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Posted - 12 January 2011 : 08:56:35
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lasciamo perdere, io sono credente, frequento, ma guardo in alto, non guardo agli uomini.quelle della chiesa sono leggi degli uomini non di dio.giustamente come riportato lui ci lascia completamente liberi, anche di sbagliare.lui è morto per salvare i peccatori,se fossimo tutti santi sarebbe morto per niente giusto? certo la vita umana è sacra ,ma quella bambina sarebbe stata in grado di superare una gravidanza? o sarebbe morta lei?o anche senza morire che conseguenze avrebbe avuto?ci pensino un po i monsignori che sputano sentenze.....
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gr
Utente Master
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Posted - 15 January 2011 : 03:44:06
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La tragedia che è capitato alla povera bambina costretta a subire violenza sessuale da quando aveva 6 anni, rimanendo anche incinta a 9....si commenta da sola
La chiesa deve tutelare la vita umana???? Ed il pericolo che la piccola potesse morire perchè troppo piccola per affrontare tutto ciò?????? E non per ultimo....opporsi all'aborto che a questo punto definirei terapeutico, non è come NON CONDANNARE le vili circostanze in cui la piccola è rimasta incinta????????
Quanta ipocrisia.....e falso moralismo regna nel mondo!!!!!
Meglio vivere con un rimorso, che annegare in un rimpianto. Grysu
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Oriana
Utente Master
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Posted - 15 January 2011 : 08:50:46
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quote: Originalmente inviata da grysu
Quanta ipocrisia.....e falso moralismo regna nel mondo!!!!!
Vero. Dopo l'oltraggio anche la condanna di una istituzione che giudica senza pietà nè comprensione.
El dormir es como un puente que va del hoy al mañana. Por debajo, como un sueño, pasa el agua, pasa el alma.
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Oriana
Utente Master
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Posted - 20 January 2011 : 09:08:38
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Iran: Lettera di una donna stuprata
Il mio nome è Bahareh, che in persiano significa primavera. È primavera e vi scrivo dei fiori, ma sono fiori dai petali sparsi. Vi scrivo del verde e dei germogli, ma sono germogli schiacciati, calpestati dall’odio, l’odio verso la bellezza e tutto ciò che è bello, l’odio verso quelli che cercano giustizia. Vi scrivo di quelli che non sono dei veri uomini.
Il mio nome è Bahareh Maghami ho 28 anni. Non ho più motivo per nascondere il mio nome perché di me non è rimasto più nulla.
Ho perso tutti quelli che una volta erano importanti per me, ho perso parenti e amici, colleghi e colleghe, ho perso tutti. Gli ho persi perché quelli che si considerano degli uomini me li hanno ingiustamente portati via. Quelli lì mi hanno rubato vita. Ora che ho lasciato l’Iran voglio condividere, anche solo per una volta, il mio dolore con qualcuno. Vorrei anche chiedere a quelli che hanno avuto un’esperienza dolorosa come la mia, di scrivere del loro dolore. Dovete scrivere di quello che vi è successo, anche se temete per le vostre vite e la vostra dignità, in questo caso usate dei nomi anonimi, ma scrivete. Si deve scrivere in modo che tutti sappiano cosa è stato fatto alla nostra generazione, a questa generazione piena di dolore. Si deve scrivere per quelli che verranno dopo di noi e che vivranno in un Iran libero, in modo che sappiano il prezzo che abbiamo pagato per la loro libertà. Devono sapere quante vite sono state bruciate e come le speranze sono svanite, devono sapere i maltrattamenti che abbiamo subito.
Quando mio padre scoprì quello che mi avevano fatto il suo dolore fu immenso e in lui tutto si frantumò. Mia madre invecchio di cento anni, in un’unica notte, mio fratello da quel momento non è riuscito più a guardarmi negli occhi, ed io non ho più guardato i suoi, perché non vuole che io soffra più di quello che ho già sofferto. Con il loro gesto a lui sembra che gli abbiano portato via la sua virilità. Quando ha scoperto, che quelli che credono di essere degli uomini, sono solo invece tali perché hanno degli attributi maschili, ha iniziato a odiare la sua virilità. Per quelli che si definiscono uomini, la dignità, la nobiltà e la castità non ha nessun valore e significato.
Ero un’insegnante di prima elementare, insegnavo ai fiori del nostro paese a leggere e a scrivere. Insegnavo loro: “Papa ha portato l’acqua” “L’uomo viene” “L’uomo porta il pane”, perché per me l’immagine dell’uomo era quella del capofamiglia, e aspettavo che quest’uomo arrivasse anche per me, ma adesso questa immagine dentro di me è cambiata. La mia immagine di quell’uomo adesso è accecata dal suo desiderio. Non riesco a liberarmi dal puzzo infetto del suo sudore. Quando ripenso a lui, salto giù dal letto, anche nel cuore della notte. Temendo che i suoi passi mi possano di nuovo raggiungere tutto il mio corpo vibra e trema al minimo suono e il mio cuore inizia a battere più velocemente per la paura che lui mi si avvicini di nuovo. Sono sempre pronta a fuggire.
Di notte lascio le luci accese e di giorno passo le giornate tra le lacrime e il dolore.
Noi abitavamo nella via Kargar Shomali.
Quando sono stata arrestata stavo ritornando, con mio fratello, dalla Moschea di Ghoba. Mi hanno picchiata e mi hanno portata via e così facendo mi hanno distrutta, così come dice il nostro amato poeta Hafez: hanno fatto ciò che i mongoli ci fecero.
Alcuni avevano le braccia rotte, altri le gambe spezzate o la schiena rotta e altri ancora, come me, avevano lo spirito a pezzi. Il mio spirito era devastato come se tutto ad un tratto mi fosse stato portato via tuta la mia umanità. Una volta ero primavera, ora sono come morta, sono un fiore di papavero calpestato.
Vorrei chiedere a quelli che leggono questa lettera se dovessero conoscere qualcuno che come me è stato vittima di violenza carnale, di essere gentile con loro, di appoggiarli. Il problema per me e per la gente che come me ha subito violenza è che nella nostra cultura lo stupro non è solo un duro colpo per la persona che lo subisce ma lo è per tutta la famiglia. Le ferite di una persona che è vittima di stupro non guariranno mai, neanche con il passare del tempo.
Le sue ferite si riapriranno ad ogni sguardo di suo padre, il cuore si spezzerà, ad ogni lacrima di sua madre. I parenti, gli amici i vicini tutti ci lasciarono soli. Siamo stati costretti a vendere la nostra casa (al di sotto del prezzo di mercato) e ci siamo trasferiti a Karaj (subborgo di Teheran). Ma neanche lì la nostra permanenza durò a lungo, gli agenti trovarono il nostro nuovo indirizzo ed iniziarono a schernirci, se ne stavano dietro all’angolo della nostra strada e sorridevano a mio padre ogni qualvolta che lui passava. Abbiamo lasciato tutto e siamo immigrati. Alla loro età i miei genitori divennero dei rifugiati.
Posso tranquillamente affermare che le ferite che la società ci a inferto sono state molto più difficili da affrontare rispetto a quelle fisiche. Molte persone sorridono quando sentono parlare di stupro, ma io giuro che non c’è niente di divertente nello stupro, non c’è niente di divertente in una famiglia che soffre, nella perdita di dignità da parte di un ragazzo o di una ragazza, non c’è niente di divertente nel distruggere la dignità dell’amore. Quelli che mi hanno stuprato probabilmente riderebbero, erano in tre. Tutti e tre erano sporchi e portavano la barba, avevano un accento terribile e dicevano sconcerie. Anche se hanno visto che ero vergine mi hanno chiamato puttana e mi hanno obbligata a dichiararmi come tale. Adesso non mi vergogno a dirlo, non mi vergogno più. Mi hanno detto che avevano tre testimoni, i quali mi avevano vista andare con tre uomini in una sola notte, io ho detto loro che io ho 30 testimoni, i quali possono affermare che sono un’insegnante e che quello che mi sta succedendo è solo colpa loro. Loro mi hanno derisa dicendo che per me non era poi tanto male, e che la mia paga era aumentata. Per loro la dignità e la castità di una donna sono solo parole vuote, per loro tutte le donne sono puttane. Quelli che mi hanno stuprata, non erano degli esseri umani, erano affetti da auto-subordinazione, si erano trasformati in animali perversi, che non sapevano più quello che facevano, non sapevano di star distruggendo la bellezza. Queste creature non hanno rispetto neanche delle loro madri e delle loro sorelle, mi dispiace per coloro che per tutta la vita devono convivere con questi animali rabbiosi. I miei denti erano rotti, la mia spalla graffiata, il mio essere donna era stato distrutto. So che non sarò mai più in grado di amare un uomo, non sarò mai in grado di avvicinarmi e fidarmi di un uomo. Anche se mi rendo conto che la mia terra ha tanti uomini coraggiosi, che hanno sofferto, ma per me i veri uomini e quelli che fingono di essere tali, fanno oramai parte di una stessa categoria. La mia vita da donna è finita e io adesso sono come una morta che cammina. Ma scrivo. Scrivo per riconquistare la fiducia in me stessa. Ho scritto che ero un insegnate, trasformatasi in prostituta, ma adesso sono una scrittrice. Vi ho scritto che ero primavere, e invece adesso sono diventata autunno e perciò sono diventata più bella. Sono una prostituta bella. Mi hanno resa un’emarginata nel mio stesso quartiere, un insegnante senza classe, un essere ridicolo agli occhi degli altri, mi hanno condannata alla solitudine. Per la Repubblica Islamica d’Iran sono diventata il simbolo della donna con la schiena rotta, i capelli tagliati e il viso insanguinato. Ma io sono orgogliosa di essere una puttana se ciò aiuta a portare la libertà, e poi io so che non sola.
Sentivo le loro voci, nelle celle accanto alla mia, o mentre il mio inutile corpo era accasciato a terra, sentivo le loro voci, mentre questi finti uomini usavano violenza su di loro (le altre prigioniere). Chiedo a tutti quelli che come me hanno sofferto, di scrivere, perché coloro che hanno subito violenza devono in qualsiasi modo esternare il dolore, perché è lo stesso dolore al quale Sadegh Hedayat (scrittrice contemporanea) si riferiva dicendo “il dolore mastica (distrugge) l’anima della gente”. Lasciate uscire fuori il vostro dolore. Fatelo sapere a tutti. Dovete capire che non siete sole, che ci sono molte come voi. Noi tutti condividiamo questo dolore. …
Questa lettera potrebbe essere molto più lunga, ma io la termino con una frase. Mi rivolgo direttamente a Khamenei, colui che si considera il padre di questa nazione. Ero una figlia dell’Iran, i tuoi figli mi hanno violentata. Chi pagherà per la mia dignità perduta?
Bahareh Maghami
Aprile 2010, Germania
(da web)
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Oriana
Utente Master
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Posted - 25 January 2011 : 09:36:07
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POESIA DI ISA (“I quaderni delle bambine” di Maria Rita Parsi – ed. Mondatori)
Ai miei genitori
Sangue nel sangue così hai chiamato la violenza che hai fatto al mio cuore al mio corpo ai miei sogni alle mie speranze. Orco notturno accusatore ingiusto dove hai sepolto i fiori che ho raccolto per te e la canzone che da bambina ti ho dedicato? E tu Madre silenziosa serva, nemica, come t'addormenti ogni sera sapendo quel che sai e non dici? Che vale perdonarvi!? Non c'è perdono In terra per chi umilia la luce. Con te, padre ho perso Dio. Quando tu mi hai voluto guardare non ho avuto più nulla nessuna difesa accanto a me. Da sola ho guardato il mondo. Era freddo,ostile. Ed il mio corpo era un peso grave da sopportare.
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gr
Utente Master
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Posted - 25 January 2011 : 14:36:02
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Quanto dolore, disperazione in queste lettere!!!!! Come possono ancora succedere cose simili?????
Come si può spezzare in modo irreparabile, la vita di una donna.....di una FIGLIA?????
Purtroppo troppe donne....troppe FIGLIE hanno vissuto, vivono, situazioni identiche!!!!!
Speriamo che con il parlarne, ed evidenziare il problema, allontani sempre di più il verbo VIVRANNO questo problema!!!!!!!
Meglio vivere con un rimorso, che annegare in un rimpianto. Grysu
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n/a
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Posted - 25 January 2011 : 15:17:53
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