Nato a Genova nel 1922, figlio d'un ingegnere edile tedesco e della pisana Luisa Ambron, Vittorio Gassman interrompe gli studi di giurisprudenza per iscriversi all'Accademia d'Arte Drammatica sin dalla stagione 1941-42: esordisce in palcoscenico, non ancora diplomato, ne "La nemica" (1943) di Niccodemi a fianco di Alda Borelli. Successivamente, si afferma come uno dei più apprezzati attori giovani del teatro nostrano, lavorando - tra gli altri - con Visconti, con Guido Salvini, con Luigi Squarzina, fino a diventare direttore unico (dalla stagione 1954-55) d'una propria compagnia: vastissimo il repertorio di questi anni, che va da "Un tram che si chiama desiderio" di Williams ad "Oreste" di Alfieri, da due classici shakespeariani quali "Amleto" ed "Otello" al "Kean, genio e sregolatezza" di Dumas padre passando per "Adelchi" di Alessandro Manzoni. Da ricordare, nel 1977, la sua splendida versione scenica del dramma di Pier Paolo Pasolini"Affabulazione". Degna di nota, pure, la sua attività televisiva: da menzionare, almeno, lo straordinario successo ottenuto nel 1959 con la trasmissione d'intrattenimento "Il mattatore", per la regia di Daniele D'Anza, e le fortunate trasposizioni pel piccolo schermo di alcuni suoi grandi successi teatrali. Dal 1946 comincia invece la sua fortunata carriera nel cinema, cui si dedicherà con sempre maggior frequenza nel corso del tempo: meritano, al riguardo, d'esser citati quantomeno "I soliti ignoti" (1958) e "La grande guerra" (1959) di Mario Monicelli, "Il sorpasso" (1962) ed "I mostri" (1963) di Dino Risi, "L'armata Brancaleone" (1966) ancora di Monicelli, "L'alibi" (1969) di cui è anche co-regista, "In nome del popolo italiano" (1971) e "Profumo di donna" (1974) di Dino Risi, "C'eravamo tanto amati" (1974) e "La terrazza" (1980) di Ettore Scola, "Anima persa" (1977) e "Caro papà" (1979) nuovamente con Risi, le partecipazioni ad "Un matrimonio" (1978) e "Quintet" (1978) di Robert Altman, per finire con "La famiglia" (1987) di Ettore Scola, "Lo zio indegno" (1989) di Franco Brusati, "Tolgo il disturbo" (1990) di Dino Risi. Il "mattatore" si è spento il 28 Giugno 2000, a 78 anni, nella sua casa romana.
Elvis Aaron Presley (U.S.A.-1935-1977), nasce a East Tupelo cittadina a 150 chilometri da Memphis. Si avvicina alla musica grazie ai genitori, che intonano canti gospel nella chiesa locale e, a soli 10 anni, partecipa ad una gara per principianti: il Mississippi Alabama Fair And Dairy Show, cantando OLD SHEP, vince il secondo premio e, in occasione del suo compleanno, riceve in regalo la prima chitarra con la quale inizia a strimpellare country ed anche un po' di blues. Nel 1948 la sua famiglia si trasferisce a Memphis nel Tennessee, dove Presley termina gli studi e trova lavoro come camionista presso la Crown Electric Company. Crescendo, subisce l'influenza degli artisti country & western e della gente di colore, imitandone l'abbigliamento e la pettinatura. Nella primavera del 1953, decide di registrare un disco a pagamento presso il MEMPHIS RECORDING SERVICE di proprietà di SAM PHILLIPS, titolare della SUN RECORDS, ed incide due canzoni: MY HAPPINESS degli INK SPOTS e THAT'S WHEN YOUR HEARTACHES BEGIN. L'anno dopo, ripete l'esperienza incidendo un secondo disco CASUAL LOVE AFFAIR e I'LL NEVER STAND IN YOUR WAY; si suppone che Presley, ritentando la carta dell'incisione, tenti di farsi notare da Phillips, il quale, qualche tempo dopo, lo chiama per fargli eseguire una ballata dal titolo WITHOUT YOU. Il risultato non é eccezionale, ma lo scopo è raggiunto. PHILLIPS, gli affianca due musicisti di grande esperienza, SCOTTY MOORE e BILL BLACK, con cui prova nei fine settimana. Da queste sessions, nel luglio 1954, nascono THAT'S ALL RIGHT MAMA e BLUE MOON OF KENTUCKY, riuscitissime versioni di leggendari classici americani: il disco esce il 19 luglio e sale al 3° posto della classifica locale. Lasciato il lavoro alla CROWN, con MOORE e BLACK forma i BLUE MOON BOYS ed il 25 settembre esce il secondo singolo: GOOD ROCKIN TONIGHT/I DON'T CARE IF THE SUN DON'T SHINE che riscuote un discreto successo e gli permette di esibirsi al Grand Ole Opry di NASHVILLE. Lo show non desta particolare entusiasmo, nonostante la delusione, inizia a cantare regolarmente dal vivo, aumentando la sua popolarità negli stati del Sud. Fra il 1954 e il 1955, Elvis si esibisce in oltre 200 concerti, ed il 16 aprile, nel corso di uno show, conosce COLONNELLO PARKER, il personaggio che più contribuirà a creare la leggenda Presley. Alla fine del 1955, PARKER gli procura un vantaggiosissimo contratto con l'RCA e nel gennaio del 1956, esce un nuovo singolo, HEARTBREAK HOTEL, che Elvis presenta nella sua prima apparizione televisiva nazionale allo STAGE SHOW (condotto dai fratelli DORSEY). Il disco vende milioni di copie e le successive apparizioni televisive scatenano il mito di Elvis e del R&R in tutti gli STATI UNITI. Nel corso del 1956 ben 11 sono le presenze del cantante nelle classifiche di BILLBOARD (record superato solo da lui stesso nel 1957) I WAS THE ONE, BLUE SUEDE SHOES, DON'T BE CRUEL, sono alcuni titoli. Col tempo il sound di Presley assume caratteristiche più popolari: LOVE ME TENDER , splendida ballata ispirata ad AURA LEE, brano folk de 1861. LOVE ME TENDER, nel giro di pochi giorni, riceve oltre un milione di prenotazioni e l'RCA avrà molte difficoltà a stampare le copie richieste. È il 1957, Elvis debutta come attore in due film: LOVING YOU e JAILHOUSE ROCK che ottengono un grande successo di cassetta; seguono due album ed uno splendido LP di canzoni natalizie. Nel frattempo, il COLONNELLO PARKER, sfruttando il nome dell'artista, organizza una struttura commerciale che crea un grosso giro d'affari, vendendo portafogli, magliette, cinture, rossetti e altri gadget di vario formato e natura. Il 24 marzo 1958, dopo aver terminato il suo quarto film KING CREOLE, inizia il servizio di leva in ARKANSAS e qualche mese dopo viene trasferito nel TEXAS dove rimane fino al 22 settembre, giorno in cui si imbarca sulla nave USS RANDALL in rotta per Bremerhaven, GERMANIA.Per due anni rimane lontano dalle scene e dagli studi di registrazione, ma la sua casa discografica stampa materiale inciso in precedenza, mantenendo viva l'immagine di Elvis e procurndogli nuove presenze in classifica con i seguenti titoli: DON'T, WEAR MY RING AROUND YOUR NECK, HARD HEADED WOMAN, A FOOL SUCH AS I, A BIG HUNK OF LOVE ed altri. Il primo marzo 1960 termina la carriera militare e rientra in patria, dove riceve il benvenuto ufficiale partecipando allo show televisivo di FRANK SINATRA. Subito dopo, nonostante una serie di eventi segni la fine del R&R e dei suoi migliori esecutori (LITTLE RICHARD, JERRY LEE LEWIS, GENE VINCENT, BUDDY HOLLY ecc...), Presley passa in sala di registrazione ed in aprile esce il nuovo singolo, STUCK ON YOU/ FAME AND FORTUNE, che diventa primo in classifica; stesso destino avranno i tre singoli successivi: IT'S NOW OR NEVER, ARE YOU LONESOME TONIGHT e SURRENDER. Ancora Anche il cinema continua a vederlo protagonista con produzioni di vario genere: G.I. BLUES (1960), commedia leggera, FLAMING STAR (1960), western e il più impegnato WILD IN THE COUNTRY (1961), ma è BLUE HAWAII (1961) che definisce la formula che verrà utilizzata nei film successivi: battersiper il proprio futuro, conquistare la donna amata e il classico lieto fine, il tutto girato in note località turistiche. Le ultime apparizioni live di Elvis (25 febbraio e 25 marzo 1961) si tengono a MEMPHIS ed alle HAWAII: sono due spettacoli di beneficenza per raccogliere fondi a favore della nave USS ARIZONA, affondata a PEARL HARBOUR nella 2° GUERRA MONDIALE, questo spiega lo straordinario successo dei suoi film, dato che per molti anni saranno l'unico modo per vederlo cantare. Infatti negli anni 60 Elvis interpreta ben 27 pellicole, oltre a quelle già citate ricordiamo: STAY AWAY JOE(1968),CHARRO(1969), VIVA LAS VEGAS(1964), EASY COME EASY GO(1967) e LIVE A LITTLE LOVE A LITTLE (1968). Ancora Anche il cinema continua a vederlo protagonista con produzioni di vario genere: G.I. BLUES (1960), commedia leggera, FLAMING STAR (1960), western e il più impegnato WILD IN THE COUNTRY (1961), ma è BLUE HAWAII (1961) che definisce la formula che verrà utilizzata nei film successivi: battersiper il proprio futuro, conquistare la donna amata e il classico lieto fine, il tutto girato in note località turistiche. Le ultime apparizioni live di Elvis (25 febbraio e 25 marzo 1961) si tengono a MEMPHIS ed alle HAWAII: sono due spettacoli di beneficenza per raccogliere fondi a favore della nave USS ARIZONA, affondata a PEARL HARBOUR nella 2° GUERRA MONDIALE, questo spiega lo straordinario successo dei suoi film, dato che per molti anni saranno l'unico modo per vederlo cantare. Infatti negli anni 60 Elvis interpreta ben 27 pellicole, oltre a quelle già citate ricordiamo: STAY AWAY JOE(1968),CHARRO(1969), VIVA LAS VEGAS(1964), EASY COME EASY GO(1967) e LIVE A LITTLE LOVE A LITTLE (1968).Due ottimi album segnano il 1960: ELVIS IS BACK una delle sue produzioni migliori (con i brani FEVER, LIKE A BABY ecc. ) e HIS HAND IN MINE un intero album di brani gospel. Negli anni a venire quasi tutte le produzioni discografiche di Presley saranno colonne sonore, fino al 1967 quando esce HOW GREAT THOU ART, secondo bllissimo album di gospel e BIG BOSS MAN che, insieme a U.S. MALE, rappresenta il ritorno del cantante al suo primo amore: il R&R. Nel tentativo di rinverdire il suo mito, THE KING convoca i migliori musicisti del momento e registra in studio, davanti a un pubblico, quelle che sono conosciute come le BURBANK SESSIONS. Da sette anni non canta davanti ad una platea e il fatto diventa quindi un avvenimento: il 3 dicembre 1968 viene trasmesso all'ELVIS NBC TV SPECIAL, sulla rete televisiva nazionale. È un momento decisivo nella carriera di Presley che, abbandonato il sound degli ultimi anni e deciso a riprendersi lo scettro di re del R&R, debutta il 31 luglio 1969 all'INTERNATIONAL HOTEL di LAS VEGAS con grande successo di pubblico e critica. Sarà questo il primo di una lunga serie di spettacoli che negli anni 70 lo riporteranno a contatto col suo pubblico. Da luglio a dicembre, tre eccellenti singoli scalano la classifica di vendita: IN THE GHETTO, SUSPICIOUS MINDS e DON'T CRY DADDY. Grazie a questi nuovi succesi Elvis inizia una intensa e frenetica attività live (più di 1.000 concerti in 5 anni). Una di queste esibizioni, ELVIS: ALOHA FROM HAWAII del 14 gennaio 1973, viene trasmessa via satellite in mondovisione ad un pubblico di un miliardo di persone, in seguito ne verrà tratto uno storico album; la prima incisione quadrifonica a superare il milione di copie vendute. L'enorme produzione discografica di questo periodo é ovviamente imperniata su registrazioni dal vivo, scarso é invece il materiale cinematografico, gli unici lavori su pellicola sono due documentari sulla vita del cantante durante le tournée: ELVIS, THAT'S THE WAY IT IS e ELVIS ON TOUR. Presley comincia a sentirsi ingabbiato dal suo stesso mito e la sua vita é ormai quella di un quasi recluso, circondato da un'impenetrabile corte di parenti, amici e faccendieri che non gli consentono di condurre una vita normale.Il divorzio dalla moglie Priscilla nel 1973 gli dà il colpo di grazia, l'alcool e le medicine prendono il sopravvento causandogli frequent attacchi depressivi, l'alimentazione disordinata e l'alcool lo portano ad ingrassare ormai vistosamente ed a ricorrere ad estenuanti cure dimagranti, che peggiorano ulteriormente il suo stato di salute costringendolo a periodici ricoveri in ospedale. Malgrado la precaria situazione fisica, il 12 febbraio 1977, inizia una nuova tournée che si conclude il 26 giugno con lo show tenutosi al MARKET SQUARE ARENA di INDIANAPOLIS, da quest'ultimo tour viene tratto lo special televisivo ELVIS IN CONCERT, programmato poi dalla CBS il 3 ottobre successivo. Deciso a prendersi un periodo di riposo, torna nella sua casa di GRACELAND, a MEMPHIS, ma verso le due del pomeriggio del 16 agosto viene ricoverato d'urgenza al BAPTIST MEMORIAL HOSPITAL, dove i medici lo dichiarano morto per aritmia cardiaca: sono le 15,30 del 16 agosto 1977.
Alfred Hitchcock nasce a Leytonstone, vicino Londra, il 13 agosto 1899. Suo padre William gestisce due negozi di frutta e verdura lungo l’High Road di Leytonstone. Alfred è il terzogenito, suo fratello maggiore, William jr, ha 9 anni più di lui, sua sorella Nellie invece ne ha 7 di più. Sarà William ad ereditare il patrimonio di famiglia, mentre il giovane Alfred preferirà dedicarsi al cinema. Fin da piccolo Alfred si dimostra un bambino buono e tranquillo, tanto che suo padre è solito chiamarlo il suo "agnellino senza macchia". All’età di 4-5 anni succede un fatto curioso: per punirlo di una marachella suo padre decide di mandarlo al vicino commissariato di polizia con una lettera. Il funzionario, dopo aver letto il foglio, rinchiude il povero Alfred in una cella per una decina di minuti, ma è abbastanza da far crescere in Alfred la paura per tutti i poliziotti! Introverso e solitario, gli piace stare seduto in un angolino a guardare gli altri in silenzio, non ha molti amici con cui giocare, frequenta scuole religiose e ne cambia parecchie. Dai 9 ai 14 anni è presso i Gesuiti, allo St. Ignatius College di Stamford Hill, un ambiente rigido e severo, dove subisce anche punizioni corporali. "Molto probabilmente" - come disse una volta lui stesso – "è stato durante il periodo passato dai Gesuiti che il sentimento della paura si è sviluppato con forza dentro di me". Alfred non è un genio a scuola, ma ha una gran passione per la fotografia e per tutto ciò che ha a che fare con carte topografiche, mappe, e percorsi ferroviari. Da qui il suo enorme interesse per i viaggi in tutto il mondo. Nel 1914, all’età di 15 anni, suo padre William muore, mentre la 1° Guerra Mondiale è ormai alle porte. Nel 1917 Alfred è riformato e decide quindi di arruolarsi in un corpo di volontari del genio a Londra. Il primo impiego lo trova presso una compagnia che si occupa di cavi elettrici, il suo compito è quello di redigere i preventivi tecnici. Ma la sua vena artistica non viene sepolta… Frequenta corsi di disegno, si diverte a fare le caricature dei colleghi e comincia a cimentarsi in brevi racconti e articoli. Contemporaneamente Alfred Hitchcock continua a frequentare le sale cinematografiche, ma preferisce le opere americane a quelle inglesi. I suoi miti sono Charlie Chaplin, David Wark Griffith, Buster Keaton, Douglas Fairbanks, Mary Pickford. Tutto ha inizio quando Alfred riesce ad ottenere dalla casa produttrice Famous Players l'incarico dei disegni e delle didascalie dei film in produzione. In questo modo ha occasione di avvicinarsi anche ad altri settori della casa di produzione, tra cui quello della sceneggiatura e del montaggio. Sono gli anni d’oro del cinema muto americano, quello in cui ritroviamo i capolavori di Griffith: "Nascita di una Nazione" (1914), "Intolerance" (1916), "Il Giglio Infranto" (1919); quelli di C. Chaplin, come "Il Monello" (1921), e di Stroheim, "Femmine Folli" (1921). E’ il 1922, Alfred Hitchcock debutta come regista. L’opera prima però rimane incompiuta negli archivi della Famous Players-Lasky. Anche il titolo è incerto, per la casa di produzione risulta "Mrs. Peabody", mentre per lui è e resta "Number 13". La sua seconda chance arriva nel 1923 quando subentra al regista Hugh Croise in rotta con la produzione; nasce una nuova società: la Balcon-Saville-Freedman e Alfred Hitchcock viene assunto in qualità di aiuto-regista, ma questo è solo il trampolino di lancio per la sua grande e luminosa carriera. Ambizioso quanto basta, appena sente dire che c’è bisogno della sceneggiatura di una commedia per un film si propone egli stesso. Vince così la sua prima sfida, diventando sceneggiatore a tutti gli effetti. La commedia con cui deve cimentarsi si intitola "Woman To Woman" e il film omonimo viene diretto da Graham Cutts, un regista molto famoso a quel tempo. In quell’occasione Hitchcock ha modo di proporsi anche come scenografo, valendosi della sua forte esperienza di disegnatore. Fu negli anni venti-trenta, quando il cinema stava subendo un rapido quanto sconvolgente cambiamento, che Hitchcock venne alla ribalta: attraverso film come Il giardino del piacere (1925), L’aquila della montagna (1926), Il pensionante (1926). Tutti film che rispecchiano già quella personalità che poi avrà definitiva espressione nei film a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, ma che nello stesso tempo sono dei veri e propri esempi di cinema “puro”. Nella vita di Hitchcock c’erano molte cose a proposito delle quali egli voleva essere evasivo: fantasie colpevoli, comportamenti sociali di aggressività passiva, desideri proibiti non sempre frenati, un’attitudine personale e registica manipolatoria, se non addirittura tirannica. Tutte caratteristiche che in maniera più o meno chiara alla fine diventarono elementi essenziali dei suoi film; e soprattutto nel momento in cui il regista inglese decise di trasferirsi negli Stati Uniti, dove poi avvenne la sua definitiva consacrazione. A differenza, per esempio, di Welles, Hitchcock riuscì perfettamente ad inserirsi nel “sistema” hollywoodiano, utilizzandone ampiamente tutte le possibilità, introducendo negli schemi produttivi e nei canoni spettacolari, sostanzialmente uniformi e ripetitivi, quella sua personale visione del mondo, venata di cattolicesimo e di una forte dose di scetticismo, che si esprime in una poetica che ruota attorno al concetto di “suspence”, vale a dire l’”attesa” che accada qualcosa che ognuno, dentro di sé, non vorrebbe che accadesse, grazie al quale il pubblico viene coinvolto in un gioco sadico che gli provoca, inesorabilmente, un’angoscia irrefrenabile. Già nei film che egli realizzò in Inghilterra agli inizi della sua carriera, il motivo della suspence è alla base di racconti che, attingendo alla tradizione di certa narrativa gialla prettamente britannica, vi introducono da un lato un sottile umorismo e dall’altra una ricerca formale estremamente elaborata. Con il periodo americano, invece, nasce un Hitchcok un po’ più commerciale ed attento ai gusti del pubblico, sfornando così oltre cinquanta film in poco più di quaranta anni. Possiamo citare Rebecca, la prima moglie (1940), Notorius, l’amante perduta (1946), L’ombra del dubbio (1943), dove quell’angoscia derivante dall’ambiguità dei personaggi e delle situazioni e dall’attesa di qualcosa di irreparabile, si manifesta in termini fortemente drammatici. Accanto a questi primi film in cui si comincia a manifestare il gusto del misterioso, dell’enigmatico e attraverso i quali si denota una rappresentazione prospettica della realtà, con elementi continuamente mutevoli che permettono di osservarla da molti angoli visuali, nascono quelli che possono essere considerati certamente i film più completi della prima parte della sua carriera registica: Il delitto perfetto (1954), La finestra sul cortile (1954), L’uomo che sapeva troppo (1956), Caccia al ladro (1955), La donna che visse due volte (1958). Tutti film basati sul tema ricorrente del dubbio, dell’ambiguità, del contrasto tra apparenza e realtà. La fine degli anni ’50 segna un profondo cambiamento nella poetica di Hitchcock, che adesso si orienta verso una più complessa e prospettica rappresentazione dell’angoscia contemporanea, in cui il dubbio e la paura affondano nel tessuto vitale di un’esperienza di vita che è quella dei nostri giorni. In uno stile più disteso, classico, maturo, l’abnorme, il misterioso, l’inconsueto nascono da una realtà perfino a tratti banale, si introducono nelle pieghe di un racconto che procede senza scosse, quasi fosse un resoconto di fatti di cronaca. Il brivido, adesso, è un elemento indispensabile per la resa spettacolare di una situazione drammatica che fornisce tutta una serie di indicazione per osservare la “quotidianità” con occhi irrequieti, indagatori. La realtà fenomenica, così, balza in primo piano, al di là delle costrizioni cinematografiche consuete, e questo maggior realismo della rappresentazione conferisce al film una dimensione maggiormente angosciante. Simbolo di questo nuovo modo di intendere il cinema è forse il film più conosciuto del regista inglese, Psyco (1960), più un horror che un thriller, dove il tema dell’angoscia si fa più esplicito e profondamente radicato nella vicenda e nei personaggi. La storia di questo pazzo, Norman Bates, che uccide i clienti del suo motel in nome di un complesso per molti versi freudiano, è la rappresentazione della paura dell’uomo di fronte al potere che assume gli aspetti della rispettabilità, del decoro, della normalità. Alfred Hitchcock si spense senza suspence, senza violenza (il terrore, dopotutto, era stato per anni parte dei suoi sogni e della sua arte) alle 09,17 della mattina del 29 aprile del 1980 a Los Angeles in California. Vissuto in un'epoca in cui l'umanità non riesce più a controllare le proprie azioni e vive costantemente nell'incubo dell'olocausto nucleare, Hitchcock è il più grande poeta della paura di ogni tempo; non la paura di un tiranno o di un assassino, ma la paura di un innocente e mediocre uomo qualunque, per esempio un uomo di nome Alfred.
Sergio Leone, nato a Roma il 3 gennaio 1929, è sicuramente una delle figure più leggendarie nel campo della regia, non solo per quel che riguarda il cinema italiano, ma anche internazionale. Con soli otto film ufficialmente accreditati è riuscito infatti a influenzare il modo di fare film in tutto il mondo, fino ai giorni nostri. Leone nasce a Roma, e si può ben definire un figlio d’arte, visto che suo padre è l’attore e regista Vincenzo Leone e la madre l’attrice Edvige Valcarenghi, entrambi pionieri del cinema muto italiano. In particolare il padre, sotto lo pseudonimo di Roberto Roberti, dirige numerosi importanti successi nel periodo prima della Grande Guerra, come lo scandaloso “La donna nuda” (1918), interpretato da una famosa diva del tempo, Francesca Bertini. Non stupisce che il giovane Sergio, cresciuto a stretto contatto con l’ambiente entusiasmante del grande muto italiano, scelga ben presto di dedicarsi anche lui al cinema, lasciando gli studi di giurisprudenza ai quali il padre l’aveva destinato. L’Italia è appena uscita dal disastro della Seconda Guerra Mondiale e l’industria cinematografica è tutta da ricostruire. In questa situazione Leone non fatica ad affermarsi come sceneggiatore. Le grandi produzioni americane, attratte dai bassi prezzi e dalla disponibilità di manodopera accorrono a Roma a girare kolossal come “Quo Vadis” (1951) o “Ben Hur” (1959). Grazie alle enormi scenografie allestite dagli americani, gli italiani possono realizzare parassitariamente decine di altri film di argomento pseudo-storico o mitologico, in seguito definiti “peplum” o ancor più gergalmente “sandaloni”. Le sceneggiature in serie dei “sandaloni” sono i primi esercizi con i quali il giovane Sergio si misura sul genere cinematografico. Nel 1959, mentre si gira “Gli ultimi giorni di Pompei”, il regista Mario Bonnard si ammala, e al giovane sceneggiatore viene chiesto di completare la regia. Visti i buoni risultati ottenuti, la produzione decide di affidargli quello che sarà il suo primo film da regista: “Il Colosso di Rodi” (1961). Già in questo primo e poco conosciuto esperimento si rivela la sua abilità nel cogliere gli elementi essenziali di un genere per volgerli verso conseguenze estreme e paradossali, senza raggiungere tuttavia risultati parodici o ridicoli, ma piuttosto una specie di distacco ironico, ottenuto sia tramite le scenografie elaborate, sia tramite movimenti di macchina molto complessi. Nonostante il buon successo de “Il Colosso di Rodi” niente lascia presagire il trionfo che Leone avrà di lì a poco con il suo “Per un pugno di dollari” (1964). Mentre il cinema mondiale è scosso dalla rivoluzione della Nouvelle Vague francese e dalle novità apportate da Fellini e Antonioni, Leone sente il bisogno di un rinnovamento profondo anche per il cinema di genere e primo fra tutti il più hollywoodiano, il Western. Influenzato dall’epica dei samurai, importata in Europa da Kurosawa, con il successo del suo “Yojimbo” (1961), Leone predispone così un western atipico, più sporco e violento di qualunque esempio americano, gira gli esterni in Spagna, impone come protagonista un semisconosciuto attore televisivo, Clint Eastwood, e chiede a un suo ex compagno di scuola, Ennio Morricone, di curare una colonna sonora martellante. Il tratto distintivo della sua regia emerge pienamente in questo secondo film, tramite un montaggio curatissimo e rapido che unisce in maniera spesso spiazzante campi lunghi con primi piani e dettagli di mani e occhi. Il successo è mondiale e a dir poco eclatante, soprattutto negli USA. I montaggi di Leone sono ancora studiati nelle scuole di cinema di mezzo mondo e il suo nome è legato alla fondazione di un genere completamente nuovo, il cosiddetto “Spaghetti Western”. A “Per un pugno di dollari”, Leone fa seguire in rapida successione “Per qualche dollaro in più” (1965) e “Il buono, il brutto e il cattivo” (1966), completando la cosiddetta “Trilogia del dollaro”. Gli incassi dei suoi film si fanno sempre più alti e la carriera di Clint Eastwood viene definitivamente lanciata nell’empireo di Hollywood. Gli attori fanno la fila pur di partecipare ai suoi lavori. Alla fine degli anni Sessanta la reputazione di Leone è leggendaria. La Paramount lo consacra chiamandolo in America per dirigere, come è ovvio, un western. Questa volta il cast è di altissimo livello con attori come Claudia Cardinale, Henry Fonda, Charles Bronson e Jason Robards e le location quelle originali della Monument Valley. Il risultato è lo straordinario “C’era una volta il West” (1968), ancora molto amato da pubblico e critica, oltre che grandissimo successo al botteghino internazionale. Tornato in Europa, il regista romano è di nuovo dietro la macchina da presa per un piccolo gioiello, che è una specie di somma di tutte le sue tematiche: l’ironico “Giù la testa!” (1971). Con questa storia di rapinatori e rivoluzionari bombaroli, il regista sembra voler regolare i conti con lo spaghetti western, genere che ormai comincia a stargli stretto, e con le istanze rivoluzionarie degli ambienti intellettuali italiani, dai quali spesso provengono rimproveri verso i suoi film apparentemente “disimpegnati”. Segue una sosta lunghissima, più che decennale, durante la quale Leone elabora diversi progetti. Nel 1984 ritorna sul grande schermo con “C’era una volta in America”, un’epica gangster che rielabora in maniera geniale il grande cinema di genere hollywoodiano, senza trascurare i successi della “New Hollywood” come “Il Padrino” (1972) di Coppola. La regia sembra diventare più fluida e meno ritmica. I tempi si allungano a dismisura, diventando quasi ipnotici. L’interpretazione di Robert De Niro è magistrale. Ancora una volta Leone dimostra di saper rinnovare il genere dall’interno e trova il consenso unanime della critica e del pubblico, ma non negli USA, dove la Warner lo presenta in versione tagliata, provocandone indirettamente il flop commerciale. Leone vorrebbe ora toccare un nuovo genere, il film di guerra, e progetta un mastodontico film sull’assedio di Leningrado, un’opera quasi visionaria che però non vedrà mai la luce. I tempi di realizzazione si allungano a dismisura, quando, nel cordoglio generale degli ambienti del cinema, il regista viene colpito da un improvviso attacco cardiaco il 30 aprile del 1989, morendo a soli 60 anni di età.
(web)
(bellissimo ricordare la mia infanzia...sono cresciuta con tutti questi film)
Charles Spencer Chaplin nasce il 16 aprile 1889, a Londra, nella tipica periferia suburbana. Il padre era guitto del musuc-hall detito al bere mentre la madre, mediocre cantante, in perenne difficoltà nel trovare lavoro, affida Charles e Sidney (fratello di quattro anni più vecchio) ad un orfanotrofio dove restano due anni.
Infanzia difficile dunque, la sua. A cui si aggiungono a spirale, in un rincorrersi tragico, altri problemi derivati da quella condizione di miseria umana e materiale. Non solo i genitori ad un certo punto si separeranno, ma la madre svilupperà anche una brutta malattia mentale della madre che la costringerà ad un penoso via vai di ricoveri ospedalieri e faticosi ritorni sulle scene. In mezzo a tutto questo, però, Chaplin coltiva forte il sentimento di una necessità di miglioramento, un'ambizione per una vita più dignitosa a cui si vanno ad aggiungere la sua innata intelligenza e la capacità di saper cogliere aspetti del reali oscuri agli altri.
Il talento del giovane Charles, d'altronde, fa presto a manifestarsi. A soli sette anni già affronta il palcoscenico come cantante mentre a quattordici ottiene le sue prime parti teatrali (la seconda è in uno Sherlock Holmes che lo vedrà a lungo in tournée). Non si può dire insomma che non abbia fatto la classica gavetta, che la sua conoscenza del mondo dello spettacolo non sia approfondita. Una scuola di vita che lo porta a diciannove anni ad essere accettato dalla celebre compagnia di pantomime di Fred Karno, con cui collabora per un paio di anni prima della grande tournè americana, l'occasione che gli farà scoprire un mondo diverso, più libero e ricco di possibilità.
Ed è proprio durante un giro di spettacoli ad Hollywood nel 1913, che il produttore Mack Sennett lo scopre, inducendolo poi a firmare il primo contratto cinematografico con la Keystone. Nel 1914 fa la sua prima apparizione sullo schermo (titolo: "Per guadagnarsi la vita"). Per le brevi comiche pensate per Sennett, Chaplin trasformò la macchietta che si era costuito nel tempo, ?Chas? (una sorta di nullafacente dedito solo al corteggiamento), in quel campione di umanità che è il vagabondo "Charlot" (chiamato inizialmente "Charlie" ma poi ribattezzato Charlot nel 1915 da un distributore francese), confezionato da Chaplin nell'indimenticabile "divisa" fatta di baffetti neri, bombetta, giacchetta stretta e corta, pantaloni larghi e sformati e bastoncino di bambù-.
L'attività, come l'epoca vuole, è frenetica: 35 comiche realizzate per la Keystone nel solo 1914 (ben presto anche come regista), 14 per la Essanay nel 1915-16, 12 per la Mutual nel 1917. Un'immensa mole di lavoro che però contribuisce a lanciare definitivamente Charlot, ormai entrato nel cuore di milioni di persone in mezzo mondo. Nel 1918, infatti, Chapli si potrebbe anche considerare "arrivato": è ricco, famoso e conteso. Una prova? In quell'anno firma un contratto da un milione di dollari con la First National per la quale realizza, sino al 1922, nove mediometraggi (fra cui classici assoluti come "Vita da cani", "Charlot soldato", "Il monello", "Giorno di paga" e "Il pellegrino").Seguono i grandi film prodotti dalla United Artists (la casa fondata da Chaplin nel 1919 con Douglas Fairbanks sr., D. W. Griffith e Mary Pickford): "La donna di Parigi" (di cui è solo regista), "La febbre dell'oro" e "Il circo negli anni '20"; "Le luci della città" e "Tempi moderni" negli anni '30; "Il grande dittatore" (travolgente satira del nazismo e del fascismo) e "Monsieur Verdoux" negli anni '40; "Luci della ribalta" nel 1952.
Personaggio pubblico, universalmente acclamato, Chaplin ha avuto anche un'intensa vita privata, sulla quale sono fiorite leggende di tutti i tipi, poco chiarite ancora oggi. Ad ogni buon conto, a testimonianza della voracità sentimentale del personaggio, stanno a testimonianza quattro matrimoni, qualcosa come dieci figli "ufficiali e numerose relazioni spesso burrascose e dai complessi scioglimenti.
Numerosi anche gli avvenimenti di carattere politico che hanno segnato la vita del grande comico (ammesso che questa parola non sia troppo riduttiva). La presunta origine ebraica e le simpatie per idee e movimenti di sinistra gli causarono numerose grane, fra cui quella di essere sottoposto al controllo dell'FBI sin dal 1922. Nel '47, invece, viene addirittura trascinato di fronte alla Commissione per le attività antiamericane, sospettato in pratica di comunismo: un'accusa che gli costa l'annullamento nel '52 (mentre Chaplin era in viaggio per Londra ), il permesso di rientro negli USA.
Nel 1953 i Chaplin si stabiliscono in Svizzera, presso Vevey, dove Charles si spegnerà il 25 dicembre 1977. Chaplin nella sua carriera non ha mai vinto un oscar come migliore attore o miglior regista. Per lui oltre al tardivo oscar alla carriera nel 1972, un oscar come migliore compositore musicale sempre nel 1972 per il film "Luci della ribalta" (pellicola realizzata ben vent'anni prima).
I suoi ultimi film ("Un re a New York", 1957, e "La contessa di Hong Kong", 1967), la sua "Autobiografia" (1964), le riedizioni sonorizzate delle sue vecchie opere e molti progetti rimasti incompiuti hanno confermato sino all'ultimo la vitalità di un artista che va annoverato fra i pochi grandi in assoluto del nostro secolo (il grande poeta russo V. Maiakovski gli ha addirittura dedicato una poesia).
Tra i più grandi attori di sempre, Robert De Niro nasce il 17 agosto 1943 a New York da una famiglia di artisti. La madre, Virginia Admiral, era una rinomata pittrice mentre il padre, Robert Senior (figlio di un americano e di una irlandese immigrati negli Stati Uniti), oltre che scultore e poeta era anch'egli un valente pittore.L'infanzia dell'attore sembra sia stata caratterizzata da una profonda solitudine, una caratteristica da cui ha forse attinto la sua capacità di trasformarsi, quando il copione lo richiede, in personaggi cupi e dall'anima tormentata. Inoltre, incredibile ma vero, sembra che il giovane De Niro fosse un adolescente irrimediabilmente timido, condizione aggravata da un fisico non certo prestante che però con tenacia ha saputo in seguito plasmare (e basti, a riprova di ciò, visionare certe sequenze di "Taxi driver").
Scopre la voglia di cinema lentamente e dopo aver frequentato i debiti corsi di recitazione (fra cui un periodo all'Actors Studio con i mitici Stella Adler e Lee Strasberg), colleziona serate sui palcoscenici off-Broadway. La chiamata del cinema arriva negli anni '60 con addirittura tre film in sequenza: "Oggi sposi", "Ciao America" e "Hi, Mom!", tutti diretti da Brian De Palma.
Il vero battesimo del fuoco arriva però sotto la guida di due mostri sacri come Francis Ford Coppola e di Martin Scorsese. Il primo lo dirige in "Il padrino parte II" (1974), mentre per Scorsese diventerà un vero e proprio attore-feticcio. Un'occhiata alla lunga storia di titoli girati dai due può esemplificare il concetto: si parte da "Mean Streets" (1972), "Taxi driver" (1976), "New York New York" (1977) e "Toro scatenato" (1980), per arrivare a "Quei bravi ragazzi" (1990), "Cape Fear ? Il promontorio della paura" (1991) e "Casinò" (1995).
In seguito sarà diretto, tra gli altri, anche da Bernardo Bertolucci ("Novecento", 1976), Michael Cimino ("Il cacciatore", 1979) e Sergio Leone ("C'era una volta in America", 1984). Nella sua filmografia figurano anche film dall'aria più intimistica e meno spettacolari, come "Risvegli" (1990), "Sleepers" (1996), "Cop land" (1997) o il commovente "Flewless" (1999).
Due di queste interpretazioni gli varranno, oltre a numerose nomination, il premio Oscar: uno come miglior attore non protagonista per "Il Padrino parte II", e uno come attore protagonista per "Toro scatenato".Nel 1989 fonda una casa di produzione cinematografica, la TriBeCa Productions, e nel 1993 debutta nella regia col film "Bronx". È anche proprietario del ristorante Ago a West Hollywood e ne gestisce in società altri due, Nobu e Lyala, a New York.
Malgrado la clamorosa notorietà, che lo ha fatto diventare personaggio di culto nel cinema del Novecento, De Niro è gelosissimo della sua privacy, con la conseguenza che di lui si sa davvero poco. Anti-star per eccellenza, è del tutto assente dai vari party o eventi mondani così apprezzati dalla maggioranza degli attori.
Per certo si sa che nel 1976 ha sposato la cantante e attrice Diahnne Abbott, con la quale ha avuto un figlio, Raphael. Separatosi nel 1988 ha poi avuto numerose relazioni: la più chiacchierata delle quali è stata quella con la top model Naomi Campbell. Il 17 giugno 1997 ha poi sposato in gran segreto Grace Hightower, una ex hostess con la quale era stato fidanzato negli ultimi due anni.
Una curiosità: nel 1998 durante le riprese a Parigi del film "Ronin", è stato indagato dalla polizia francese per presunto coinvolgimento in un giro di prostituzione. Prosciolto da ogni accusa ha restituito la Legion d'Onore e ha giurato di non mettere mai più piede in Francia.
Secondo un sondaggio realizzato in Gran Bretagna dal canale televisivo FilmFour De Niro è il miglior attore di tutti i tempi. Per i 13.000 telespettatori che hanno votato il camaleontico interprete supera di gran lunga tutti i suoi celebri colleghi come Al Pacino, Kevin Spacey e Jack Nicholson.