Quisiera que mi vida se cayera en la muerte, como este chorro alto de agua bella en el agua tendida matinal; ondulado, brillante, sensual, alegre, con todo el mundo diluido en él, en gracia nítida y feliz.
Carlo uscì dall’ufficio verso le 20.30. Sua moglie lo aveva avvertito che sarebbe rientrata tardi per una cena di lavoro, così si fermò a prendere una pizza dai cinesi sotto casa. Appena aprì la porta della sua abitazione sentì un odore strano, non fortissimo, ma fastidioso: odore di un qualcosa andato a male. Accese le luci, appoggiò la pizza sul tavolo in cucina e controllò nel frigorifero, ma a parte un cartoncino di latte fresco scaduto il giorno precedente che ancora non puzzava non trovò nulla che emanasse quell’odore. Aprì le finestre per fare entrare dell’aria fresca e si diresse in camera per cambiarsi: non sopportava più la cravatta e la camicia che indossava dal mattino e non vedeva l’ora di infilarsi una t-shirt e i calzoni della tuta.
Si stava sfilando la cravatta quando l’occhio gli cadde sul copriletto dalla parte di sua moglie: era stropicciato, come se qualcuno ci si fosse sdraiato sopra. Avevano rifatto il letto quella mattina lui e Giada ed erano poi usciti assieme. Sua moglie era fissata con il tirare le lenzuola per bene, senza lasciare neanche una piega. Forse era passata da casa prima di andare fuori a cena e si era sdraiata un attimo per riposarsi. Mentre stava osservando il letto squillò il cellulare. Era Giada.
- Pronto?
- Ciao amore! Sei a casa?
- Ciao piccola. Si, sono appena arrivato. Stavo per mangiarmi una pizza. Tu?
- Siamo appena arrivati al ristorante… non ne ho voglia per niente. Spero che non vada per le lunghe… mi aspetti?
- …dipende a che ora rientri. Sono a pezzi e non so se riesco a non addormentarmi.
- Bè… se stai dormendo magari provo a svegliarti…
In quel momento suonò il telefono di casa.
- Giada, aspetta un attimo: sta suonando l’altro telefono.
Carlo cercò il cordless che non era mai al suo posto, seguì il suono e lo trovò in bagno.
- Pronto?
La voce che sentì dall’altra parte gli raggelò per un attimo il sangue. Era simile a quella di sua moglie ma tremolante e leggermente più acuta. Spesso Giada si divertiva a fare la parte della vecchietta rimbambita. Anzi, “rimbambolita”, come diceva lei. E la voce al telefono sembrava proprio quella. Ma quello che lo colpì furono le parole.
- Ciaaoo amoooore! Sei a caaasa?
Carlo guardò il cellulare che teneva nell’altra mano. Il display segnava la chiamata in corso “GIADA CELL – 1 min. e 6 secondi”. E sentiva la voce di sua moglie che stava urlando:
- Un attimo! Arrivo subito! CARLO!! CARLO!!! CI SEI?? DEVO ANDARE!
Carlo rispose velocemente a sua moglie dal cellulare.
- Un attimo Giada. Aspetta!
Riprese il telefono di casa.
- Pronto, ma chi parla? Credo che abbia sbagliato num…
Quella voce tremolante lo interruppe.
- …aspettaaamiii. Sto arrivaaandooo…
Poi il rumore della chiamata terminata. Riprese il cellulare:
- Giada, sei ancora lì?
- Si, ma ancora per poco. Mi stanno chiamando. Chi era?
- Ma che ne so. Sembrava la voce di una vecchia. Tipo la tua quando fai la voce da vecchietta rimbambita…
- Come queeesta vooce? Guaarda che noon soono riimbambolitaa…
A Carlo venne un brivido lungo la schiena.
- Si… cavoli, una voce molto simile…
- Caaarlooo…
- Smettila Giada
- Va bene… devo andare, mi stanno chiamando
- Giada?
- Si?
- Ma sei ripassata da casa oggi?
- No, perché?
- Mah… niente. Pensavo. Buona serata
- Buona pizza! Ciao.
- Ciao. A dopo, se riesci a svegliarmi…
- Ci riuscirò, so come farlo…
Finita la telefonata tirò il copriletto per sistemare le pieghe e sentì ancora quell’odore strano. Avvicinò il naso al letto e annusò: gli venne un conato di vomito. Era il copriletto che puzzava di marcio.
- Ma cosa cavolo ci è caduto sopra? – pensò. Tolse il copriletto e lo infilò nella lavatrice. Anche le lenzuola avevano uno strano odore, così decise di cambiare anche quelle. Poi finalmente mangiò la sua pizza, accompagnata da un paio di birre, davanti alla Televisione.
Stava guardando su una Tv privata un programma sportivo di quelli in cui riescono a parlare di calcio 24 ore al giorno anche quando non ci sono partite, quando di colpo la televisione si spense. Spesso capitava che il telecomando si infilasse fra i cuscini del divano e muovendosi qualche tasto veniva schiacciato inavvertitamente. Ma il telecomando era proprio davanti a lui, sul pouf dell’Ikea che usavano come poggiapiedi. Allungò la mano per prenderlo e in quel momento lo stereo, che era sempre sintonizzato su un canale di musica Rock, si accese al massimo volume. Carlo fece un balzo dallo spavento e rovesciò un po’ di birra sul divano.
- Ma che cazzo…
Dalle casse del suo impianto Dolby Surround uscivano le note di “The Call Of Ktulu” un brano strumentale dei Metallica ispirato da un racconto di Lovecraft. Il suono dei bassi sparati a quel volume fece vibrare per un attimo le finestre della sala. Carlo si precipitò a spegnere lo stereo. Non passarono neanche due minuti che suonarono alla porta. Prima di aprire guardò dallo spioncino. Era il suo vicino e capì subito che era venuto per lamentarsi del rumore. Aprì la porta, sforzandosi di creare un sorriso sul suo volto:
- Mi spiace Sig. Pezzetti. Mi si è acceso per sbaglio lo stereo al massimo volume…
- Per sbaglio? Come fa ad accenderlo per sbaglio!?? Insomma, lo sa che abbiamo una certa età e andiamo a dormire presto! Si metta le cuffie, no?
- Le ho detto che mi spiace. Vada a dormire tranquillo.
Carlo chiuse la porta e cancellò il sorriso dalla sua bocca.
- Che rompicoglioni…
Verso le 22.00 era già nel letto e si addormentò subito. Fece un sogno in cui rivisse quello che era successo poco prima: la Tv che si spegne, la radio che si accende di colpo, il campanello della porta che suona. Ma nel sogno quando guarda dallo spioncino non vede nulla. La luce sul pianerottolo è spenta, ma percepisce nettamente una voce: è quella tremolante della telefonata:
- Sooonooo arrivaataaa! Sonoo qui per teee, CAARLOOOOOOO! CAAARLOOOO! – Nel sogno Carlo inizia ad urlare.
Si risvegliò completamente sudato nel buio totale. L’unica luce nella stanza era il led della sveglia sul suo comodino che segnava le 00.30. Aveva il respiro affannato e nella sua testa continuava a sentire quella voce che ripeteva il suo nome. Era sdraiato su di un lato, rivolto verso il muro, pietrificato dal terrore per il sogno appena fatto. Fortunatamente sentì dietro di lui la presenza di sua moglie: il suo braccio stava cingendo il suo petto. Non l’aveva sentita rientrare. Udiva il suo sbuffo, a metà tra il russare e il respiro profondo. Prese la sua mano tra le sue e la sentì gelida: Giada aveva sempre le mani e i piedi freddi.
Stava per riaddormentarsi, quando sentì un rumore provenire dal corridoio. La loro camera da letto era di fianco al bagno. Sulla parete che li separava, in alto, c’erano due finestre lunghe e strette: siccome il bagno originariamente era cieco, le avevano fatte mettere in modo che prendesse luce dalla camera da letto. E da quelle finestre Carlo vide la luce accendersi.
Era ancora in quello stato di semi-incoscienza in cui ci si ritrova dopo un risveglio brusco a causa di un brutto sogno.
- E se sto ancora sognando? – pensò Carlo – Magari sto sognando di essermi risvegliato, ma sono ancora nel mezzo dell’incubo di prima… e adesso sentirò dal bagno quella cazzo di voce che mi chiama… -. Si accorse che stava tremando.
- Però se non sto sognando e sono sveglio allora vuol dire che c’è qualcuno in casa… ho lasciato la finestra della sala aperta… potrebbero essere entrati dei ladri da lì…
Il torpore stava svanendo e capì di essere completamente sveglio.
- Giada…, Giada, svegliati… c’è qualcuno in casa…- sussurrò a sua moglie. Ma continuò a sentire il suo respiro profondo dietro di lui, la sua mano fredda ancora appoggiata al suo ventre. Doveva fare qualcosa: non riusciva più a starsene immobile nel letto. Doveva reagire. In certe situazioni non si riesce a ragionare. Si agisce di impulso.
- Forse se mi sentono si spaventano e scappano – pensò. Così prese un po’ di coraggio e urlò:
- Chi c’è!!?? Chi c’è nel bagno!!???
Quando giunse la risposta Carlo capì la differenza tra paura e terrore. Il vedere la luce del bagno accendersi provocò in lui paura. Paura che ci fossero dei ladri in casa, nella stanza a fianco. Il sentire la risposta che arrivò fece scoppiare in lui terrore allo stato puro. Terrore di qualcosa che non solo non sai cosa o chi sia, ma che è sdraiata al tuo fianco e a cui stai tenendo la mano fra le tue.
La risposta dalla stanza affianco arrivò dalla voce di sua moglie:
- Amore, sono io… scusami… ti ho svegliato?
Era la voce di Giada, senza alcun dubbio. Lei era nel bagno. E allora chi c’era alle sue spalle?
La luce passava dalle finestre e illuminava leggermente la camera. Carlo sentiva ancora dietro di lui il respiro profondo, e non riusciva a lasciare la mano gelida che stava stringendo. Iniziò a voltarsi lentamente e mentre si girava risentì nella sua mente la voce che aveva sentito al telefono:
- …aspettaaamiii. Sto arrivaaandooo…
E quella dell’incubo avuto poco prima:
- Sooonooo arrivaataaa! Sonoo qui per teee, CAARLOOOOOOO! CAAARLOOOO!
All’improvviso capì. Quella voce non era come quella di sua moglie che imita una vecchia.
Era come la voce di una vecchia che imita quella di sua moglie.
Il tempo si era quasi come fermato. Gli sembrò di metterci un eternità a girarsi. Sentì ancora l’odore di marcio che aveva percepito rientrando in casa. Il respiro profondo al suo fianco si fermò e anche il suo cuore smise di battere per qualche secondo quando sentì di fianco a lui quella voce che sussurrava il suo nome.
- CAARLOOOOOOO… CAAARLOOOO…! Sonoo qui per teee!
Ancora prima di vederla in faccia capì chi c’era nel suo letto: la donna più vecchia del mondo.
E’ stata chiamata in diversi modi dalle varie culture del nostro mondo: Yama, Enma, Thanatos, Giltinè, Memitim, Azrael… ma per noi è sempre stata la donna il cui compito è di portare gli esseri vivi al regno dei morti.
Giada si stava lavando i denti quando sentì un urlo agghiacciante provenire dalla camera da letto. Le venne la pelle d’oca. Non aveva mai sentito Carlo urlare in quel modo. Si precipitò subito in camera e quando entrò trovò suo marito immobile, girato verso il centro del letto, con un’espressione di terrore sul viso che non dimenticò mai. Gli occhi erano sbarrati, fissi verso il suo cuscino. Una mano era allungata sul letto, come se stesse cercando di allontanare qualcosa o qualcuno. Iniziò a piangere. Chiamò un ambulanza, ma capì subito che ormai non c’era più nulla da fare. Infarto dissero i medici.
Giada non riuscì mai a spiegarsi due cose: il letto dalla sua parte era tutto stropicciato, come se qualcuno ci avesse dormito. E Carlo aveva i capelli completamente bianchi.
"Chi sei?" domandai all'uomo mascherato che nel buio della notte mi appariva dinanzi. Rise. "Chi sei?" chiesi ancora. Ma non ebbi risposta. Mi fissava, il suo sguardo misterioso si posava su di me con insistenza. Ero a piedi nudi sulla spiaggia, udivo il rumore del mare in lontananza, un cielo stellato sovrastava me e lo sconosciuto. Era buio intorno a me, deserta la spiaggia, soli io e lui. I suoi occhi neri come la notte erano tenebrosi e affascinanti allo stesso tempo. Continuavo a guardarlo negli occhi, non riuscivo a distogliere lo sguardo, sarei potuta annnegare, sprofondare nell'oblio ma ogni cosa non aveva più importanza per me. La mia attenzione era totalmente concentrata sul suo volto, ogni mia particella tesa a cogliere, a captare ogni suono,indizio,dettaglio che rivelasse l'identità dell'uomo. Il vento sibilava ma non avevo freddo. La sua vicinanza portava il mio corpo ad uno stato di continua tensione, attendevo immobile un suo cenno, la mia veste bianca ondeggiava al ritmo del vento, un riccio ribelle mi ricadeva sul viso, con la mano tentai di riportarlo indietro. Mi fermò, delicatamente lo stringeva tra le dita, per un attimo le nostre mani si sfiorarono, un brivido mi percorse, il cuore iniziò a battere più velocemente, il suo profumo mi stordì, sensuale, misterioso,ignoto ai miei sensi. Con gentilezza prese la mia mano e la portò alle labbra, quel gesto inaspettato provocò in me fremiti di piacere poi mi fece danzare e mi strinse a sè. Ero sua nel buio della notte,soli, illuminati dai bagliori della luna, l'uomo del mistero mi fece volteggiare una,due,tre volte. Sul suo viso aleggiava un sorriso accattivante, lo sguardo impenetrabile, mi cingeva tra le sue braccia, mi sfiorava il collo con la sua bocca, sussurrò il mio nome. Un lampo di stupore attraversò il mio sguardo, rise ancora. Tentai di allontanarmi, ma più mi allontanavo e più il mio corpo cercava il suo. Decisa mi sciolsi dal suo abbraccio, pre nulla turbato continuò a fissarmi. "Chi sei?" la mia voce pretendeva una risposta. "L'uomo dei tuoi sogni" rispose e mi strinse nuovamente tra le sue braccia. Difficile resistere al suo tocco, al suo profumo inebriante,ai suoi occhi magnetici. "Qual'è il tuo nome?" tentai di nuovo. "Qualunque tu voglia" mi sussurrò dolcemete. "Pretendo una risposta!" esclsamai guradandolo dritto negli occhi. Il suo viso non si accigliò nemmeno per un'istante. "Leva la maschera!" "Non posso, non lo vuoi veramente." Confusa corrugai la fronte, chi era quell'uomo che conosceva il mio nome e mi attirava a sè, il cuore mi martellava nel petto, desideravo vedere il suo volto, ma avevo paura, paura di porgli un'altra domanda, preferivo stringerlo tra le mie braccia. "Brava ragazza" mi sussurrò con voce roca e iniziò a baciarmi la mano, tracciò una scia di baci sulla mia pelle. Ero terrorizzata come poteva conoscere i miei pensieri? Ma allo stesso tempo mi setivo attratta da lui, non volevo che smettesse di baciarmi, avevo bisogno di sentire la pressione delle sue labbra sul mio corpo, quel dolce brivido che mi faceva ardere, un contatto, un semplice contatto riusciva ad infiammarmi, soli io e lui, il mio contatto con un mondo a me sconosciuto. Improvvisamente ogni cosa cessò di essere, dimenticai anche d'esistere, il sangue pulsava nelle mie vene, la sua bocca raggiunse il mio collo, provai una strana sensazione, volevo abbandonarmi a lui, vivere di quell'attimo. "Com'è strana la vita" Il suo tono mi fece irrigidire. "Non sono le nestre paure più oscure a regalarci attimi d'intenso piacere?" Il suo sorriso, il suo sguardo, c'era qualcosa che non andava in lui. Era bello, bello da togliere il fiato, bello in modo irreale, un angelo, un angelo dannato forse? Sorrise. Attonita lo fissai, non era umano, brividi di paura mi scossero, dovevo allontanarmi alla svelta eppure mi diressi verso di lui, perchè? Perchè dovevo toccarlo? "Non sono il demonio, eppure dannata è la mia anima ma ho bisogno di te, non posso evitarlo, ho bisogno del tuo sangue." Ero terrorizzata ma non abbastanza a quanto pare perchè non riusivo a scappare. "No, non andrai da nessuna parte. Dovresti saperlo, incoscamente conosci la verità." "No, voglio che tu sparisca " Ero attanagliata dalla paura ma sapevo che ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto. "Sono il tuo incubo peggiore eppure mi è impedito di farti del male siamo legati inscindibilmente. Io ho bisogno del tuo sangue e tu di me per vivere. Non volevo crederci eppure in fondo lui aveva ragione qualcosa mi diceva che era così. "Sono il demone dei tuoi sogni potrei trascinarti all'inferno, condurti alla dannazione ma mi è impossibile sarò il tuo angelo" "Contro la mia natura, assoporerò il tuo sangue ma sarò io a darti la mia linfa vitale" rise amaramente eppure in fondo sapevo che lui voleva altrettanto. "Non capisco" smarrita non seguendo alcuno logica mi strinsi a lui. "L'angelo di Dio si è preso gioco di me, sono innamorato di un essere umano" mi strinse più forte. Tutto mi apparve nitido e chiaro sapevo lui chi era un destino splendido e atroce aveva intrercciato le nostre vite. Inclinai il collo, i suoi canini affondarono nella mia carne, il dolore sparì in un attimo, avidamente bevve il milo sangue, il buio m'inghottì, che sensazioni straordinarie, sparire, non essere più, una sensazione, piacere, io e lui, soli nel mondo delle tenebre, un mondo illuminato dalla pallida luce delle stelle. No non avrei più dimenticato avevo bisogno di lui per vivere.
ohhhhhhhhh ficooooooooooooooo ho scoperto soltanto ora questo post blava blavaa bis bis bis adoro queste storie... e anche i film horror... ma me li devo guardare sempre dasola di sera... perche nessuno ci sta a vederli con me eheheh
Quisiera que mi vida se cayera en la muerte, como este chorro alto de agua bella en el agua tendida matinal; ondulado, brillante, sensual, alegre, con todo el mundo diluido en él, en gracia nítida y feliz.
Una storia vera, almeno in parte. Una storia tutta da leggere ma... attenzione agli incubi...
Paura.
La storia
John viveva in Plainfield, Wisconsin. Un giorno nel novembre del 2007 trovò un e-mail che era stata mandata da due giovani ragazze che si facevano chiamare "le sorelle Smith" e gli dicevano che erano le sue sorelle maggiori confondendolo perché lui era figlio unico. Gli dissero che anni fa abitavano in quella casa Egli rispose dicendo che non aveva nessuna sorella e disse loro di lasciarlo in pace. Il giorno dopo ricevette un messaggio con allegate delle foto. la prima foto era di due giovani ragazze. il titolo diceva "Le sorelle Smith uccise brutalmente" Le ragazze scrissero nell'e-mail che gli avrebbero provato di essere le sue sorelle. Gli dissero che nel 1993 loro vivevano nella sua casa. La sua camera da letto era stata la loro. Gli dissero di come erano cresciute e della loro vita felice,fino ad una terribile notte. John aprì un altro allegato. Era un vecchio articolo di giornale
"Nel 1993 due sorelle furono brutalmente assassinate nella piccola comunità di Plainfield, Wisconsin. Lisa Smith,19 anni,e sua sorella Sarah Smith,di 15,sono state aggredite nella loro dimora la notte del 17 novembre, intorno all'1 e mezza di notte. Le sorelle erano nel loro letto quando il loro assassino irruppe in casa. Nessuno udì le loro urla. Al mattino i genitori trovarono i loro corpi nascosti nell'armadio. Erano state scorticate vive. L'assassino è sparito senza lasciare traccia. La polizia condusse lunghe ricerche,ma invano. Il motivo non fu mai scoperto e il loro aggressore non fu mai trovato. L'unico indizio delle autorità sono delle e-mail trovate nel computer di Lisa Smith. Il caso è stato chiuso nell'ottobre del 2000"
Nel resto dell'e-mail,le sorelle scrissero che erano arrabbiate perché il caso era stato chiuso e la gente l'avevano dimenticate. Erano arrabbiate perché anche i loro genitori avevano provato a dimenticarle. Erano arrabbiate perché i loro genitori avevano deciso di avere un bambino,un maschietto di nome John Erano arrabbiate perché i loro genitori non avevano mai menzionato delle loro figlie e della loro tragica fine al nuovo figlio John John mandò una risposta furente dicendo che non credeva a quello che dicevano e non credeva che le sorelle Smith fossero collegate con lui e non credeva che l'articolo di giornale fosse vero. E le mando all'inferno 5 minuti dopo,gli arrivò un'altra e-mail. c'era scritto " se non ci credi, guarda nell'armadio" Questa fu l'ultima e-mail trovata nel computer di John. La polizia non trovò tracce su chi gli avesse spedito le e-mail. Nel pavimento dell'armadio trovarono un messaggio scavato nel legno. C'era scritto "Lisa e Sarah-1993" Ne trovarono poi un'altro con su scritto "John-2007" Cercarono nel suo armadio ed ebbero lo shock della loro vita Trovarono il corpo di loro figlio. Era stato scorticato vivo. Nessuno sa cosa accadde quella notte la polizia riuscì a mettere insieme i pezzi della storia controllando il computer di John I suoi genitori erano distrutti,nessuno sa cosa accadde alla famiglia, anni prima furono uccise le loro figlie,e anni dopo loro figlio. Sembra troppo strano per essere una coincidenza. Le sorelle erano state assassinate e anni dopo anche il loro fratello allo stesso modo, nello stesso posto, e l'unica prova sono solo un sacco di spaventose e-mail...
(da web)
... E questa è un'altra versione... Ve ne sono tante altre ancora. Leggenda metropolitana ? In ogni leggenda vi è una piccola parte di verità. Chissà se le sorelle Smith stanno ancora girando nella rete a caccia di vendetta.
L'aveva lasciata sul divano, appena finito di fare l'amore. Non aveva voluto guardarla, ne' una carezza, ne' un sfiorarsi di labbra, nulla, dopo aver fatto l'amore. Nudo, era scivolato tra le siepi del giardino e si era seduto lì, sul terreno bagnato, a guardare la luna. Era stato come morire fare l'amore con lei. Morire dentro, s'intende. Finiva sempre così, con tutte. Non poteva non odiarle, dopo. L'amore gli scivolava tra le dita. Sesso come voglia di vomitare. Rimaneva solo il ricordo di quelle mani, come artigli, pronti a strappargli via l'anima, di quella bocca pronta a succhiargli via la vita, di quegli occhi pronti a guardar dentro di lui ciò che non doveva essere visto. Milioni di volti. Centinaia di voci. Scriveva poesie su di loro con la punta della lingua, scolpiva nella loro carne la perversa asprezza di quelle parole. Ma non poteva cercare di lavar via la loro sporcizia solo con saliva. Solamente dolore di vivere, l'orgasmo diveniva come uno specchio in cui non doversi osservare. Strappare a morsi quel male che sentiva dentro, incolmabile il vuoto che gli stringeva lo stomaco dopo essere venuto. Una, dieci, cento volte pur di non doversi svegliare. Si era alzato ed era scappato via, poi. L'aveva lasciata lì, a gambe aperte. Lacrime come rugiada sulla peluria di lei. E l'amore si trasformava in disgusto. Sentimenti come banali trucchi da baraccone. Assaporava la freschezza dell'aria, assuefatto da quello che cercava senza mai riuscire a trovarlo. La ricerca lo drogava, di rabbia. Amami da morire, bisbigliava a tutte prima di infilarlo, e poi le guardava spegnersi tra le sue braccia per divenir quel che sempre erano state, senza accorgersene: bambole di carne. Quando suonarono alla porta, Alessandro sembrò scuotersi dal torpore che l'aveva stretto. Si trascinò alla porta, intontito. Osservò dallo spioncino, poi aprì, senza dire niente. La luce di una torcia sulla faccia lo fece sorridere. Lo misero in ginocchio mentre gli leggevano parole in cui non trovava un senso. Solo il freddo della canna del fucile sulla sua nuca a farlo sentire reale. Non svegliatemi, non svegliatemi. Di scatto poi aprì le braccia e si sollevò in piedi. Stringetemi mentre muoio. La casa vuota da settimane ormai. Le portava tutte lì, prima di ucciderle. Sulle mensole del salone alcune foto. Il volto di Alessandro sereno, gli occhi ricolmi di orrori. Perchè per non sorrideva mai quand'era piccolo? Quant'è difficile per un bambino dover provare a crescere? Era quello l'unico modo che aveva per non doverlo fare. Assopirsi sul seno di una donna che non era sua madre. Quando vivi nell'incubo, dormire e come un po' svegliarsi. Ma si può trovare un po' di compassione per chi non riesce più a sognare?