a una rivoluzione islamica al Cairo) e dalla Siria, e missili chimici e biologici si abbatteranno sulle nostre città, e al tempo stesso gli israeliani palestinesi ci attaccheranno alle spalle, credo che potrebbero verificarsi delle espulsioni. Potrebbe accadere. Se la minaccia per Israele sarà la propria esistenza, l'espulsione sarà giustificata."
Demenza palestinese
Oltre ad essere duro, sei anche molto pessimista. Non sei sempre stato così, vero?
"La mia conversione cominciò dopo il 2000. Non ero un grande ottimista neanche prima di allora. E' vero, ho sempre votato Laburista o Meretz o Sheli [un partito pacifista della fine degli anni '70] e nel 1988 ho rifiutato di prestare servizio nei territori e per questo sono stato messo in galera, ma ho sempre avuto dei dubbi sulle intenzioni dei palestinesi. Gli eventi di Camp David e gli avvenimenti successivi hanno tramutato il dubbio in certezza. Quando i palestinesi rifiutarono la proposta del [Primo Ministro Ehud] Barak nel luglio 2000 e la proposta di Clinton nel dicembre 2000, ho capito che non sono disposti ad accettare la soluzione di due Stati. Vogliono tutto. Lod e Acre e Jaffa."
Se è così, allora tutto il processo di Oslo è stato un errore e c'è un errore di fondo nell'intera visione del mondo del movimento pacifista israeliano
"Oslo doveva essere tentato. Ma oggi dev'essere chiaro che dal punto di vista palestinese, Oslo è stato una truffa. [Il leader palestinese Yasser] Arafat non è cambiato in peggio, Arafat ci ha semplicemente ingannati. Non è mai stato sincero nella sua disponibilità al compromesso e alla conciliazione."
Credi davvero che Arafat voglia buttarci tutti in mare?
"Vuole rimandarci in Europa, nel mare da cui siamo venuti. Ci ritiene davvero uno Stato di Crociati e pensa ai precedenti Crociati e si augura che non facciamo la fine dei Crociati. Sono certo che l'intelligence israeliana dispone di informazioni sicure che dimostrano che nelle conversazioni interne Arafat parla seriamente del piano in fasi [che eliminerebbe Israele in diverse tappe]. Ma il problema non è solo Arafat. L'intera elite palestinese è incline a considerarci come i Crociati e viene guidata dal piano in fasi. Questo è il motivo per cui i palestinesi non sono veramente pronti a rinunciare al diritto al ritorno. Lo stanno conservando come uno strumento con cui distruggeranno lo Stato ebraico, quando verrà il momento. Non riescono a sopportare l'esistenza di uno Stato ebraico - non sull'80% del paese e neppure sul 30%. Dal loro punto di vista, lo Stato palestinese deve coprire l'intera Terra d'Israele."
Se è così, la soluzione dei due Stati non è attuabile; anche se verrà firmato un trattato di pace, fallirà presto
"A livello ideologico, sostengo la soluzione bi-nazionale. E' l'unica alternativa all'espulsione degli ebrei o all'espulsione dei palestinesi o alla distruzione totale. Ma in pratica, per questa generazione, una soluzione di questo tipo non può reggere. Almeno il 30% o il 40% dell'opinione pubblica palestinese e almeno il 30% o il 40% del cuore di ogni palestinese non lo accetterà. Dopo una breve pausa, il terrorismo esploderà di nuovo e la guerra ricomincerà."
La tua prognosi non lascia molto spazio alle speranze, non è così?
"E' difficile anche per me. Non ci sarà la pace in questa generazione. Non ci sarà una soluzione. Siamo condannati a vivere in una condizione di guerra. Sono già abbastanza vecchio, ma per i miei figli è ancora più deprimente. Non so se vorranno continuare a vivere in un posto dove non ci sono speranze. Anche se Israele non verrà distrutto, non vivremo una vita serena e normale per i prossimi decenni."
E' possibile che questi toni aspri siano una reazione spropositata a tre difficili anni di terrorismo?
"L'esplosione di autobus e di ristoranti mi ha veramente scosso. Mi ha fatto capire quanto sia profondo l'odio nei nostri confronti. Mi ha fatto capire che l'ostilità palestinese, araba e musulmana nei confronti dell'esistenza ebraica in questo luogo ci sta portando verso il baratro della distruzione. Non considero gli attentati suicidi come atti isolati. Essi esprimono la profonda volontà del popolo palestinese. Questo è ciò che la maggioranza dei palestinesi vuole. Vogliono che quel che accade agli autobus accada a tutti noi."
Ma anche noi stessi siamo responsabili per la violenza e l'odio: l'occupazione, i blocchi stradali, le chiusure, forse anche la stessa Nakba
"Non devi venirlo a dire a me. Ho svolto molte ricerche sulla storia palestinese. Capisco molto bene le ragioni dell'odio. I palestinesi oggi compiono le loro rappresaglie non solo per la chiusura del giorno precedente, ma anche per la Nakba. Ma questa non è una spiegazione sufficiente. I popoli dell'Africa sono stati oppressi dalle potenze europee non meno di quanto i palestinesi siano stati oppressi da noi, ma ciò nonostante, non vedo il terrorismo africano a Londra, Parigi o Bruxelles. I tedeschi hanno ucciso la nostra gente molto più di quanto noi abbiamo ucciso i palestinesi, ma noi non facciamo esplodere gli autobus a Monaco o a Norimberga. Quindi c'è dell'altro, qualcosa di più profondo, che ha a che fare con la cultura araba e islamica."
Stai cercando di sostenere che il terrorismo palestinese deriva da una sorta di profondo problema culturale?
"C'è un grosso problema nell'Islam. E' un mondo con valori diversi. Un mondo in cui la vita umana non ha lo stesso valore che ha nell'Occidente, in cui la libertà, la democrazia, l'apertura mentale e la creatività sono aliene. Un mondo che autorizza e rende lecito il massacro di chi non fa parte dell'Islam. In questi luoghi anche la vendetta è molto importante. La vendetta gioca un ruolo centrale nella cultura tribale araba. Quindi, le persone che stiamo combattendo e la società che li spinge non hanno inibizioni morali. Se otterrà armi chimiche, biologiche o atomiche, le userà. Se sarà in grado, compierà anche un genocidio."
Voglio insistere sul mio punto di vista: gran parte della responsabilità per l'odio da parte dei palestinesi è nostra. Dopo tutto, tu stesso ci hai mostrato che i palestinesi hanno attraversato una catastrofe storica
"Vero. Ma quando uno ha a che fare con un serial killer, non è così importante scoprire perché è diventato un serial killer. Quel che è importante è imprigionare l'assassino o giustiziarlo."
Fammi capire: chi è il serial killer?
"I barbari che vogliono prendere le nostre vite. Le persone che la società palestinese manda a compiere gli attentati terroristici, e in un certo senso anche la società palestinese stessa. Attualmente, quella società sta attraversando una "fase serial killer". E' una società molto malata. Mentalmente. Dovrebbe venire trattata nello stesso modo in cui trattiamo gli individui che sono serial killer."
Cosa significa? Cosa dovremmo fare nel prossimo futuro?
"Dobbiamo cercare di guarire i palestinesi. Forse col passare degli anni la fondazione di uno Stato palestinese potrà aiutare nel processo di guarigione. Ma al momento, finché non verrà trovata la cura, devono essere trattenuti in modo che non riescano ad ucciderci."
Chiudendoli in un recinto? Mettendoli in quarantena?
"Bisogna costruire qualcosa simile a una gabbia. So che sembra terribile. E' davvero crudele. Ma non c'è altra scelta. C'è un animale selvaggio che deve essere rinchiuso in un modo o nell'altro."
Guerra contro i barbari
Benny Morris, sei diventato di destra?
"No, no. Mi ritengo ancora di sinistra. Sostengo ancora il principio due Stati per due popoli."
Ma tu non credi che questa soluzione durerà. Non credi nella pace
"Secondo la mia opinione, non arriveremo alla pace, no."
Allora qual è la tua soluzione?
"Per questa generazione apparentemente non c'è soluzione. Stare in guardia, difendere il paese finché è possibile."
La tecnica del muro di ferro?
"Sì, un muro di ferro è una buona immagine. Un muro di ferro è la politica più sensata per la prossima generazione. Quel che Jabotinsky propose e Ben Gurion mise in pratica. Negli anni '50, c'era una disputa fra Ben Gurion e Moshe Sharett. Ben Gurion sosteneva che gli arabi capivano solo la forza e che alla fine sarà la forza ciò che li convincerà ad accettare la nostra presenza qui. Aveva ragione. Questo non vuol dire che non abbiamo bisogno di diplomazia. Sia nei confronti dell'Occidente che delle nostre stesse coscienze, è importante che noi ci adoperiamo per una soluzione politica. Ma alla fine, quel che stabilirà la loro disponibilità ad accettarci sarà solo la forza. Solo il riconoscimento del fatto che non sono in grado di distruggerci."
Per essere di sinistra, sembri molto di destra, non ti pare?
"Cerco di essere realistico. So che non appare sempre politicamente corretto, ma penso che la correttezza politica corrompa la storia in ogni caso. Ostacola la nostra capacità di vedere la verità. Inoltre, mi identifico con Albert Camus. Era considerato di sinistra e una persona di elevati principi morali, ma quando si trattava della questione algerina, metteva sua madre prima della moralità. Preservare il mio popolo è più importante dei concetti morali universali."
Sei un neoconservatore? Interpreti l'attuale realtà storica come Samuel Huntington?
"Penso che qui esista uno scontro fra civiltà [come sosteneva Huntington]. Credo che l'Occidente di oggi assomigli all'Impero Romano del quarto, quinto e sesto secolo: i barbari lo stanno attaccando e potrebbero anche distruggerlo."
Allora i musulmani sono i barbari?
"Penso che i valori che ho citato prima siano i valori dei barbari - l'atteggiamento verso la democrazia, la libertà, l'apertura mentale; l'atteggiamento verso la vita umana. In questo senso sono barbari. Il mondo arabo per come è oggi è barbarico."
E secondo il tuo punto di vista questi nuovi barbari rappresentano davvero una minaccia per la Roma del nostro tempo?
"Sì. L'Occidente è più forte, ma non è chiaro se sappia come respingere questa ondata di odio. Il fenomeno della penetrazione di massa di musulmani nell'Occidente e il loro insediamento sta creando una pericolosa minaccia interna. Un processo simile è avvenuto a Roma. Hanno lasciato entrare i barbari e questi hanno rovesciato l'impero dall'interno."
E' davvero tutto così drammatico? L'Occidente è davvero in pericolo?
"Sì. Penso che la guerra fra civiltà sia la caratteristica principale del 21° secolo. Penso che il presidente Bush si sbagli quando nega l'esistenza di questa guerra. Il punto non è solo bin Laden. E' una lotta contro il mondo intero che aderisce a valori diversi. E noi siamo in prima linea. Esattamente come i Crociati, siamo la parte più esposta dell'Europa in questo luogo."
La situazione che descrivi è molto dura. Non sei completamente sicuro che noi possiamo sopravvivere qui, vero?
"La possibilità di distruzione esiste"
Ti descriveresti come una persona apocalittica?
"L'intero piano sionista è apocalittico. Esiste all'interno di un ambiente circostante ostile, e in un certo senso la sua stessa esistenza è irragionevole. Non era ragionevole che riuscisse nel 1881 e non era ragionevole che riuscisse nel 1948 e non è ragionevole che riesca ora. Ciò nonostante, è arrivato fin qui. In un certo senso si tratta di un miracolo. Vivo gli eventi del 1948, e il 1948 si proietta su quel che potrebbe accadere qui. Sì, penso ad Armageddon. E' possibile. Entro i prossimi 20 anni potrebbe esserci una guerra atomica qui."
Se il Sionismo è così pericoloso per gli ebrei e se il Sionismo rende gli arabi così infelici, forse si tratta di un errore?
"No, il Sionismo non è stato un errore. Il desiderio di fondare uno Stato ebraico qui era legittimo, e positivo. Ma vista la natura dell'Islam e vista la natura del popolo arabo, è stato un errore pensare che sarebbe stato possibile fondare in questo luogo uno Stato sereno che vive in armonia con l'ambiente circostante."
Questo ci lascia comunque due possibilità: o un Sionismo crudele e tragico, o la rinuncia del Sionismo
"Sì. E' così. Hai esasperato il concetto, ma è esatto."
Saresti d'accordo nell'affermare che questa realtà storica è intollerabile, che c'è in essa qualcosa di inumano?
"Sì. Ma per il popolo ebraico, non per i palestinesi. Un popolo che ha sofferto per 2000 anni, che ha subito l'olocausto, ritorna nella terra dei suoi avi, ma viene colpito da una nuova ondata di massacri, che forse rappresenta la strada verso la distruzione. In termini di giustizia cosmica, questo è terribile. E' molto più sconvolgente di quel che è accaduto nel 1948 a una piccola parte del popolo arabo che si trovava in quel momento in palestina."
Quindi quel che mi stai dicendo è che ti preoccupa di più la possibile nakba ebraica del futuro rispetto alla nakba palestinese del passato?
"Sì. La distruzione potrebbe essere la fine di questo processo. Potrebbe essere la fine dell'esperienza sionista. E questo è ciò che davvero mi deprime e mi spaventa."
Il titolo del libro che stai pubblicando in ebraico è "Vittime". Alla fine, quindi, quel che sostieni è che fra le due vittime di questo conflitto, noi siamo la vittima principale
"Sì. Esattamente. Noi siamo le principali vittime nel corso della storia, e siamo anche le maggiori vittime potenziali. Anche se stiamo opprimendo i palestinesi, noi siamo la parte debole qui. Siamo una piccola minoranza in un grande oceano di arabi ostili che ci vogliono eliminare. Quindi è possibile che quando il loro desiderio verrà realizzato, tutti capiranno quel che ti sto dicendo ora. Tutti capiranno che siamo noi le vere vittime. Ma a quel punto sarà troppo tardi."
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Traduzione dall'inglese e dall'ebraico a cura di Lara Onor ed Eyal Mizrahi - Amici d'Israele Onlus
Fonte: http://www.haaretz.co.il/hasite/pages/ShArtTower.jhtml?itemNo=380119&nl=07_01 http://www.haaretz.com/hasen/spages/380986.html
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janet
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Posted - 05 February 2004 : 23:17:36
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1948 David Ben-Gurion dichiara la fondazione dello Stato d’Israele (il 14 Maggio).
1956 Aumentano le incursioni terroristiche sui confini del paese, in particolare dall’Egitto.
Guerra dei sei giorni - Israele conquista la Giudea, Samaria, Gaza, e la penisola del Sinai
Mappa di Israele-2004
Dichiarazione di Indipendenza dello Stato di Israele, 14 maggio 1948
In ERETZ ISRAEL è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l'eterno Libro dei Libri. Dopo essere stato forzatamente esiliato dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno alla sua terra e nel ripristino in essa della libertà politica.
Spinti da questo attaccamento storico e tradizionale, gli ebrei aspirarono in ogni successiva generazione a tornare e stabilirsi nella loro antica patria; e nelle ultime generazioni ritornarono in massa. Pionieri, ma'apilim e difensori fecero fiorire i deserti, rivivere la loro lingua ebraica, costruirono villaggi e città e crearono una comunità in crescita, che controllava la propria economia e la propria cultura, amante della pace e in grado di difendersi, portando i vantaggi del progresso a tutti gli abitanti del paese e aspirando all'indipendenza nazionale.
Nell'anno 5657 (1897), alla chiamata del precursore della concezione d'uno Stato ebraico Theodor Herzl, fu indetto il primo congresso sionista che proclamò il diritto del popolo ebraico alla rinascita nazionale del suo paese. Questo diritto fu riconosciuto nella dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e riaffermato col Mandato della Società delle Nazioni che, in particolare, dava sanzione internazionale al legame storico tra il popolo ebraico ed Eretz Israel [Terra d'Israele] e al diritto del popolo ebraico di ricostruire il suo focolare nazionale. La Shoà [catastrofe] che si è abbattuta recentemente sul popolo ebraico, in cui milioni di ebrei in Europa sono stati massacrati, ha dimostrato concretamente la necessità di risolvere il problema del popolo ebraico privo di patria e di indipendenza, con la rinascita dello Stato ebraico in Eretz Israel che spalancherà le porte della patria a ogni ebreo e conferirà al popolo ebraico la posizione di membro a diritti uguali nella famiglia delle nazioni.
I sopravvissuti all'Olocausto nazista in Europa, così come gli ebrei di altri paesi, non hanno cessato di emigrare in Eretz Israel, nonostante le difficoltà, gli impedimenti e i pericoli e non hanno smesso di rivendicare il loro diritto a una vita di dignità, libertà e onesto lavoro nella patria del loro popolo. Durante la seconda guerra mondiale, la comunità ebraica di questo paese diede il suo pieno contributo alla lotta dei popoli amanti della libertà e della pace contro le forze della malvagità nazista e, col sangue dei suoi soldati e il suo sforzo bellico, si guadagnò il diritto di essere annoverata fra i popoli che fondarono le Nazioni Unite. Il 29 novembre 1947, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione che esigeva la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel. L'Assemblea Generale chiedeva che gli abitanti di Eretz Israel compissero loro stessi i passi necessari da parte loro alla messa in atto della risoluzione. Questo riconoscimento delle Nazioni Unite del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile. Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico a essere, come tutti gli altri popoli, indipendente nel proprio Stato sovrano.
Quindi noi, membri del Consiglio del Popolo, rappresentanti della Comunità Ebraica in Eretz Israele e del Movimento Sionista, siamo qui riuniti nel giorno della fine del Mandato Britannico su Eretz Israel e, in virtù del nostro diritto naturale e storico e della risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dichiariamo la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel, che avrà il nome di Stato d'Israele. Decidiamo che, con effetto dal momento della fine del Mandato, stanotte, giorno di sabato 6 di Iyar 5708, 15 maggio 1948, fino a quando saranno regolarmente stabilite le autorità dello Stato elette secondo la Costituzione che sarà adottata dall'Assemblea costituente eletta non più tardi del 1 ottobre 1948, il Consiglio del Popolo opererà come provvisorio Consiglio di Stato, e il suo organo esecutivo, l'Amministrazione del Popolo, sarà il Governo provvisorio dello Stato ebraico che sarà chiamato Israele.
Lo Stato d'Israele sarà aperto per l'immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo del paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace come predetto dai profeti d'Israele, assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite. Lo Stato d'Israele sarà pronto a collaborare con le agenzie e le rappresentanze delle Nazioni Unite per l'applicazione della risoluzione dell'Assemblea Generale del 29 novembre 1947 e compirà passi per realizzare l'unità economica di tutte le parti di Eretz Israel.
Facciamo appello alle Nazioni Unite affinché assistano il popolo ebraico nella costruzione del suo Stato e accolgano lo Stato ebraico nella famiglia delle nazioni. Facciamo appello - nel mezzo dell'attacco che ci viene sferrato contro da mesi - ai cittadini arabi dello Stato di Israele affinché mantengano la pace e partecipino alla costruzione dello Stato sulla base della piena e uguale cittadinanza e della rappresentanza appropriata in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti. Tendiamo una mano di pace e di buon vicinato a tutti gli Stati vicini e ai loro popoli, e facciamo loro appello affinché stabiliscano legami di collaborazione e di aiuto reciproco col sovrano popolo ebraico stabilito nella sua terra. Lo Stato d'Israele è pronto a compiere la sua parte in uno sforzo comune per il progresso del Medio Oriente intero.
Facciamo appello al popolo ebraico dovunque nella Diaspora affinché si raccolga intorno alla comunità ebraica di Eretz Israel e la sostenga nello sforzo dell'immigrazione e della costruzione e la assista nella grande impresa per la realizzazione dell'antica aspirazione: la redenzione di Israele. Confidando nell'Onnipotente, noi firmiamo questa Dichiarazione in questa sessione del Consiglio di Stato provvisorio, sul suolo della patria, nella città' di Tel Aviv, oggi, vigilia di sabato 5 Iyar 5708, 14 maggio 1948.
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janet
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Posted - 16 February 2004 : 01:58:47
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IL SIONISMO E LA CITTA’ PALESTINESE
di Eli Aminov
Nel periodo in cui iniziò l’insediamento Sionista, il popolo Palestinese venne interrotto nel bel mezzo di un intenso processo di attuazione delle caratteristiche che conformano una moderna nazione all’interno della propria patria.
Il processo di colonizzazione in Palestina – includendo la sostituzione della sua popolazione originaria con immigrati Ebrei, la trasformazione delle terre Palestinesi in terre del popolo Ebraico e il trasferimento degli abitanti con la trasformazione della maggior parte di loro in rifugiati – è divenuto, negli anni recenti, materia di partenza per una seria ricerca e di un interesse accademico assai diffuso. Tuttavia, nella ricerca relativa alla storia della Palestina ed al processo di espropriazione del popolo Palestinese, è stato trascurato o ignorato un aspetto centrale: un esame della relazione tra il movimento Sionista e la città Palestinese.
Nella coscienza collettiva Israeliana, I Palestinesi erano visti come fellahin (contadini) da tempo immemorabile, o tutt’al più come Beduini, banditi e pastori. Non è questo il caso: si dovrebbe ricordare che fu solo nel 1948 che la società Palestinese (all’interno dei confini del nuovo stato d’Israele) divenne una società rurale in modo così schiacciante, con la scomparsa o l’espulsione della popolazione urbana Palestinese, come vedremo sotto.
Nel periodo in cui iniziò l’insediamento Sionista, il popolo Palestinese venne interrotto nel bel mezzo di un intenso processo di attuazione delle caratteristiche che conformano una moderna nazione all’interno della propria patria. La società Palestinese era certamente per la maggior parte una società agricola, ma la stratificazione sociale che si produsse a seguito della penetrazione del capitale Europeo si estrinsecò nella formazione di nuove classi sociali sulla base dei rapporti capitalistici. Già all’inizio del Mandato Britannico, sotto il cui patrocinio l’insediamento Sionista crebbe e si sviluppò sul territorio, un quarto della popolazione locale Palestinese risiedeva nelle città. Alla fine del Mandato la stessa popolazione era salita al 34%. Il grado di urbanizzazione dei Palestinesi era particolarmente elevato per un paese del Medio Oriente. La Palestina, inoltre, era uno dei paesi più sviluppati, nel campo tecnologico, dell’intero Medio Oriente. Ad esempio, il livello di mobilità – il numero di automobili per mille abitanti, tra gli Arabi Palestinesi era più alto che in ogni altro paese della regione, fatta esclusione per il Libano, ed era più elevato che in Bulgaria ed in Polonia in quello stesso tempo. La media di famiglie con apparecchi radio ( per quanto oggetti recenti e costosi ) era quattro o cinque volte superiore a quella dell’Egitto e Siria. Le città servivano da connessione, collegando la società locale alle trasformazioni, alle innovazioni, alle invenzioni e alle nuove idee del mondo intero, divenendo al tempo stesso laboratorio per lo sviluppo delle idee nazionalistiche.
Nel 1946, in Palestina, c’erano 11 città con più di 10.000 abitanti; di esse tre avevano una popolazione Araba di circa 70.000 ciascuna : Jaffa , Haifa e Gerusalemme. Nelle grandi città non erano sviluppati solo il commercio, le banche, l’industria leggera ed i trasporti, ma anche la vita culturale di una società ricca e variegata: c’erano cinema, caffè, clubs sociali, organizzazioni giovanili e femminili, giornali, settimanali, clubs sportivi, teatri, istituti per lo studio di lingue straniere e perfino un club aeronautico (a Gerusalemme). Tali fenomeni non erano presenti solo nelle grandi città, ma anche in città di medie dimensioni come Tsafat, Tiberias, Beit Shean, Acco, Lod, Ramleh e Beersheba, che avevano la funzione di centri urbani, sociali ed amministrativi per la popolazione Palestinese.
La classe lavoratrice Palestinese e le sue organizzazioni giocavano una parte importante nella vita delle grandi città, ma la vita culturale era stimolata e sviluppata principalmente ad opera di un ampio strato della classe piccolo-borghese che vi stava emergendo. Questo strato era avverso al Sionismo e spesso criticò la dirigenza Palestinese feudal-borghese che era legata al capitale straniero, al regime coloniale, alle monarchie Arabe e perfino al Sionismo. Ciò nonostante, la piccola-borghesia mai si dissociò dalla guida politica o sviluppò opinioni politiche indipendenti. Tuttavia questo strato fornì la guida ideologica al movimento nazionalista in ambedue le versioni, pan-Araba e Palestinese. L’importanza di questo strato nella struttura nazionale Palestinese divenne concretamente percepibile quando si esamina la sua disponibilità a pagare le tasse al Comitato Direttivo Arabo, perfino prima della grande sollevazione [1936-39, diretta contro il Colonialismo Britannico ed I suoi atteggiamenti politici filo-Sionisti]. Il Comitato Direttivo fece fronte alle spese tramite la contribuzione volontaria ed impose tariffe nelle varie regioni. Jaffa, ad esempio, riuscì a raccogliere l’ 84 % delle tariffe imposte ad essa, Ramleh e Lod l’86 %. Jaffa, la cui popolazione costituiva l’8 % della popolazione totale della Palestina, nel 1929-30 contribuì a più del 20 % del bilancio del Comitato Direttivo. Perciò non è sorprendente che data l’importanza di questo settore della popolazione nella struttura nazionale Palestinese, esso – e la sua incubatrice, la città Palestinese – si conquistarono l’odio sfrenato del movimento Sionista.
Questa avversione entrò in azione nella guerra di ripartizione del 1947-48: la maggior parte delle città Arabe venne conquistata e “purificata” prima del 15 maggio 1948, data alla quale ufficialmente si scatenò la “guerra d’indipendenza”. La popolazione urbana Araba di Haifa, Tiberias e Tsfar, così come dei dintorni Arabi meridionali e occidentali di Gerusalemme, venne allontanata prevalentemente nell’Aprile del 1948, proprio sotto il naso dell’Amministrazione Mandataria Britannica. Al fine d’incoraggiare la fuga dei residenti Arabi che restavano nelle loro case di Gerusalemme, l’Agenzia Ebraica si dette da fare per spargere la voce che le proprietà di quegli Arabi che avrebbero abbandonato le loro case a causa degli scontri, sarebbero state restituite loro alla fine dei combattimenti (Yediot Aharanot 5/4/1948). Naturalmente ciò era solo una favola. Quando gli scontri terminarono, soltanto il 5 % della popolazione Araba originaria restò nelle città Arabe, includendo Jaffa, Lod, Ramleh e le altre città citate in precedenza – e questo numero comprendeva addirittura anche i rifugiati dai villaggi Arabi dei dintorni. Queste città vennero popolate da Ebrei ed i rifugiati Palestinesi che rimasero furono concentrati in quartieri Arabi separati, come Wadi Nissnass ad Haifa, Ajami a Jaffa e la città vecchia a Ramleh. La città Palestinese cessò di esistere come fattore di risveglio e fermento di progresso a partire da una prospettiva nazionalistica. La sua assenza rese possibile l’istituzione di un’amministrazione militare, economica e conveniente per le autorità, ad una società che venne costretta a ripiegare su se stessa indietro di molte generazioni. La scomparsa della città Palestinese trasformò la società Araba in Israele da una società organica con una stratificazione in classi sviluppata, in una società marginale subordinata ai centri urbani Ebraici, compresa la totale dipendenza del proletariato Palestinese dai siti d’impiego nelle comunità Ebraiche.
Le uniche città nelle quali rimase una consistente popolazione Palestinese furono Nazareth e Mijdal Gad. I Sionisti ebbero paura nel portare a termine la “purificazione” etnica di Nazareth, per l’importanza della città nel mondo Cristiano perciò, dai villaggi circostanti, spinsero i rifugiati entro la città, per inquinare in tal modo le sue istituzioni grazie ad una nuova popolazione rurale.
La logica d’intervento adottata dalle autorità a Mijdal fu, invece, completamente diversa. Questa città, dove, dopo la guerra del 1948, era rimasto un quarto della sua popolazione, era divenuta una sorta di centro di soccorso per quei rifugiati che tornavano furtivamente indietro oltre i confini per fare il raccolto dei loro campi o per ricuperare le proprietà mobili che erano state lasciate addietro. L’amministrazione militare vi spostò dalle tribù Beduine di Jawarish un clan (hamula) di collaboratori allo scopo di controllare i residenti della città. Ciò non permise di portare a termine l’assistenza offerta dai residenti della città ai loro fratelli e quindi il loro destino fu segnato. Il 17 Agosto 1950 i residenti di Mijdal Gad ricevettero gli ordini di espulsione e, in presenza dei soldati Israeliani, fu richiesto loro di sottoscrivere la dichiarazione che essi stavano abbandonando le loro case di loro spontanea volontà. Nell’Ottobre dello stesso anno, tutti i residenti erano stati tradotti nella Striscia di Gaza. Sulle rovine delle loro case venne costruita la città di Ashkelon.
La distruzione delle città Palestinesi ed il blocco delle loro ricrescita, per il loro ruolo di punti focali al concretarsi della coscienza nazionale Palestinese, fu uno degli obiettivi principali di coloro che ebbero la responsabilità degli “Affari Arabi” nei successivi governi Israeliani. La città Palestinese che, in contrapposizione al villaggio fatto di tribù e clan (hamula ), si sviluppa popolata da individui che formano nuove connessioni sociali, personali e culturali, è stata sempre una minaccia per l’identità Israeliana che si è costruita sui miti del Sionismo. Questo processo affrettato ed artificiale di edificazione di una nazione Ebraico-Israeliana poteva tener testa alla presenza di una popolazione nativa di carattere agricolo, nomade e primitiva. L’esistenza invece di una Palestina urbana, nel passato così come nel presente, scuote ripetutamente le fondamenta dell’esistenza reale del colonialismo Sionista e ne distrugge tutte le giustificazioni; Israele ha perciò utilizzato svariati metodi e stratagemmi per ostacolare l’urbanizzazione della società Palestinese.
A dispetto della crescita della popolazione Palestinese, fin dal 1948, come risultato di un naturale incremento, non si è manifestata alcuna migrazione verso le città miste o Ebraiche. Il dr. Rassem Hameisi nei suoi studi descrive la situazione in questo modo: “L’aumento di popolazione nei villaggi fu accompagnato da una crescita economica senza però migrazioni verso le città, contrariamente ai fenomeni che sono avvenuti in tutti gli altri paesi. Ci fu aumento della popolazione senza l’abbinamento di uno sviluppo dell’economia, dei servizi e delle infrastrutture… Invece, fu messo in atto un piano di regolazione e di limitazione. Tutto ciò portò alla riproposizione nelle comunità dei caratteri di rusticità e di sottosviluppo, anche se quella popolazione stava attraversando un processo di urbanizzazione.” E più avanti: “La ‘promozione’ in termini convenzionali-legali dello status municipale di una comunità non porta alla sua trasformazione in una città in senso urbano, funzionale, amministrativo ed economico”. Perciò “perfino le comunità Arabe grandi, quelle riconosciute in senso formale quali città o cittadine, come Nazareth, Shafaram, Sakhinin, Taibeh, Tamra, Tira e Rahat, sono di fatto dei grandi villaggi, se si classificano nei termini del livello delle loro infrastrutture, dei servizi, delle relazioni sociali e della loro base economica”.
L’arretratezza accentuata, tuttavia, si manifesta non solo nel blocco degl’investimenti e dello sviluppo industriale, ma anche nella cultura di una guida patriarcale basata sul clan (hamula). Cioè, l’uso della separazione e della frammentazione della popolazione Palestinese in comunità etniche, del separatismo e dell’isolamento come mezzo per rappresentare le relazioni sociali. E’ assolutamente chiaro che il successo di tali metodi fra i cittadini Palestinesi d’Israele ha incoraggiato ad applicare la stessa politica a tutta la Palestina.
1967: GERUSALEMME, HEBRON E RAMALLAH
Con la conquista del West Bank nel 1967, Israele cercò ancora una volta, sotto la copertura della guerra, di “pulire” dei loro abitanti le città del West Bank vicine al confine. Kalkiliya, ad esempio, fu distrutta e parte della sua popolazione trasferita. La distruzione venne bloccata immediatamente a seguito di un ordine degli Americani apparentemente tranquillo, ma esplicito, e la parte distrutta della città venne ricostruita.
L’occupazione di Gerusalemme Est marcò l’inizio di un processo di distruzione urbana della città Araba ed, insieme ad essa, il consolidamento delle istituzioni urbane della città Ebraica che fu destinata a prendere il posto di quella precedente.
La prima “purificazione” etnica avvenne nel Quartiere Ebraico (nella città vecchia) e nel sobborgo di Mugrabi, vicino alle mura occidentali, il quale venne completamente demolito. A quel tempo, sotto il patrocinio dell’Autorità Israeliana delle Terre, venne costituita un’unità segreta, dal nome Igum, il cui scopo era quello di cercare di trasferire terre e proprietà in Gerusalemme dalle mani Arabe a quelle dei vari corpi Ebraici. Le linee guida operative di questa unità affermavano. “Noi dobbiamo spezzare il nucleo dei residenti Musulmani della Città Vecchia ed incoraggiare l’emigrazione degli stessi residenti verso altri paesi” (Ha’aretz,10/5/98).
Nei primi mesi dopo la guerra, Israele si assicurò di controllare le arterie del traffico da Gerusalemme ai ponti sul fiume Giordano ed incoraggiò l’uscita (senza ritorno) degli Arabi di Gerusalemme. Soldati, allora dislocati lungo il fiume Giordano, hanno testimoniato che essi impedivano il ritorno ai residenti e quelli che erano riconosciuti come residenti di Gerusalemme venivano fucilati. L’interruzione della contiguità residenziale Araba divenne una politica praticata in tutte le parti di Gerusalemme, convertendola in un’aggregazione di quartieri disconnessi. Quartieri Ebraici, tutti con contiguità territoriale, vennero costruiti rapidamente.
Dopo la firma degli Accordi di Oslo, le comunicazioni tra la Gerusalemme Est Araba come centro commerciale e la sua periferia rurale furono quasi completamente tagliate. La Gerusalemme Araba alla fine fu convertita in una città moribonda, senza cinema o vita notturna – o affatto senza alcuna vita urbana. Questo processo di distruzione è stato pianificato e portato a termine con totale rigore fino ad oggi giorno. Per esempio, fin dal 1996 il Ministero dei Trasporti ha rifiutato il rinnovo delle licenze delle Compagnie di Autobus di proprietà Araba che servono la popolazione Araba. La distruzione del trasporto pubblico danneggia anzitutto la persona povera, così come le donne e le ragazze. Un trasporto irregolare e non garantito riduce la loro possibilità di lasciare le case per motivi di studio, di lavoro o per godere delle attività di svago ed aumenta la loro dipendenza dagli uomini della famiglia – padri, fratelli, mariti (questo fenomeno è avvenuto anche, in anni recenti, nei villaggi Arabi della Galilea a causa della costruzione delle strade di attraversamento riservate – bypass roads - che servono solo alle comunità Ebraiche e la concomitante riduzione del numero delle fermate degli autobus di servizio per le comunità Arabe). Uno dei fenomeni sociali degli ultimi anni è stata la reintroduzione in Gerusalemme di tribunali che applicano la legge consuetudinaria – istituzioni patriarcali che in passato esistevano nella società rurale e nomade, sotto la guida di sheikh e capi clan (hamula). Questi processi stanno venendo incoraggiati dall’ANP così come dalle Autorità Israeliane.
Ad Hebron, la distruzione urbana è stata portata a termine tramite lo sviluppo degli insediamenti Ebraici, una crescita cancerosa che iniziò in una zona, ma che dilagò con nuove propaggini – trasformando il centro di Hebron in un altro pianeta per la popolazione locale. Fin dall’inizio, i coloni di Hebron hanno ottenuto un consistente sostegno da parte dei servizi segreti di sicurezza (per esempio, le armi contrabbandate ai coloni dal Ministro degli Esteri Yagal Allon nel suo ufficio al Park Hotel, nel 1968, furono consegnate a Levinger [capo dei coloni di Hebron] in evidente violazione di una decisione governativa). Il cuore della città Araba fu distrutto e fu trasformato in una zona a “segregazione” Ebraica. Ciò ha trasformato il centro della città in un luogo che molti Palestinesi hanno cominciato ad abbandonare a causa delle vessazioni quotidiane introdotte dai coloni. E, meraviglia delle meraviglie: per molti anni l’amministrazione militare ha permesso ai Palestinesi che hanno abbandonato il centro della città di costruire case nei sobborghi della città, senza il pericolo della loro demolizione o di altri impedimenti.
Ad Hebron, sono state messe in pratica tutte le forme di penetrazione Sionista, così come controllare la popolazione Palestinese che Israele vi ha raccolto fin dal 1948, limitando in particolar modo la moderna mobilità ed impedendo il processo di urbanizzazione e di industrializzazione. Gli insediamenti, il furto della terra, le strade di attraversamento riservate – bypass roads - la divisione della città, il blocco allo sviluppo e la mancanza di connessione tra la città e la sua periferia rurale per la quale essa funge da capoluogo regionale, hanno trasformato Hebron in un insieme di quartieri separati senz’alcuna integrazione. Nell’analisi finale, la politica d’Israele di de-urbanizzazione è parte di un processo di genocidio il cui scopo è l’estirpazione del popolo Palestinese come entità nazionale.
Tutti i malanni dovuti agli Accordi di Oslo sono evidenti ad Hebron. Sebbene la ripartizione delle responsabilità tra Israele e l’ANP acquisti un aspetto territoriale nella città, la distinzione reale è nella misura delle responsabilità per l’ordine sociale. La parte della città che gl’Israeliani con arroganza chiamano “Quartiere Ebraico” include circa 400 Ebrei e circa 20.000 Palestinesi, i quali mancano di tutti i diritti. In questa città, sezionata e lacerata, alla quale gli Accordi di Oslo sono designati ad assicurare la progressiva disintegrazione, l’odio del movimento Sionista e la paura della città Palestinese si esprimono in modo particolarmente intenso.
Altre città Palestinesi stanno ugualmente sottostando al processo di distruzione urbana – Ramallah, ad esempio. Come nel caso di Hebron, così pure a Ramallah, nei sobborghi della città sono stati costruiti insediamenti Israeliani e strade di attraversamento riservate – bypass roads - derubando la sua terra e le sue risorse di acqua, soffocandola e condannandola ad una sistematica degradazione. Inoltre, quale aggiunta, come trattamento speciale, Israele costringe Ramallah, città che la stampa Israeliana descrive come il Gush Dan [più ricca regione di Israele] dell’Autorità Palestinese, a soffocare sotto le sue immondizie. Ventiquattro anni fa la Municipalità di Ramallah costruì una struttura per lo smaltimento delle immondizie nel sud della città. La struttura conteneva quattro vasche acide, che erano sufficienti a quel tempo per le necessità della città, ma che oggi giorno non sono neppure approssimativamente adeguate. Il piano cittadino di ampliamento della struttura fu proibito da Israele, affermando che la strada di attraversamento riservata – bypass road – per la base militare Israeliana di Ofer doveva passare esattamente sul sito dove si dovevano costruire le vasche acide aggiuntive.
Tutte le istanze dei funzionari dell’ANP perché Israele sposti di un poco la programmata bypass road, sono cadute nel vuoto. Un funzionario ha affermato: “Fra altri cinque anni Ramallah assomiglierà ad un campo profughi a causa delle immondizie buttate nelle strade” (Ha’aretz 5/2/98 ). Questo funzionario, come pure Amira Hass, la giornalista che riferì i fatti, apparentemente credono che se le cose si deterioreranno con tale ampiezza, ciò sarà conseguenza della prova di forza muscolare e della corruzione dell’occupante piuttosto che il frutto di una politica segreta Sionista, perdurante da molti anni, il cui scopo è evidenziato nella distruzione della città Palestinese.
(traduzione di Mariano Mingarelli)
21 – NEWS FROM WITHIN, vol. XIII, N° 7, Agosto 1998
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janet
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Posted - 24 February 2004 : 01:23:35
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Annie Higgins: Innamorata della Palestina Profilo di Gamal Nkrumah
"Ahwak" (Sono appassionato di te), di Abdel Halim Hafez, e' la canzone araba preferita di Annie Higgins. Le parole della canzone si possono senza dubbio riferire alla sua storia d'amore con la Palestina. Higgins, un'attivista americana indipendente che vive da oltre sei mesi tra i palestinesi nel campo profughi di Jenin, giunse per la prima volta in Palestina con il Movimento Internazionale di Solidarietà (ISM) per aiutare i palestinesi del campo profughi di Balata, presso Nablus. Si innamorò della Palestina e capì che sarebbe tornata.
"Il mio obiettivo era duplice: da un lato, utilizzare la mia presenza per aiutare la gente nel modo in cui essa riteneva efficace e informare la gente al di fuori della Palestina su come sono i palestinesi a casa, nel loro ambiente familiare ... farli conoscere come amici più che come vittime", spiega Annie. Molti dei suoi amici dell'ISM furono in seguito arrestati dalle autorità israeliane e sommariamente deportati.
La sua conoscenza dell'Egitto, comunque, e' molto precedente al suo incontro con la Palestina. Annie giunse in Egitto nel 1986 per studiare arabo all'Università Americana del Cairo. Vi ritornò nuovamente nel 1992 per studiare ad al-Azhar con una borsa di studio della Fullbright-Hays.
"Originariamente decisi di imparare l'arabo perché sentivo di stare ascoltando solo un lato della storia. Decisi di impararlo per sentire gli arabi parlare di sé stessi nella loro lingua madre. Annie ricorda che la sua dedizione verso la Palestina fu stimolata da un discorso di Edward Said all'Università di Chicago durante la guerra del Golfo: "Sia lo spirito che la lettera del suo discorso mi fecero capire che le ingiustizie fatte ai palestinesi erano le ingiustizie fatte a tutti, e correggerle era compito di tutti coloro che godevano di un po' di autonomia nella vita".
A dispetto della sua fragilità costituzionale, tutto emana forza in questa donna biondo fragola, dagli occhi azzurri lampeggianti e dal sorriso pronto. E' un concentrato di energia, che passa da una manifestazione contro la guerra all'altra, da un campo profughi all'altro. "La liberazione della Palestina e' la liberazione dell'America", ha gridato ad una folla di manifestanti al Cairo, parlando in un arabo impeccabile. "Sei Tahani?", gli ha gridato un ragazzo. Ormai e' una piccola celebrità tra i manifestanti del Cairo dopo che e' circolata una foto in cui mostra un banner delle "Donne americane contro la guerra" scritto con lettere nere, verdi e rosse su fondo bianco - i colori della bandiera della Palestina, e di molti paesi arabi.
"Non si può imporre la democrazia in Iraq lanciando bombe", dice Tahani - come la folla preferisce chiamarla - ai suoi ascoltatori. Dice che la politica USA sta ferendo interi popoli, vittime innocenti, e si lamenta che i suoi compatrioti sembrano compiacenti. "Sembra che essi non vogliano scoprire la verità".
Ma sarebbe un errore credere che nel suo lavoro ci sia del sentimentalismo. "In un momento di esuberanza verso una donna americana che si opponeva all'aggressione contro l'Iraq, un uomo si offrì di portarmi sulle spalle". Higgins aggrotta la fronte, battendosi il petto con finto oltraggio. "Mi ritrassi, sicché una donna mi portò in spalla, mentre la folla applaudiva", dice, descrivendomi le sue esperienze durante le manifestazioni dello scorso 20 marzo al Cairo.
Il fatto di aver visitato l'Egitto ha dato ad Annie l'opportunità di raccontare ai cairoti gli avvenimenti di Jenin. "Non avevano bisogno che ricordassi loro alcunché", si illumina. Eppure, le folle restano affascinate dalle sue provocazioni intellettuali e dalle sue promesse di raccontare le storie del campo profughi palestinese di Jenin. Fu lì che le diedero il nome di Tahani, che in arabo significa "Felicità". "Ma Tahani e' solo una versione più lunga di Annie", mi dice per scherzo.
Higgins crede che la Palestina le abbia fornito un'esperienza educativa senza prezzo. "I palestinesi sono un popolo generoso, pronti a condividere il poco che hanno. Sono sempre sbalordita per la loro generosità reciproca e verso gli stranieri". La sua missione consiste nel correggere la "falsa immagine" della Palestina in occidente. Dice che la verità deve essere raccontata, chiara e forte. "Il silenzio contribuisce all'oppressione dei palestinesi", ammonisce. "Prima di arrivare in Palestina sapevo qualcosa della difficile situazione dei palestinesi. Ora so che il silenzio sul loro problema e' il punto cruciale della crisi in Medio Oriente".
Higgins e' nata e cresciuta a Chicago, Illinois. Paragona il campo profughi di Jenin alla sua città natale: "Immagini se un palestinese venisse a Chicago e chiedesse ospitalità per la notte a casa di un perfetto estraneo, come avviene normalmente in Palestina". E arriva al punto: "Ci sono migliaia di senzatetto a Chicago. Non c'e' neppure un senzatetto nel campo profughi di Jenin, neanche dopo i massacri dell'aprile 2002 e la sistematica demolizione delle case".
Hawiyya - identità - e' l'unica parola araba che tutti i militari israeliani conoscono. Higgins, perspicacemente, tocca un nervo scoperto. "I militari israeliani non sanno qual e' la loro identità. Capiscono che i palestinesi hanno delle tradizioni, ed invidiano il loro forte senso d'identità". Critica la venerazione per gli stranieri e per i cosiddetti esperti esteri. "Molti palestinesi dei campi sperano che qualcuno arrivi da fuori e porti una soluzione magica".
La tragedia genera la narrativa. "Una volta che hai menzionato il termine Palestina, diventa immediatamente un soggetto politico", dice Annie.
Lei non si considera un "tipo politico". Sente che la sua missione sia quella di onorare la voce dell'umanità. "Onorare il diritto di parola", la mette così. Capisce, però, che tale missione ha delle implicazioni politiche. "Vedendo la mia dedizione nell'esporre l'oppressione del popolo palestinese, gli abitanti di Jenin di entusiasmarono. Ogni straniero diviene la voce che penetra all'esterno. Per i palestinesi, ogni straniero e' un giornalista che può potenzialmente convogliare la loro sofferenza al mondo esterno".
E per Annie Higgins la sofferenza dei palestinesi catalizza le relazioni umane e consolida linee di comunicazione. La sua persona pubblica e' rafforzata da oggetti tipicamente palestinesi, una kufiya politicamente corretta, un piccolo albero d'olivo in argento, la catenina con le foto di due giovani martiri a cui era particolarmente affezionata. E la Palestina e la causa palestinese emergono come una passione divorante che contagia tutti coloro che si fermano ad ascoltare le storie della sua vita nel campo profughi di Jenin.
Ironicamente, e' stato l'Egitto, e non la Palestina, la porta d'accesso al mondo arabo. E lei ama l'Egitto con passione, ne ama "la vitalità, il colore e la generosità d'animo". Higgins sente una speciale affinità con i bambini incontrati alle manifestazioni del Cairo. "Uno, di circa otto anni, mi chiese perché l'America faceva del male ai bambini palestinesi ed iracheni. Dissi che non lo sapevo, ma che ero felice che si preoccupasse dei bambini in Iraq e Palestina. E dissi ai bambini che mi ricordavano i miei piccoli amici di Jenin". I suoi incontri con i bambini del Cairo durante le manifestazioni contro la guerra erano reminiscenza delle sue esperienze con i bambini lasciati indietro, in Palestina. "Mi sentivo come fossi al campo di Jenin, con le frotte di bambini che fornivano un codazzo amichevole".
"Molta gente alzava il pollice o mi diceva grazie quando passavo. Una folla di americani tratterebbe un arabo con tanto rispetto di questi tempi?", chiede, quasi con disperazione. "Quando lasciai piazza Tahrir, essa era ancora piena di manifestanti contro l'aggressione americana all'Iraq. Le forze di sicurezza [egiziane] risposero al mio saluto mentre entravo in un internet-café. Le candele illuminavano le strade, e c'era un'aria di festa. Pensai ai cieli di Baghdad illuminati dai razzi.
Annie passa poi all'argomento spinoso dei collaborazionisti palestinesi. Nota che i palestinesi non usano mai il termine "jasuss", spia, ma preferiscono usare "amiil", collaborazionista. E' stata testimone di un incidente in cui uno di questi presunti collaborazionisti finì all'ospedale dopo un attacco per vendetta. "Nessuno dei suoi familiari voleva stare con lui in ospedale. Ma un vecchio si lagnò: 'Che utilità può esserci nell'ucciderlo? Questi giovani vengono usati '. Saggia osservazione", dice Higgins.
Gli israeliani si chiedono spesso come i palestinesi possano possedere la pazienza e la capacità di resistenza per sopportare la loro brutale occupazione. "Mi piace stare sui tetti", dice Annie, spiegando che, come tutti i palestinesi di Jenin, si sente costantemente sorvegliata dagli israeliani. Ricorda uno scontro con l'esercito israeliano. Vide degli elicotteri Apache venire verso di lei che leggeva, seduta sul tetto. "Non ho mai corso tanto velocemente in vita mia. Ero sicura che venissero per me".
In Palestina, vive allo stesso modo in cui vivono i suoi ospiti e, umilmente, impara le loro maniere. Una commovente scena notturna mette in evidenza con intensità il mutuo amore e l'affezione che lega l'ospite al visitatore: "Mentre ci sistemavamo sui nostri materassini per la notte, Raghda mi baciò sui quattro punti cardinale del mio volto: 'E' così che si bacia uno shahid (martire) sul cataletto '. Aveva esperienza con molti membri della famiglia".
I media americani sono assolutamente schierati contro i palestinesi, al punto da insabbiare la morte di una ragazza americana schiacciata da un bulldozer israeliano. Se ci fosse stato un dubbio, la morte tragica di Rachel Corrie l' ha rimosso. "Sento la libertà di parola, in Palestina", mi assicura. "Molto più che negli Stati Uniti. Rachel Corrie ha offerto la sua vita come prezzo per la sua dedizione nel difendere i bambini di Palestina". Higgins dice di essere stata ridotta al silenzio negli USA. "Se nomini Jenin, negli USA, sei considerato anti-patriota, perché hai criticato Israele. Sono stata ridotta al silenzio solo per aver pronunciato la parola Jenin", dice, sebbene insista che non ha mai avuto l'intenzione di "reclamizzare" la tragedia del massacro avvenuto laggiù.
"Voglio mostrare il lato umano. Voglio dire al mondo perché bisogna salvare Jenin. La cultura meravigliosa del popolo palestinese merita di essere salvata. Voglio che il mondo, specie l'America, conosca un po' meglio il popolo palestinese". Higgins ha recentemente scritto un'aspra lettera di critica al Christian Science Monitor, a causa della sua copertura giornalistica apertamente in favore d'Israele. "Israele ha armi nucleari e non ha firmato il trattato di Non Proliferazione Nucleare, ed usa le sue armi convenzionali per demolire e distruggere, vite umane comprese". Per la Higgins il doppio standard e' qualcosa di poco chiaro. Quando, si chiede, i crimini contro l'umanità commessi da Israele nei Territori occupati diventeranno troppo grandi per essere taciuti?
Annie Higgins si laureò in Lingue e Civiltà orientali all'Università di Chicago, nel 2001. Lavorò per un certo periodo all'università dell'Illinois prima di mollare tutto per servire come internazionale in Palestina. Si descrive "un'intellettuale indipendente", ma non pensa di ritornare ad insegnare. Suo padre era un avvocato apolitico. Sua madre, che partecipò alle proteste contro la guerra in Vietnam e che leggeva scrupolosamente i rapporti del Congresso, era invece più di un "animale politico". La più giovane di quattro sorelle, Annie dice di essere cresciuta in un ambiente in cui i visitatori erano sempre i benvenuti. "Abbiamo sempre avuto visitatori in casa", spiega, dicendo che le e' stato inculcato in tenera età ad accettare tradizioni e culture diverse dalla sua.
Da adulta, non si e' mai preoccupata dei soldi né si e' mai interessata ai guadagni facili. Il suo lavoro all'università bastava a pagarle i conti ed a permetterle di mettere da parte un po' di soldi. "Mettevo da parte quasi la metà del mio stipendio, ma non avevo piani specifici", spiega. "Non ne faccio mai. Semplicemente, lasciai il mio lavoro ed andai in Palestina. Molti palestinesi che ho conosciuto a Jenin non riuscivano a capire come avessi potuto lasciare il mio lavoro in America per vivere in mezzo a loro, in un campo profughi".
Ritorna poi all'argomento della generosità palestinese. "Ero abituata ad essere povera, ma non mi sono mai sentita disagiata. Non costa molto vivere nel campo di Jenin. Sono una privilegiata. Le porte si aprono dinanzi a me ancora prima che io bussi. Non ho bisogno di chiedere alla gente di lasciarmi entrare".
C'e' stato un altro impulso dietro la decisione di Annie di trasferirsi in Palestina, ed ha molto a che vedere con i suoi valori familiari. E' la religione. "Credo di comprendere meglio la Bibbia, ora. Gesù ha camminato proprio nel luogo chiamato Jenin". Sorride ampiamente e solleva le spalle: "Mi sento come se portassi un foglio di pane alla Palestina". "I palestinesi, come Gesù, cercano sempre di nutrire le persone. Gesù parlava e parlava, e diceva alla gente di guardare al di là delle cose materiali, poi girava le spalle all'improvviso e chiedeva ai suoi ascoltatori se avessero fame. Tipicamente palestinese".
Un cuore non può bastare per due.
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janet
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Posted - 26 February 2004 : 22:05:38
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LO STUPRO DI DULCINEA
di ISRAEL SHAMIR*
Le toccanti parole di Elie Wiesel (Gerusalemme nel mio cuore, NYT 25/1/2001) danno una bella immagine del popolo ebraico che, nel corso dei secoli ha desiderato, amato e pregato per essa, sussurrando il suo nome da una generazione all'altra.
Questa potente immagine ricorda a me, scrittore israeliano di Jaffa, qualcosa di familiare eppure elusivo. Alla fine ho fatto la connessione rileggendo il mio ben rilegato volume del Don Chisciotte. L'evocativo articolo di Wiesel e' la meravigliosa reminiscenza dell'amore immortale del Cavaliere dal volto triste per la sua bella Dulcinea de Toboso. Don Chisciotte vaga per tutta la Spagna proclamando il suo nome. Compie imprese straordinarie, sconfigge giganti, che poi scopre essere mulini a vento, porta giustizia agli oppressi e tutto cio' per amore della sua bella. Quando poi decide di averne abbastanza, manda il suo portatore d'armi, Sancho Panza, presso la dama con un messaggio d'adorazione.
Ora mi trovo nell'imbarazzante posizione di Sancho Panza. Devo informare il mio padrone, Don Wiesel Chisciotte, che la sua Dulcinea sta bene. E' felicemente sposata, ha un mucchio di figlioli ed e' piuttosto occupata nelle faccende domestiche. Mentre lui combatteva contro i briganti e deponeva governatori, qualcun altro si occupava della sua amata, la nutriva, la sosteneva, faceva l'amore con lei, la rendeva madre e nonna. Non precipitarti a Toboso, caro cavaliere, se non vuoi vedere il tuo sogno infranto.
Elie, la Gerusalemme di cui scrivi in maniera cosi' toccante non e' e non e' mai stata desolata. E' vissuta felicemente attraverso i secoli tra le braccia di un altro popolo, i palestinesi di Gerusalemme, che ne hanno avuto cura. L'hanno resa la splendida citta' che e', adornandola col meraviglioso gioiello della Cupola dorata di Haram el Sharif, e costruendo le case con archi appuntati, portici immensi, cipressi ed alberi di palma.
Essi non si preoccupano se il cavaliere errante visita la loro amata citta' nel suo tragitto da New York a Saragozza. Ma sii ragionevole, vecchio. Resta nei limiti della storia e nell'ambito della comune decenza. Don Chisciotte non e' arrivato in una jeep militare a Tobosa per violentare la sua vecchia fiamma. Ok, tu l'amavi e pensavi a lei, ma cio' non ti da' il diritto di uccidere i suoi figli, demolire i suoi giardini di rose e sistemare i tuoi stivalacci sulla tavola del suo salotto. Le tue parole non dimostrano altro che confondi il desiderio con la realta'. Continui a chiederti come mai i palestinesi vogliono Gerusalemme? Perche' gli appartiene, perche' ci vivono ed e' la loro patria. Te lo garantisco, tu sognavi di lei nel tuo antico dialetto polacco. Cosi' come tanta gente al mondo. Lei e' meravigliosa e di certo vale la pena sognarla.
Elie, nei millenni tanta gente ha adorato questa citta'. Gli artigiani svedesi lasciarono i loro villaggi e vennero qui per costruirvi la deliziosa Colonia Americana, insieme ad una famiglia cristiana di Chicago, i Vesters. Puoi leggere di cio' nei lavori di Selma Lagerlof, un altro Premio Nobel. Sulle pendici del Monte degli Olivi, i russi costruirono la Chiesa di Santa Maddalena. Gli etiopi eressero il loro monastero della Resurrezione tra le rovine lasciate dai Crociati.
Molti britannici sono morti per lei e vi hanno lasciato le orme del loro passaggio attraverso le cattedrali di San Giorgio e Sant'Andrea. I tedeschi vi costruirono la delicata Colonia Tedesca e curarono i malati della citta' nell'ospedale Schneller. Un mio devoto bisnonno trovo' riparo tra le sue mura nel 1870, ospitato dai generosi Gerusalemiti dopo aver lasciato un villaggio ebreo della Lituania. E' stato sepolto sulle pendici del Monte degli Olivi.
Nessuno di questi ha mai pensato di poter violentare Dulcinea. Vi hanno solo lasciato bouquet di fiori architettonici a testimonianza della loro adorazione.
Vi sono legioni intere di adoratori di Gerusalemme. E' fuorviante, da parte di Elie Wiesel, ridurre la lotta per questa citta' ad un tiro alla fune tra ebrei e musulmani. E' questione di ridare la proprieta' a coloro che hanno diritto del possesso. La risoluzione di cio' dovrebbe essere basata sul decimo comandamento, osservato dai nostri padri. Essi sapevano che la venerazione non si basa sul diritto di proprieta'. Milioni di protestanti venerano l'Orto del Getsemani posseduto dai cattolici, ma non ne trasferiscono la proprieta' nelle loro mani. Milioni di cattolici venerano la Tomba di Maria, ma essa appartiene alle Chiese Orientali. Da generazioni, i musulmani si inginocchiano presso il luogo della nascita di Cristo a Betlemme, ma la Chiesa rimarra per sempre cristiana.
Cio' che l'acqua ha inflitto a Gremlins nel film di Spielberg, il sionismo lo ha inflitto ai poveri contadini ebrei dell'Europa dell'Est. Li ha costretti a perseguire la pulizia etnica dei Gentili a Gerusalemme ovest, a trasformare l'ospedale Schneller e la chiesa in basi militari ed a costruire un Holyday Inn sulla cima della veberata tomba di Sheik Bader. Lo stato d'Israele proibisce ai cristiani di Betlemme di pregare nel Santo Sepolcro ed impedisce ai musulmani di eta' inferiore ai 40 anni di partecipare alla preghiera del venerdi nella MOschea dell'Aqsa. Questi cambiamenti della citta' attuati dal governo d'Israele accrescono il suo stupro.
Allo scopo di giustificare la violenza, invochi il nome di re Salomone e di Geremia, citi il Corano e la Bibbia. Lascia che ti racconti una storiella ebraica hassidica, che sicuramente avrai sentito raccontare nel tuo schtetl polacco. Una midrash ebraica, una leggenda, narra che Abramo aveva una figlia. Un sempliciotto hassid chiese al suo rabbi perche' mai Abramo non avesse fatto sposare suo figlio Isacco alla ragazza. Il rabbi rispose che Abramo non voleva sposare un figlio reale ad una figlia leggendaria.
Le leggende sono fatte della stessa stoffa di cui sono fatti i sogni. Alcuni sono bellissimi, altri orrendi, ma nessuno di essi e' valido come piattaforma politica per la conquista di una terra. Tu, Elie, certamente non vorresti perdere la tua casa privata di New York a causa di qualche verso scritto nel Libro dei Mormoni. Questo gioco della diffusione del vangelo sionista sta diventando irrilevante, ma giochero' un altro round con te per il divertimento del pubblico. Come puo' dirti ogni archeologo, Re Salomone ed il suo Tempio appartengono al regno della fantasia della figlia di Abramo. Inoltre il nome di Gerusalemme non e' menzionato neppure una volta nel Libro Sacro degli ebrei, la Torah. Vuoi giocare ancora, Elie? Bene, ti diro' di piu'. Nemmeno gli ebrei sono menzionati nella Bibbia ebraica. Tira fuori quel grosso librone dal tuo scaffale e cerca pure. Nessuno di quei grandi uomini leggendari che hai nominato, da Re Davide ai Profeti erano chiamati "gli ebrei". Questo etnonimo appare per la prima ed unica volta nel Libro di Ester, uno dei piu' recenti della Bibbia. L'autoidentificazione degli ebrei con le tribu' di Israele e con gli eroi della Bibbia e' valida tanto quanto la storia di Roma fondata dal principe troiano Enea. Se i turchi moderni, che si definiscono "i discendenti di Troia" conquistassero Roma, facessero saltare in aria i capolavori barocchi del Borromini ed espellessero i suoi abitanti per ristabilire la legalita' di Enea, non farebbero altro che ripetere la follia dei sionisti.
I nostri antenati, gli umili contadini europei orientali di Yids, il cui linguaggio era lo Yiddish, si adornavano tradizionalmente con gli stupefacenti leono araldici degli eroi biblici. La loro pretesa di discendere da queste leggende era valida tanto quanto la pretesa dell'ambiziosa contadina Tess del romanzo di Hardy. Ma persino la leggendaria Tess non osa cospirare per cacciare via il signore dal castello e pretendere il maniero per se'.
Una volta, mentre camminavo con alcuni pellegrini cristiani verso la Chiesa del Santo Sepolcro, fui fermato da un ebreo hassidico. Lui mi chiese se i miei compagni fossero ebrei e, avendo ricevuto una risposta negativa, esclamo' sorpreso: "Cosa cercano questi Goyyim Gentili nella Citta' Santa?". Lui non aveva mai sentito parlare della Passione di Gesu' Cristo, il cui nome veniva usato come formula di giuramento. Io sono ugualmente sorpreso che un professore ebreo dell'Universita' di Boston sia ignorante come quel sempliciotto ebreo hassidico. Gerusalemme e' sacra per miliardi di credenti: cristiani cattolici, protestanti e ortodossi, musulmani sunniti e sciiti, ed a migliaia di ebrei hassidici e sefarditi. Eppure, come citta', Gerusalemme non e' diversa da qualsiasi altro posto al mondo: essa appartiene ai suoi cittadini.
Altri venti anni di controllo sionista su questa antica citta' la trasformeranno in una qualsiasi Milwaukee e rovineranno per sempre il suo fascino. Gerusalemme deve ritornare ai suoi veri abitanti. Le proprieta' confiscate di Talbieh e Lifta, Katamon e Malka devono tornare ai loro proprietari. Professor Wiesel, rispetta il diritto di proprieta' dei Gentili come tu vuoi che i Gentili rispettino il tuo diritto alla tua bella casa. I luoghi santi di Gerusalemme sono regolati da uno statuto internazionale vecchio di 150 anni che non dovrebbe essere alterato. L'ultimo tentativo di manometterlo causo' l'assedio di Sebastopoli . Il prossimo potrebbe causare una guerra nucleare.
Un cuore non può bastare per due.
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