Renato Carosone nasce a Napoli il 3 gennaio 1920. La mamma Carolina ed il papà Antonio non sospettavano certamente di aver messo al mondo l’uomo e l’artista che sarebbe diventato il simbolo della canzone napoletana in tutto il mondo. Attraverso la sua simpatia, il suo innato umorismo, la sua musica, ha fatto canticchiare, ballare, divertire, sognare, innamorare, gente di ogni paese. Cina compresa. La sua infanzia è caratterizzata da una Napoli, fantastica, passionale, piena di risate e di poesia, dove tutto è ironia e commedia, ogni cosa al limite tra sogno e realtà.
La Napoli “dove ognuno vive in una inebriata dimenticanza di se” come ebbe a dire Goethe in occasione di un suo viaggio in Italia. In questo clima non tarda a manifestare la sua schietta passione per la musica ed in particolare il fascino che su di lui esercita il pianoforte; i genitori a fronte di ogni sacrificio lo assecondano e lo fanno studiare sotto la guida di autentici maestri come Vincenzo Romaniello, Celeste Capuana e Alberto Curci. La madre scompare prematuramente e Renato, primo di tre fratelli, aiuta il padre a tirare avanti la famiglia adattandosi ad ogni tipo di lavoro. E’ proprio con il fratello e la sorella che forma il primo “trio” Carosone, per la gioia dei parenti, vicini e coetanei di quartiere. Gli anni passano e Renato diciassettenne parte per l’Africa scritturato da una compagnia di arte varia in qualità di pianista e direttore d’orchestra. Il gruppo artistico di cui Carosone fa parte, termina la tournèe africana e rientra in Italia, meno Carosone, che rimane in Africa scritturato nuovamente da un’orchestra Jazz di Addis Abeba.
E’ il 1937 e le esperienze musicali di Carosone da quel momento si susseguono una dopo l’altra, rivelando al giovane pianista aspetti completamente nuovi nell’arte di far musica. Chiamato di leva, per la seconda guerra mondiale, viene inviato al fronte somalo-britannico. Occupata dopo un anno Addis Abeba, Carosone riprende il suo posto al pianoforte in una formazione Jazz in un club di Inglesi. Dirigerà in seguito piccole e grandi formazioni orchestrali per night, spettacoli di varietà, operette e veri e propri concerti per sola orchestra. E’ il 1946 e Carosone, a 26 anni, torna con una delle prime navi che ripartono dalla Somalia per l’Italia.
I successi che già aveva nella ex colonia a nulla serviranno in Italia, poiché completamente sconosciuto. Ricominciare da capo, era l’unica strada! Una scrittura dopo l’altra in piccole formazioni di orchestra da ballo, ed infine il “momento magico”. A “Renato Carosone”, nel 1949, gli viene espressamente richiesto di formare un “Trio” ed inaugurare un nuovo night a Napoli. Fa amicizia con un olandese dal nome Van Wood ed alle tre del mattino lo scrittura come cantante chitarrista. Mancava il terzo; l’incontro avviene su segnalazione del padrone del Night che aveva incaricato Renato di formare il Trio.
L’occhialuto simpatico Gegè di Giacomo si presenta puntuale alle 16,30 all’Hotel Miramare di Napoli dove Carosone stava provando con Van Wood. Si viene a creare una situazione a dir poco comica, il batterista è senza batteria, dice che l'ha portata a cromare, Carosone e Van Wood contrariati cominciano a dubitare della validità di Gegè, che intuisce tutto e per fugare ogni dubbio improvvisa una batteria casalinga: una sedia di legno, un vassoio, tre bicchieri di diversa grandezza e tonalità, due pioli, un fischietto. Questa è la prima prova del Trio Carosone divenuto in breve tempo famoso e richiesto in ogni parte del mondo. “Napoli paese d’ò sole, paese d’ò mare, paese addo’ tutt’è pparole so’ ddoce e so’ amare, so’ ssempre parole d’ammore” dice una nota canzone, ed in questo spirito i singoli componenti del “Trio Carosone” mietono successi ovunque approdino, grazie anche alla spiccata personalità e doti comunicative che ognuno di loro riesce ad esternare.
Quando Van Wood si staccherà dal gruppo per formare un nuovo complesso per tentanre la propria fortuna, Renato spinge ancora di più l’accelleratore e non lo fermerà più nessuno. Sempre con il fedele Gegè a fianco, formò altri gruppi e fecero la loro apparizione sul mercato i primi Long playng che contenevano le prime composizioni di Renato Carosone, “Maruzzella” aprì la strada del nuovo compositore, con un testo stupendo di Enzo Bonagura. Ebbe inizio, dopo il L.P., un’ascesa rapida e travolgente, “Maruzzella”, “Torero”, “O Sarracino”, “Pianofortissimo”, “T’aspetto e nove”, “Pigliate n’a pastiglia”, “Caravan Petrol”, “O russo e ‘a rossa”, “Tu vuò fa’l’americano”, “ ‘O mafiuso”. I testi firmati da un grande della musica leggera italiana: Nisa (Nicola Salerno). “Torero” rimase in classifica per 14 settimane, al primo posto, nella Hit Parade Nord Americana. La stessa canzone fu tradotta in 12 lingue e di sole incisioni americane ne esistono 32. Questo enorme successo aprì a Carosone la conquista del mercato Nord Americano, dopo Parigi, Londra, Madrid, Barcellona, Valencia, Monaco, Francoforte, Hannover, Berlino, Norimberga, Dusseldorf, Zurigo, Losanna, Nizza, Montecarlo, Atene, Lisbona, Behiruth, Palma de Majorca, Rio de Janeiro, Sao Paolo del Brasile, la popolare formazione riceve il premio più ambito: la famosa “Carnegie Hall” di New York. La tournèe americana ebbe inizio a Cuba, seguì a Caracas ed infine il debutto alla “Carnegie Hall” il 5 Gennaio 1957.
Lo spettacolo fu un vero trionfo, non erano più gli emigrati di “lacreme napulitane” che sbarcavano, i sei ragazzi di Carosone erano vestiti da Caraceni, con cravatte di Pucci e soprattutto di sorrisi smaglianti che sottolineavano con intenzione anche il nostro famoso e mai più ripetuto “miracolo economico”. Le sue canzoni cominicarono ad apparire in film con Anna Magnani che canta “Maruzzella”, “Nella città l’inferno”. Sofia Loren che canta “Tu fuò fà l’americano”, in coppia con Clarke Gable in “La baia di Napoli”. In tanti film di Totò ed infine “Mein street” di Martin Scorzese, di cui la colonna sonora è interamente rivestita dalla musica di Carosone. Nel 1960, esattamente a 40 anni, Renato Carosone fiuta il vento che cambia, vede urlatori prima, e Beatles dopo, e decide di ritirarsi dall’attività, congedandosi dal pubblico durante una trasmissione televisiva appositamente allestita per l’occasione.
L’annunciatrice era Emma Danieli, Carosone disse al pubblico: “preferisco ritirarmi ora sulla cresta dell’onda, che dopo assalito dal dubbio che la moda jè-jè e le nuove armate in blues jeans possano spezzare via tutto questo patrimonio accumulato in tanti anni di lavoro e di ansie”. Carosone anche quella volta ebbe ragione. Si appartò per ben 15 anni. Non fu solo. Il pianoforte, suo fedele ed inseparabile compagno, fu tutta la sua ragione di essere. Bach, Clementi, Chopin, Beethoven, furono la luce che illuminò questo periodo di “clausura”. “La sosta fu importante”, dice Carosone, “infatti in 15 anni ebbi modo di mettere a fuoco la mia vita e di uomo e di musicista e rimisi ordine nelle mani fino a riprendere pieno possesso della tastiera del pianoforte”. Una telefonata, allo scadere del quindicesimo anno di silenzio, ruppe l’incanto! Sergio Bernardini, geniale e persuasivo, organizzò uno Show televisivo dal vivo alla “Bussola” di Focette. Era il 9 Agosto 1975. La reazione della stampa di tutta Italia fu unanime. Trionfo! Carosone quella sera era vestito sempre Caraceni con cravatta di Pucci, col suo stesso sorriso di 15 anni prima, le stesse canzoni, le stesse mani, la stessa umiltà davanti al suo pubblico, lo stesso pianoforte. Solo una cosa era cambiata: la consapevolezza del pubblico, di aver ritrovato anche se per una sola sera un amico. Renato Carosone dice: “io sono persuaso, dopo quella ‘reentrèe, che ogni artista deve restare fedele alla sua causa, servendola fino alla fine, senza lasciarsi tentare dalla mania, purtroppo diffusa ai nostri giorni, di ‘aggiornarsi’”. Lo spettacolo pietoso dei cinquantenni con criniere lunghe oltre il colletto e le cinture strette sotto il ventre è stata una testimonianza di questo “aggiornamento” grazie a Dio ora superato.
Ognuno al proprio posto e voglio rifarmi ad un grande Maestro figlio della mia stessa terra, che nonostante i “Gobbi” e “teatro uomo”, gli “spazi liberi” ed infine tutti gli ultimi prodotti del “cabaret” e del “teatro moderno nostrano”, ha continuato imperterrito a sostenere il suo teatro con la medesima tecnica e scuola, fedele e coerente con se stesso: “Eduardo De Filippo”. E Renato Carosone ricorda sempre quello che un giorno gli disse Eduardo: “devi fare come me! Devi continuare così, perfezionando fino allo spasimo ciò che il tuo pubblico ha voluto, apprezzato e applaudito”. Dopo il clamoroso rientro nel 1975 con lo “special alla bussola” di Viareggio, Renato ha la tentazione di rientrare “la stessa tentazione che prova chi ha smesso di fumare” dice “e riassapora per una volta il gusto di una sigaretta”. La canzone non è soltanto arte e poesia, è anche industria, e Renato non vuole sentirsi schiacciato o meglio condizionato da esigenze e interessi economici che roteano intorno ad essa.
Quindi resiste e resta una discreta presenza. Passano ancora 7 anni prima che si convinca a rientrare in sala di registrazione; a far cadere ogni pregiudizio è la collaborazione strettamente amichevole che nasce con il suo produttore e discografico Sandrino Aquilani. Nasce così dopo 22 anni di silenzio discografico il nuovissimo e fiammante LP “Renato Carosone 82”. L’accoglienza è davvero esaltante ovunque, e sul filo dell’entusiasmo, rientra in sala con il “fido” Aquilani e porta a termine la registrazione di tutte le sue canzoni di successo, con la tecnica moderna di incisione, che nel frattempo si è evoluta e perfezionata. “Era un forte desiderio poter realizzare nuovamente il mio repertorio, che risentiva qualitativamente delle antiquate matrici di cera”. Questo corona una carriera che tutt’ora lo vede grande e sensibile protagonista. ????
Fabrizio De André nasce a Genova il 18 Febbraio 1940. Il padre, antifascista rifugiato nell'astigiano durante la guerra, torna a Genova con la famiglia solo nel '45. Qui Fabrizio frequenta le elementari, le medie, poi gli studi liceali, avvicinandosi alla poesia, alla musica e al teatro e stringendo amicizia con personaggi destinati come lui a diventare famosi, come Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Paolo Villaggio e il regista Aldo Trionfo. Si iscrive alla facoltà di Legge, ma intanto suona chitarra e violino in concerti jazz e folk e scrive le prime ballate, sotto l'influenza di George Brassens e della musica trobadorica medievale: vocazione artistica che lo allontana inesorabilmente dal destino di avvocato e lo porta a rinunciare alla laurea. Il suo primo disco (ormai dimenticato) esce nel '58, seguito da altri episodi a 45 giri, ma la svolta artistica matura diversi anni dopo, quando Mina gli incide "La Canzone di Marinella", che si trasforma in un grande successo. "Se una voce miracolosa non avesse interpretato la "Canzone di Marinella", con tutta probabilità avrei terminato gli Studi in Legge per dedicarmi all'avvocatura. Ringrazio Mina per aver truccato le carte a mio favore…", Comincia così solo nella seconda metà degli anni Sessanta per lui il vero "mestiere della musica". Intanto nel 1962 si sposa con Enrica, una ragazza genovese da cui ha il suo primo figlio, Cristiano (oggi cantautore come il padre, e collaboratore nell'album "Anime Salve") e nel 1965 pubblica in Lp la sua prima raccolta di ballate. Ma il 1967-68, gli anni della Contestazione Studentesca, diventano gli anni chiave della sua carriera. L'etichetta Belldisc gli pubblica l'album "Fabrizio De André Volume I", che contiene molte delle sue canzoni divenute oggi dei classici. Poi è la volta di "Tutti morimmo a stento" e di "Volume II", dischi che nell'atmosfera surriscaldata di quegli anni divengono quasi oggetti di culto. Seguono alcuni anni di straordinarie conferme. Nel 1970 pubblica "La Buona Novella", un lavoro che si ispira liberamente ai Vangeli Apocrifi, e nel 1971 "Non al denaro non all'amore né al cielo", rilettura dalla celeberrima "Antologia di Spoon River" di Edgard Lee Master. Del 1973 è l'Lp "Storia di un Impiegato", che si ispira criticamente alle istanze della Contestazione, mentre l'anno successivo nell'album "Canzoni" rende omaggio ai suoi "numi tutelari" (Brassens, Dylan e Cohen) traducendoli, e unendo ad essi alcune sue canzoni degli anni Sessanta. Il 1975 è l'anno di "Fabrizio De André Vol.7", nato dalla collaborazione con Francesco De Gregori, e del suo primo tour. Intanto matura il progetto di trasferirsi in Sardegna: acquista una tenuta agricola, l'Agnata, presso Tempio Pausania, e lì si dedica all'agricoltura e all'allevamento. Due anni dopo, dalla relazione con la cantante Dori Ghezzi (che sposerà in seguito), nasce una figlia, Luisa Vittoria. Nel 1978 pubblica l'album "Rimini", e nel 1979, dal tour con la PFM, ricava uno "storico" doppio live. Il 28 agosto dello stesso anno accade l'episodio più traumatico della sua vita: lui e Dori Ghezzi vengono sequestrati da banditi sardi. Da quell'esperienza scioccante, durata quattro mesi, De André trae nel 1981 un bellissimo album di riflessione sulla realtà della gente sarda. L'Lp, che non ha titolo, viene ricordato come "L'indiano". Il 1984 è un altro anno decisivo. Con la collaborazione del musicista ex-PFM Mauro Pagani, realizza l'Lp "Crueza de mâ", che i critici riconoscono non solo come il miglior album dell'anno ma anche dell'intero decennio. Si tratta in effetti di una vera e propria svolta: in totale controtendenza, De André salda l'uso altamente poetico della lingua nativa (genovese) alle sonorità folk della tradizione mediterranea. I risultati compositivi e poetici sono sorprendenti, e mettono in luce anche inedite qualità espressive nella vocalità dell'artista. Nel 1988 sposa la compagna Dori Ghezzi, e nel 1989 intraprende una collaborazione con Ivano Fossati (da cui nascono brani come "Questi posti davanti al mare"). Nel 1990 pubblica "Le nuvole", grande successo di vendite e di critica, che è accompagnato da un tour trionfale. Segue l'album live del '91 e il tour teatrale del 1992, poi un silenzio di quattro anni, interrotto solo nel 1996, quando torna sul mercato discografico con "Anime Salve", altro disco molto amato dalla critica e dal pubblico. Nel '97 infine pubblica "Mi Innamoravo di Tutto", una raccolta di vecchi brani scelti fra i suoi prediletti e tra i meno compresi dal pubblico. Ad essi unisce la versione originale del classico "Bocca di Rosa" e una preziosa "La canzone di Marinella" in duetto con Mina. Nel 1998 continua il tour teatrale, interrotto nel periodo estivo per motivi di salute. L'11 gennaio 1999 Fabrizio De André muore a Milano, stroncato da un male incurabile. I suoi funerali si svolgono il 13 gennaio a Genova alla presenza di oltre diecimila persone.; Nel 1999 esce postumo il live "De André in concerto", in cui sono raccolti i brani di "Anime Salve" e "La Buona novella", oltre a classici mai eseguiti in concerto come "Geordie". Nel 2000, in occasione della prima commemorazione della sua morte esce, la raccolta "Da Genova", con brani meno conosciuti al grande pubblico, tra cui "Girotondo" e "Canzone per l'estate".
Jim Morrison nacque l'8 dicembre 1943 a Melbourne in Florida da un ufficiale di marina e da un casalinga. Cantante, poeta, film-maker, è stato soprattutto una leggenda della musica.
Voce leader dei Doors, è stato uno dei principali riferimenti per intere generazioni di giovani negli anni della guerra del Vietnam, dell'assassinio dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King. Animale da palcoscenico, eroe maledetto, angelo ribelle, il Re Lucertola - Lizard King - è stato profeta della libertà. Per i suoi inviti alla trasgressione l'FBI ha aperto un dossier su di lui, e nel 1969 è stato perfino arrestato per oscenità. La sua morte precoce nel 1971 lo ha trasformato in un mito: da allora le raccolte dei Doors continuano ad andare a ruba, e ogni anno migliaia di giovani si recano in pellegrinaggio sulla sua tomba nel cimitero di Père Lanchaise a Parigi.
Di famiglia medio borghese, aveva due fratelli ai quali non si sentì mai particolarmente legato. Trascorse la sua infanzia cambiando spesso paese a causa dei trasferimenti di suo padre, uno dei motivi che lo hanno sempre immerso in un contesto di solitudine. Tra lui e la sua famiglia non correvano buoni rapporti così appena fu possibile se ne andò per frequentare l'università cinematografica dell'UCLA.
Si può dire che fu proprio durante gli studi universitari che Morrison si creò la prima vera cerchia di amici. L'humus e le possibilità che regnavano nell'ateneo e nel frequentare le lezioni gli davano infatti l'opportunità di conoscere un numero straordinario di persone. Inoltre, fu proprio frequentando l'Università che incontrò un futuro compnente dei Doors, il chitarrista e compositore Roy Manzanek, il quale coinvolse Morrison nelle sue già avviate attività musicali, come quella di apparire per gioco in alcuni concerti organizzati da lui.
L'idillio però non durò a lungo, poichè Morrison abbandonò l'università dopo che un suo cortometraggio fu rifiutato per una apparizione al "Royce Hall".
Iniziò così a frequentare la spiaggia di Venice, luogo che vide la nascita di molte canzoni come "Hello, I love you" e "End of the night". Formò poi un gruppo appunto col suo amico di università Ray e decise di chiamarlo "the Doors", nome ricavato dalle strane elucubrazioni che Morrison era solito fare: egli infatti sosteneva esistessero nel mondo il noto e l'ignoto, e che questi due mondi fossero divisi da una sorta di porta: ed è proprio una di queste "porte" comunicanti che lui voleva essere.
Intanto, il cantante era arrivato ormai al punto di prendere pasticche di LSD con grande facilità, arrivando a fare azioni bizzarre e discutibili, come quella di andare nel deserto per provare la mescalina nella sua forma pura: aveva letto che, secondo alcuni studi, dava effetti di vera follia...
Esplosi i Doors con il primo, splendido album (uno dei migliori esordi della storia del rock), Morrison divenne per milioni di fan un'avvincente ribelle, mentre per l'America benpensante rappresentava una sorta di pericolo pubblico. La sua vita "sentimentale", sempre molto affollata, era minata da comportamenti lunatici ed imprevedibili: passava da una calma assoluta ad attacchi improvvisi di violenza. Nel 1970 Jim sposò Patricia, una delle sue donne, con un matrimonio "Wicca" (un rituale che corrisponde ad una specie di unione cosmica). Il matrimonio, come prevedibile, non durò a lungo, a causa dell'inesausta "poligamia" di Morrison.
Dopo una vita all'insegna di eccessi di tutti i tipi, Morrison si spense il 3 luglio 1971, a soli 27 anni, generando da quel momento un'infinità di pettegolezzi e false notizie circa le modalità (o addirittura la veridicità) della sua scomparsa. Le cause della sua morte infatti sono tuttora ignote: Pamela Carson, la sua compagna del momento, morta oltretutto di overdose tre anni dopo di lui, disse solo di averlo trovato morto nella vasca da bagno. Quando gli amici arrivarono a Parigi, poi, la bara era già chiusa. Non poterono dunque vedere il cadavere del cantante ma solo visionare il suo certificato di morte. L'autopsia non fu fatta. Il certificato medico parla genericamente di "morte naturale" per arresto cardiaco.
A Parigi, nella Ville Lumiere, si era trasferito quattro mesi prima assieme alla sua ragazza. Ne aveva abbastanza dei Doors e della California, malgrado la band gli avesse dato fama e ricchezza. Voleva costruirsi una nuova vita come poeta. "Il rock è morto", ripeteva. Oggi la sua tomba nel cimitero parigino Pére Lachaise è un monumento nazionale e viene visitato da una media di cento fans al giorno.
"Naqui il 20 Febbraio 1967 ad Aberdeen, una cittadina nello stato di Washington, pervasa da un senso di depressione dove impera l'alcolismo, e dove tutto è permeato dall'idea che dobbiamo vergognarci delle nostre radici. Mio padre faceva il meccanico e mia madre alternava un impiego da barista a quello di segretaria d'ufficio. Abitavo in una casa a due piani, con tutti gli agi piccolo-borghesi. Ebbi un'infanzia felice, almeno fino a nove anni... poi tutto crollò... BRUSCAMENTE. Il solito caso di divorzio. Questa volta però fu tra mio padre e mia madre e io fui affidato ai parenti. Prima un parente... poi un altro e... un altro ancora. Per me tutto diventò nero e cominciai ad essere sempre più depresso. L'ultimo parente che mi ospitò fu mio nonno; gran testa di cazzo d'aspetto simile a Breznev, il suo massimo d'intelligenza erano le battute razziste. Si beccò un cancro al colon, e tutt'ora penso che se lo sia meritato. Da ragazzo ero sempre in paranoia, mi chiudevo nella mia stanza e ascoltavo musica. Mi feci prestare "Sandinista". Era un disco disgustoso. La colpa fu proprio dei Clash se non mi immersi subito nel Punk. A 17 anni mi trovai sotto un ponte, nel vero senso della parola, i nonni mi avevano cacciato di casa. Il ponte è quello che collega Aberdeen a Cosmopolis. Fu allora che mi misi a lavorare, pulivo i "cessi" di un albergo ad Aberdeen e nel frattempo studiavo come "igienista per studi odontoiatrici". Bello il rapporto tra "cessi" e "bocche". La mia prima condanna la beccai nel 1985. Mi presero e mi denunciarono per vandalismo. Andavamo in giro a tracciare scritte provocatorie sui muri delle case, sulle saracinesche, sulle vetrine e sulle auto: "DIO E' GAY"... "OMOSESSUALITA' AL POTERE" e cazzate del genere. Trenta giorni di carcere e 180 dollari di multa. Me la cavai con la condizionale. La mia prima canna me la fumai al concerto di Sammy Hagar a Seattle. Dopo due tiri ero sballato perso. Ero così fuori che giocherellando con un accendino che tenevo in tasca finii per bruciare la tasca stessa. Furono i "MELVINS" a farmi innamorare del Punk. Andavo a tutte le loro prove, e tutte le volte finiva che mi sbronzavo. La mia prima Band come nome aveva "SKID ROW". Oltre a me e l'onnipresente Chris Novoselic vedeva alla batteria uno stronzo di Aberdeen prescelto solo perché era l'unico in città ad avere una batteria. Poi arrivarono i Nirvana. Il primo concerto dei Nirvana a Seattle fu un disastro assoluto. Salimmo sul palco del "Central Tavern" e ci accorgemmo che in tutto erano presenti tre persone di cui una era il tecnico del suono. Riuscimmo a farci ingaggiare dalla "Sub Pop" ma, dopo un anno di tentativi per farci pubblicare un disco, dovemmo ricorrere alle nostre tasche per veder realizzato il nostro primo vinile. Ci costò la bellezza di 606 dollari, una cifra alquanto ridicola, che però ci svenò, o meglio svenò il nostro secondo chitarrista. Quest'ultimo poi ebbe vita breve nel gruppo per il suo fare troppo da metallaro. Con l'uscita di "Bleach", nostra prima fatica, iniziammo il tour. Fu appunto in tournè che ci accorgemmo che la Sub Pop ci andava stretta. Il pubblico si presentava numeroso ai nostri concerti, ma si lamentava dell'introvabilità del nostro disco. Normale amministrazione quando sei a contatto con una "indie". In Inghilterra ci riservarono una grande accoglienza e così su tutto il Vecchio Continente. Fu un grande tour, ma fu anche un grande inferno soprattutto per gli spostamenti, che effettuavamo su di un furgone ammassati l'uno sull'altro, per il cibo, che era sempre più scarso, per il tempo libero, che era pochissimo ed infine per il rimborso spese della Sub Pop. Tutto questo ci spinse a cercare una "Major" discografica. Fu così che nel 1991 firmammo per la Dgc. divisione della Geffen Records. Ottenemmo il cento per cento di garanzie sul fatto che noi e solamente noi avessimo controllo creativo sul nostro lavoro. Con l'uscita di "Nevermind" i Nirvana iniziarono la scalata alle "Top Ten" e raggiungemmo il primo posto nel gennaio 1992 con quasi tre milioni di copie vendute. A febbraio, dopo mesi che il consumo di pasticche e roba varie era salito vorticosamente, e che la stampa scandalistica ci girava intorno, mi sposai con Courtney Love e l'America puritana insorse contro i nuovi "eroi maledetti", definendoci come "coniugi depravati" oltre che a descriverci come perversi tossicodipendenti, cinici, arrivisti e futuri genitori irresponsabili. Ad agosto dovemmo annullare un concerto a Seattle perchè mi ricoverarono in Ospedale per i miei problemi allo stomaco... ormai sempre più ricorrenti. Alcuni giorni dopo nacque mia figlia Frances Bean Cobain subito definita tossicodipendente dal "Globe". Era l'epoca che la gente, sempre per i miei problemi allo stomaco, mi vedeva in un angolo per conto mio, con un aspetto malandato e depresso, mi scrutava giudicandomi un drogato all'ultimo stadio, ma in vita mia mi sono fatto di eroina solo per poche settimane e solo perchè era l'unica cosa che riusciva a calmarmi i dolori. Il controllo sul nostro lavoro ci stava a poco a poco scappando di mano ed eravamo ormai in balia dello show business. Nel settembre 1993 uscì sul mercato "IN UTERO". Nel febbraio 1994 cominciò il tour in Italia e un mese dopo mi ritrovai in coma per un miscuglio di psicofarmaci e alcol. La stampa avanzò l'ipotesi del "tentato suicidio". I Nirvana erano praticamente esauriti. Eravamo arrivati alla ripetitività, alla pura routine... al capolinea. Non avevamo nuovi obiettivi, nuove strade da percorrere, nuove aspettative. Il momento magico successivo all'uscita di "Nevermind" era finito; l'entusiasmo e il feeling con il pubblico erano svaniti. Eravamo una macchina per produrre soldi a palate ed eravamo circondati da gente che non faceva altro che leccarci il culo. Ho perso la gioia di vivere. Meglio andarsene con una vampata, che morire giorno dopo giorno. A volte mi sembra di timbrare il cartellino, quando sto per salire sul palco. Da anni ho perso il gusto della vita e non posso continuare ad ingannare tutti. Il peggior crimine è l'inganno. Ho bisogno di staccarmi dalla realtà per ritrovare l'entusiasmo che avevo da bambino. Sono anni che non provo più niente. Ho perso tutto l'entusiasmo. Anche la mia musica non è più sincera".
15 febbraio 1898 ore 7.30: Antonio Clemente nasce al rione Sanità al n.109 (alcune fonti rivelano al n.107) di via Santa Maria Antesaecula in Napoli, da Anna Clemente nubile e, secondo la leggenda da Totò stesso alimentata, Giuseppe De Curtis, figlio dello spiantatissimo marchese De Curtis, che si era sempre opposto al matrimonio tra il nobile figliolo e la bella popolana. Esuberante, Totò cresce nei vicoli di Napoli, che preferisce di gran lunga alla scuola. Finite le elementari, viene mandato in un collegio ma non arriva neppure alla licenza ginnasiale. È qui che un insegnante, boxando scherzosamente con lui gli rovina il setto nasale, deviandoglielo. Si mette a fare vari lavoretti e si avvicina al teatro, anche se come semplice spettatore. Lo affascinano e colpiscono alcuni personaggi comici, che imita benissimo. E nel 1913/14 debutta in uno dei tanti teatrini napoletani con uno pseudonimo, Clerment. Scoppia la guerra, parte volontario, poi ne ha paura, finge un attacco di cuore e resta nelle retrovie. Conosce però ugualmente le durezze e le stupidità della vita di caserma. Quando finisce la guerra torna al teatro. Comincia a fare "banda" con gente come Eduardo e Peppino De Filippo, Cesare Bixio. Chi faceva prosa, chi componeva canzoni, chi si dedicava al varietà. Antonio continua su questa strada e acquista una certa notorietà. La coincidenza vuole che il marchesino suo padre avesse iniziato una sua attività, di agente teatrale, che lo aveva reso economicamente indipendente dalla famiglia che quindi si fosse riavvicinato ad Anna. E nel 1921, alla morte del marchese padre, si sposa con lei. Antonio diventa Antonio De Curtis (il riconoscimento vero e proprio sarà però del 1928). Una "versione romantica" che la prima moglie di Totò, Diana Rogliani, avrebbe a più riprese contestato. Anna e Giuseppe si trasferiscono a Roma. E Antonio con loro. La sua vita subisce una radicale modifica. Dopo aver lavorato in vari piccoli teatri romani, approda da Jovinelli. Ben presto diventa una stella e inizia a viaggiare per l'Italia in tournée. Gli anni della povertà sono definitivamente finiti. Il suo personaggio si è ormai consolidato: e la marionetta disarticolata, in bombetta, tight fuori misura, scarpe basse e calze colorate che conserverà per tutta la vita. Totò va pazzo per le donne e le donne vanno pazze per lui. Era celebre il divano che si faceva mettere in camerino per eventuali ospiti. Poi conosce Liliana Castagnola, famosa cantante di café-chantant da destino malinconico e tragico. Una maliarda, ma che di lui si innamora alla follia: gli propone di fare compagnia insieme e al suo rifiuto, la notte del 3 marzo 1931, si suicida. Colto da rimorsi postumi, Totò la fa seppellire nella tomba di famiglia dei De Curtis. E, qualche anno dopo, darà il nome dell'amante alla figlia.Sono passati pochi mesi dalla morte della Castagnola e a Firenze Totò conosce una sedicenne fiorentina, Diana Bandini Lucchesini Rogliani, che va a vedere un suo spettacolo, Lo trova non brutto buffo "assemblato" in modo inconsueto; si innamora di lui e fugge da casa per raggiungerlo. Sono felici, nel 1933 hanno una bambina, si sposano nel 1935. Ma poi scoppia la gelosia patologica dell'attore, che lo porta a chiedere l'annullamento del matrimonio in Ungheria (sarà ratificato in Italia, nel 1940). Ma malgrado ciò la famiglia resta in qualche modo unita fino agli anni '50. Nella stagione 1932/33 Totò fonda una propria compagnia, sono per lui gli anni d'oro dell'avanspettacolo. La gente lo ama e lo apprezzano persino critici e intellettuali. Il cinema in piena crescita lo vuole: nel 1937 interpreta "Fermo con le mani!", cui segue due anni dopo " Animali pazzi". Ma questi film, stranamente, non hanno molto successo, mentre le sue riviste non conoscono crisi. Solo nel 1947 con "I due orfanelli" Totò sfonda anche nel cinema. Inizia qui, si può dire, la seconda parte della sua vita professionale, che lo porterà a essere protagonista di quasi un centinaio di film e a trascurare definitivamente il teatro. Totò ha sempre vissuto con il complesso delle sue origini di figlio di nessuno. E con un mai esaurito desiderio di nobiltà nel sangue. Sulla sua discendenza da Giuseppe De Curtis già si è detto quanto fosse incerta, forse costruita da lui stesso a posteriori (come raccontava Diana Rogliani). Già nel lontano 1933 il marchese Francesco Maria Gagliardi Focas lo aveva adottato, dandogli quindi il suo nome, in cambio di un vitalizio. Alla morte di questi potrà fregiarsi dei titoli araldici tanto sospirati. Una conquista che però arriva solo dopo una battaglia giudiziaria durata parecchi anni e portata avanti con caparbia dall'attore. Dal 1945 avrà finalmente il diritto di farsi chiamare Antonio Griffo Focas Flavio Angelo, Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, Altezza Imperiale, Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e di Duraz. Iniziati all'insegna del successo, dei premi (un Nastro d'Argento per "Guardie e ladri"), gli anni ‘50 vedono la doppia "pugnalata", come lui la chiamava. della ex moglie Diana, che si risposa, e di Liliana che si unisce a Gianni Buffardi, figliastro del regista Carlo Ludovico Bragaglia, un uomo che a Totò non piaceva (anche se gli darà due nipoti e diventerà suo produttore per alcuni film, Totò aveva visto giusto e il matrimonio durerà molto poco) Ma come al solito nella vita dell'attore, alla ferita segue un momento felice. Nel 1952 conosce e si innamora di Franca Faldini, ancora una volta una giovanissima (ha 21 anni). Si fidanzano ma non si sposano, saranno inseparabili. Il sipario calò sulla sua vita il 15 aprile 1967, verso le tre e mezzo del mattino nella sua casa di Roma, l'ora in cui d'abitudine si ritirava per dormire.
Nel giro di sette ore un susseguirsi di attacchi cardiaci lo avevano stroncato. Se fosse sopravvissuto all'ultimo sarebbe rimasto paralizzato, muto e totalmente cieco. Parzialmente lo era già. Il primo attacco era sopravvenuto proprio quando, ricevuto l'esito negativo dell'elettrocardiogramma effettuato un paio di giorni prima in seguito a un malore, gioiva per lo scampato pericolo. Il cuore, quel cuore croce emotiva e delizia di salute di tutta la sua vita, gli aveva giocato un tiro irreversibile. Un tradimento alla vigliacca. Ad ogni check up semestrale i medici non glielo avevano forse decantato, definendolo un muscolo da testo, bradicardico quanto quello di un atleta, eccezionalmente perfetto? Forse erano state le tante sigarette, i molti caffè quotidiani, chissà, comunque non se lo sarebbe mai aspettato, proprio da lui.
Alle 11,20 del 17 aprile viene trasportato nella chiesa di Sant'Eugenio in viale Belle Arti. Sulla bara, la bombetta con cui aveva esordito e un garofano rosso. La cerimonia si limita a una semplice benedizione, a causa delle difficoltà create dalle autorità religiose perché con la Faldini non era sposato. Totò aveva sempre espresso il desiderio di avere funerali semplicissimi. Alle 16,30 la salma di Totò giunge a Napoli accolta, dall'uscita dell'autostrada fino alla basilica del Carmine, da una marea di folla. Viene sepolto nella cappella De Curtis al Pianto, il cimitero sulle alture di Napoli.