Un doberman semi soffocato induce la proprietaria a portarlo da un veterinario, che trova conficcate nella gola del cane, due dita. L'astuto veterinario ritiene che qualcuno abbia cercato di entrare nella casa e sia poi stato attaccato dal doberman. La polizia, che chiama lui stesso,gli dà ragione: il ladro era nascosto in un ripostiglio,acquattato in un angolo in stato di schok mentre cercava di tamponare l'emorragia causata dal morso. e bravo cagnone.....
Non esiste patto che non sia stato spezzato , non esiste fedeltà che non sia stata tradita , all'infuori di quella di un cane veramente fedele . KONRAD LORENZ
Commovente la storia del cane Hachiko, un'Akita legato indissolubilmente al suo padrone a tal punto da attenderlo anche oltre la morte, protagonista della pellicola "Hachiko: A Dog's Story". La storia è ormai leggenda in Giappone: tutti la conoscono, anche grazie a diverse pubblicazioni, numerosi film e alla statua del cane. Hachiko è il nome del cane appartenuto al professor Hidesaburo Ueno, del dipartimento di agricoltura presso l'Università di Tokyo, intorno al 1924. L'uomo aveva l'abitudine di salutare il cane davanti l'ingresso della propria casa e venir accolto dallo stesso presso la stazione Shibuya a sera, quando tornava dall'università col solito treno. Hachiko, deciso a non perdersi un respiro del suo padrone, lo accompagnava ogni mattina al binario e lo attendeva ogni sera nel piazzale della stazione. Tuttavia, un giorno, Ueno viene colpito da un infarto e muore nei locali della facoltà. Hachiko, quindi, non vedendo ritornare il padrone prende ad attenderlo; prima nella loro casa, poi davanti alla stazione. Quest'attesa dura dieci anni, durante i quali i proprietari dei negozi limitrofi prendono a cuore le sorti del cane nutrendolo e occupandosene per quanto è possibile. Hachiko, il cui vero nome è chuken Hachiko ("Hachiko, cane fedele") è divenuto simbolo di lealtà e fedeltà Il film in questione ripercorre l'intera storia e ci presenza nei panni del professor Hidesaburo l'attore Richard Gere.
nanà
Se fai qualcosa col cuore, non hai bisogno che qualcuno ti aiuti.
È un articolo datato di un paio di anni, ma voglio riportarlo ugualmente per conoscere la vostra opinione al riguardo, prima di dire la mia
La storia Laura Girotto, da 18 anni in Etiopia: perché tanta indifferenza? Con il costo di una scatoletta di cibo per gatti manterrei un piccolo africano per due giorni Se in tv si parla di più delle unghie dei cani che dei bimbi da salvare La suora che cerca soldi per un ospedale pediatrico
«Le unghie dei cani! Mi muoiono bambini perché non abbiamo cannule pediatriche e alla radio consigliano lo psicologo per i cani che si mordono le unghie!». Suor Laura Girotto, da 18 anni missionaria in Etiopia, è furente di indignazione. E ha deciso di inondare i giornali di lettere di protesta: possibile che l' Italia non si accorga di questo abisso? Ma certo, anche lei ama gli animali. Come può non amarli una donna di fede che ha letto il «Cantico delle creature» e si è emozionata davanti all' affresco di Giotto con San Francesco che predica agli uccelli? «C' è però questa sproporzione che mi indigna. L' altro giorno ero in macchina, stavo facendo una delle tante peregrinazioni in giro per l' Italia alla ricerca di soldi per l' ospedale che stiamo cercando di fare ad Adua e ascoltavo una trasmissione di Radio 24, "Essere e Benessere". Normalmente è molto interessante, per i temi, per la bravura della conduttrice, per la qualità degli ospiti. Si parlava di cani. Dei problemi che nascono quando si consumano le unghie. Magari perché se le rosicchiano. E gli esperti spiegavano quali medicine erano necessarie per ovviare al problema. Includendo, se necessario, l' intervento dello psicologo che possa allenare il cane a non rosicchiarsi più le unghie. Lo psicologo! E poi la dieta necessaria, l' attività fisica, la toilette, l' affetto di cui occorre circondarli...». È lì che non ci ha visto più: «Sono indignata, amareggiata, scandalizzata, confusa. Leggo di iniziative per adottare i cani a distanza. Vedo nei supermercati reparti interi dedicati agli alimenti per animali, alla loro cura, ai loro giocattoli... I giocattoli! Ripeto: io li amo gli animali, ma santo Iddio! Ad Adua i bambini muoiono per delle sciocchezze, magari solo perché manca la cannula per metterli sotto flebo e reidratarli. Basta una diarrea infantile per uccidere un neonato in 24 ore. Come posso accettare questo abisso fra l' attenzione per gli "amici dell' uomo" e il disinteresse invece per l' uomo?». C' è chi dirà che non è facile, per gli italiani, «sentire» davvero un problema come quello dell' Africa più povera così lontana, così remota, così assente dalla nostra quotidianità. E che nella nostra società alienante dove è così facile sentirsi soli, la vita stessa delle persone può dipendere a volte dal conforto di una bestiola, l' unica a rompere l' isolamento, ad attutire l' angoscia della solitudine. Ed è davvero così. C' è la mancanza di amore, dietro l' amore per il cane o il gatto. I quali riempiono gli spazi lasciati vuoti dai figli, dai fratelli, dalle famiglie di un tempo. Suor Laura Girotto, tutto questo, lo sa. Vive dal 1993 in quella città del nord dell' Etiopia che gli italiani ricordano per la disfatta del 1° gennaio 1896 ma non vive fuori dal mondo. Si batte sulle montagne del Tigrè come sul web, dove ha messo su il sito www.amicidiadwa.org. Torinese di origine veneta, voleva fare la stilista, sognava l' alta moda, si specializzò all' università di Cambridge come insegnante di English as Foreign language, e prima di finire in Abissinia come missionaria per le Figlie di Maria Ausiliatrice delle Salesiane di Don Bosco, ha girato il mondo, soprattutto in Medio Oriente. Ma quella differenza tra le diverse attenzioni non le dà pace: «Non bastasse, il giorno dopo, mentre mi sfogo con un' amica, quella si alza e va a spegnere la televisione: "Scusa, stanno parlando delle diete per i gatti obesi". I gatti obesi! Con il costo di una scatoletta di cibo per cani o gatti si manterrebbe un bambino africano per due giorni!». Da settimane sta battendo l' Italia, dove ha trovato sponda in persone generose come quelle che hanno dato vita a Padova a quel miracolo che è la «Città della speranza» per la leucemia infantile regalata allo Stato dai privati, con un obiettivo: «Devo assolutamente raccogliere offerte, un euro alla volta, per costruire un ospedale per maternità e infanzia, una struttura che possa garantire la medicina di base alla mia gente: donne che muoiono di parto, che danno alla luce le loro creature in situazioni spaventose. Neonati che se ne vanno per mancanza di un antibiotico o di una medicina da banco. Ferite che si suturano senza anestesia, anche sui bambini». Non capisce, non riesce a capire l' indifferenza: «Ad Adua c' è un solo medico per un milione di persone. Il polo sanitario esistente non ha acqua corrente o servizi igienici. I letti non hanno lenzuola o coperte. La gente preferisce morire a casa che essere ricoverata lì... Eppure non trovo i soldi per un ospedale dei bambini. Non trovo spazi per urlare che non è giusto. Viene data voce ai cani e ai gatti, non ai bambini africani. Non alle donne africane. A sei ore di aereo da Roma, si muore per strada, si muore di fame, sete, disidratazione... Perché nessuno se ne accorge? Quale è la molla che fa scattare l' interesse, che scuote le coscienze e mobilita la solidarietà? Ci vuole un terremoto, una tragedia improvvisa, uno tsunami?». Il luogo, poi... Quella Adua che ricorda una delle sconfitte più dolorose della nostra storia unitaria: «Ecco, se l' Italia facesse uno sforzo e aiutasse a costruire l' ospedale lì, sarebbe la più bella delle risposte. Il più bello degli omaggi ai ragazzi italiani che morirono laggiù. E la "mia" terra potrebbe essere finalmente ricordata per la Vittoria di Adua».