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Graffio
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Posted - 13 April 2008 : 14:23:58
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(“Devo essere franco.I negri,gli afroamericani,non hanno dimostrato di avere molta furia nel rivolgersi alle Nazioni Unite per chiedere che si fatta giustizia per loro qui in America.Sapevo in anticipo che sarebbe stato così.Il bianco americano ha indottrinato il negro con tale cura da convincerlo a considerarsi un puro e semplice problema nazionale di ‘diritti civili’ al punto che probabilmente ci vorrà più tempo di quanto non me ne sia concesso,prima che i negri americani vedano la loro lotta in una dimensione internazionale.”)
(…)Dopo quell’episodio i miei ricordi più chiari riguardano l’attrito fra mio padre e mia madre.Sembrava che fossero sempre ai ferri corti e qualche volta mio padre la picchiava.Può darsi che c’entrasse in parte il fatto che mi madre era assai istruita.Dove avesse imparato tutte quelle cose non lo so,ma penso che una donna istruita non possa resistere alla tentazione di redarguire un uomo ignorante.Ogni tanto quando lei lo criticava con le sue parole appropriate e taglienti, lui le metteva le mani addosso.Mio padre era anche molto aggressivo nei confronti di tutti i figli,fatta eccezione per me.Quando i più grandi infrangevano qualcuna delle sue regole-e ne aveva tante che era difficile conoscerle tutte-li picchiava quasi selvaggiamente.Quasi tutte le botte che presi io me le dette mia madre.Ho pensato molto al perché.In realtà credo che mio padre,violentemente anti-bianco com’era,fosse inconsciamente afflitto dal modo in cui i bianchi facevano ai negri il lavaggio del cervello da avere la tendenza a favorire quelli dalla pelle più chiara:e io ero appunto il figlio dalla pelle più chiara.A quei tempi,quasi istintivamente,la maggior parte dei genitori negri trattavano molto meglio i loro figli dalla pelle più chiara.Ciò derivava direttamente dalla tradizione della schiavitù secondo cui il ‘mulatto’,in quanto visibilmente più vicino al bianco,era appunto ‘migliore’
Malcom X (Autobiografia di Malcom X)
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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr'occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.
-Montale-
Che ne sapete se un qualsiasi uccello che taglia le strade dell’aria non sia in realtà un immenso mondo di delizie raccchiuso dai vostri cinque sensi?
(Blake)
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Graffio
Utente Master
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Posted - 27 April 2008 : 18:30:55
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La buona vecchia gongolando ascese Nelle stanze superne, alla padrona Per nunzïar, ch'era il marito in casa. Non le tremavan più gl'invigoriti Ginocchi sotto; ed ella a salti giva. Quindi le stette sovra il capo, e: "Sorgi", Disse, "Penelopèa, figlia diletta, Se il desìo rimirar de' giorni tutti Vuoi co' propri occhi. Ulisse venne, Ulisse Nel suo palagio entrò dopo anni tanti, E i proci temerari, onde turbata La casa t'era, consumati i beni, Molestato il figliuol, ruppe e disperse". E Penelope a lei: "Cara nutrice, Gl'Iddii, che fanno, come lor talenta, Del folle un saggio e del più saggio un folle, La ragion ti travolsero. Guastâro Cotesta mente, che fu sempre intègra, Senza dubbio gl'Iddii. Perché ti prendi Gioco di me, cui sì gran doglia preme, Favole raccontandomi, e mi scuoti Da un sonno dolce, che, abbracciate e strette Le mie tenea care palpebre? Io mai, Dacché Ulisse levò nel mar le vele Per la malvagia innominanda Troia, Così, no, non dormìi. Su via, discendi, Balia, e ritorna onde movesti, e sappi, Che se tali novelle altra mi fosse Delle mie donne ad arrecar venuta, E me dal sonno scossa, io rimandata Tostamente l'avrei con modi acerbi: Ma giovi a te, che quel tuo crin sia bianco". "Diletta figlia", ripigliò la vecchia, "Io di te gioco non mi prendo. Ulisse Capitò veramente, ed il suo tetto Rivide al fin: quel forestier da tutti Svillaneggiato nella sala è Ulisse. Telemaco il sapea: ma scortamente I paterni consigli in sé celava, Delle vendette a preparar lo scoppio". Giubbilò allor Penelope, e, di letto Sbalzata, al seno s'accostò la vecchia, Lasciando ir giù le lagrime dagli occhi, E con parole alate: "Ah! non volermi, Balia cara, deludere", rispose. "S'ei, come narri, in sua magione alberga, Di qual guisa poté solo agli audaci Drudi, che in folla rimaneanvi sempre, Le ultrici far sentir mani omicide?" "Io nol vidi, né il so", colei riprese: "Solo il gemer di quei, ch'eran trafitti, L'orecchio mi ferìa. Noi delle belle Stanze, onde aprir non potevam le porte, Nel fondo sedevam, turbate il core; Ed ecco a me Telemaco mandato Dal genitor, che mi volea. Trovai Ulisse in piè tra i debellati proci, Che giacean l'un su l'altro, il pavimento Tutto ingombrando. Oh come ratto in gioia La tua lunga tristezza avresti vôlta: Se di polve e di sangue asperso e brutto, Qual feroce leon, visto l'avessi! Or, del palagio fuor tutti in un monte Stannosi; ed ei con solforati fuochi, Ei, che a te m'inviò nunzia fedele, La nobile magion purga e risana. Seguimi adunque; e dopo tanti mali Ambo schiudete alla letizia il core. Già questo lungo desiderio antico, Che distruggeati, cessa: Ulisse vivo Venne al suo focolare, e nel palagio Trovò la sposa e il figlio, e di coloro, Che gli noceano, vendicossi a pieno". "Tanto non esultar, non trïonfare, Nutrice mia", Penelope soggiunse, "Perché t'è noto, quanto caro a tutti, E sovra tutti a me caro, e al cresciuto Suo figlio e mio, capiterebbe Ulisse. Ma tu il ver non parlasti. Un nume, un nume Fu, che dell'opre ingiuste e de' superbi Scherni indegnato, mandò all'Orco i proci, Che dispregiavan sempre ogni novello Stranier, buon fosse, o reo: quindi perîro. Ma Ulisse lungi dall'Acaica terra Il ritorno perdé, perdé la vita". "Deh quale, o figlia, ti sfuggì parola Dalla chiostra de' denti?" a lei la vecchia. "Il ritorno perdé, perdé la vita, Mentre in sua casa e al focolar suo sacro Dimora? Il veggio: chiuderai nel petto Un incredulo cor, finché vivrai. Se non che un segno manifesto in prova Ti recherò; la cicatrice onesta Della piaga, che in lui di guerreggiato Cinghial feroce il bianco dente impresse; Quella, i piedi lavandogli, io conobbi E volea palesartela: ma egli, Con le mani afferrandomi alla bocca, D'accortezza maestro, il mi vietava. Séguimi, io dico. Ecco me stessa io metto Nelle tue forze: s'io t'avrò delusa, La morte più crudel fammi morire". E di nuovo Penelope: "Nutrice, Chi le vie degli dèi conoscer puote? Né tu col guardo a penetrarle basti. Ogni modo a Telemaco si vada, E la morte de' proci e il nostro io vegga Liberatore, un uomo ei siasi o un nume". Detto così, dalla superna stanza Scese con mente in due pensier divisa: Se di lontano a interrogar l'amato Consorte avesse o ad appressarlo in vece, E nelle man baciarlo e nella testa. Varcata, entrando, la marmorea soglia, Da quella parte, contra lui s'assise, Dinanzi al foco, che su lei raggiava; Ed ei, poggiato a una colonna lunga, Sedea con gli occhi a terra, e le parole Sempre attendea della preclara donna, Poiché giunti su lui n'eran gli sguardi. Tacita stette e attonita gran tempo: Il riguardava con immote ciglia, E in quel che ravvisarlo ella credea, Traeanla fuor della notizia antica Gli abiti vili, onde scorgealo avvolto. Non si tenne Telemaco, che lei Forte non rampognasse: "O madre mia, Madre infelice e barbara consorte, Perché così dal genitor lontana? Ché non siedi appo lui? ché non gli parli? Null'altra fôra così fredda e schiva Con marito alla patria, ed a lei giunto Dopo guai molti nel ventesim'anno. Ma una pietra per cuore a te sta in petto". E a rincontro Penelope: "Sospesa, Figlio, di stupor sono, ed un sol detto Formar non valgo, una dimanda sola, E né, quant'io vorrei, mirarlo in faccia. Ma s'egli è Ulisse e la sua casa il tiene, Nulla più resta che il mio stato inforsi. Però che segni v'han dal nuzïale Ricetto nostro impenetrabil tratti, Ch'esser noti sappiamo a noi due solo". Sorrise il saggio e pazïente Ulisse, E converso a Telemaco: "La madre Lascia", diceagli, "a suo piacer tentarmi: Svanirà, figlio, ogni suo dubbio in breve. Perché in vesti mi vede umili e abbiette, Spregiami, e penetrar non san per queste Sino ad Ulisse i timidi suoi sguardi, Noi quel partito consultiamo intanto Che abbracciar sarà meglio. Uom, che di vita Spogliò un uom solo e oscuro, e di cui pochi Sono i vendicator, pur fugge, e il dolce Nido abbandona ed i congiunti cari. Or noi della città tolto il sostegno, E il fior dell'Itacese gioventude Mietuto abbiamo. Qual è il tuo consiglio?" E il prudente Telemaco: "A te spetta, Diletto padre, il consigliar", rispose: "A te, con cui non v'ha chi d'accortezza Contendere osi. Io seguirotti pronto In ogni tuo disegno, e men, cred'io, Le forze mi verran pria, che il coraggio". "Questo a me sembra", ripigliava Ulisse. "Bagnatevi, abbigliatevi, e novelle Prenda ogni donna e più leggiadre vesti. Poi con l'arguta cetera il divino Cantore inviti a una gioconda danza. Acciò chi di fuori ode, o passa, o alberga Vicin, le nozze celebrarsi creda. Così pria non andrà per la cittade Della strage de' proci il sanguinoso Grido, che noi non siam nell'ombreggiata Campagna nostra giunti, in cui vedremo Ciò che inspirarci degnerà l'Olimpio". Scoltato ed ubbidito ei fu ad un'ora. Si bagnâr, s'abbigliâr, vesti novelle Prese ogni donna, e più fregiata apparve. Femio la cetra nelle man recossi, E del canto soave e dell'egregia Danza il desìo svegliò. Tutta sonava Quella vasta magion del calpestìo Degli uomini trescanti e delle donne, Cui bella fascia circondava i fianchi. E tal che udìa di fuor, tra sé dicea: "Alcun per fermo la cotanto ambita Regina ottenne. Trista! che gli eccelsi Tetti di quel, cui vergine congiunta S'era, non custodì, finch'ei venisse". Così parlava; e di profonda notte Lo strano caso rimanea tra l'ombre. In questo mezzo Eurìnome cosperse Di lucid'onda il generoso Ulisse, E del biondo licor l'unse, ed il cinse Di tunica e di clamide: ma il capo D'alta beltade gl'illustrò Minerva. Ei de' lavacri uscì pari ad un nume, E di nuovo s'assise, ond'era sorto, Alla sua moglie di rincontro, e disse: "Mirabile! a te più che all'altre donne, Gli abitatori dell'Olimpie case Un cuore impenetrabile formâro. Quale altra accoglierìa con tanto gelo L'uom suo, che dopo venti anni di duolo Alla sua patria ritornasse e a lei? Su via, nutrice, per me stendi un letto, Dov'io mi corchi, e mi riposi anch'io: Quando di costei l'alma è tutta ferro". "Mirabil", rispondea la saggia donna, "Io né orgoglio di me, né di te nutro Nel cor disprezzo, né stupor soverchio M'ingombra: ma guardinga i dèi mi fero. Ben mi ricorda, quale allor ti vidi, Che dalle spiagge d'Itaca naviglio Ti allontanò di remi lungo armato. Or che badi, Euriclèa, che non gli stendi Fuor della stanza maritale il denso Letto, ch'ei di sua mano un dì costrusse, E pelli e manti e sontuose coltri Su non vi getti?" Ella così dicea, Far volendo di lui l'ultima prova. Crucciato ei replicò: "Donna, parola T'usci da' labbri fieramente amara. Chi altrove il letto collocommi? Dura Al più saputo tornerìa l'impresa. Solo un nume potrebbe agevolmente Scollocarlo: ma vivo uomo nessuno, Benché degli anni in sul fiorir, di loco Mutar potrìa senza i maggiori sforzi Letto così ingegnoso, ond'io già fui, Né compagni ebbi all'opra, il dotto fabbro. Bella d'olivo rigogliosa pianta Sorgea nel mio cortile, i rami larga, E grossa molto, di colonna in guisa. Io di commesse pietre ad essa intorno Mi architettai la maritale stanza, E d'un bel tetto la coversi, e salde Porte v'imposi e fermamente attate. Poi, vedovata del suo crin l'oliva, Alquanto su dalla radice il tronco Ne tagliai netto, e con le pialle sopra Vi andai leggiadramente, v'adoprai La infallibile squadra e il succhio acuto. Così il sostegno mi fec'io del letto; E il letto a molta cura io ripolìi, L'intarsïai d'oro, d'avorio e argento Con arte varia, e di taurine pelli, Tinte in lucida porpora, il ricinsi. Se a me riman, qual fabbricailo, intatto, O alcun, succiso dell'olivo il fondo, Portollo in altra parte, io, donna, ignoro". Questo fu il colpo che i suoi dubbi tutti Vincitore abbatté. Pallida, fredda, Mancò, perdé gli spiriti e disvenne. Poscia corse vêr lui dirittamente, Disciogliendosi in lagrime; ed al collo Ambe le braccia gli gettava intorno, E baciavagli il capo e gli dicea: "Ah! tu con me non t'adirare, Ulisse, Che in ogni evento ti mostrasti sempre Degli uomini il più saggio. Alla sventura Condannavanci i numi, a cui non piacque Che de' verdi godesse anni fioriti L'uno appo l'altro, e quindi a poco a poco L'un vedesse imbiancar dell'altro il crine. Ma, se il mirarti e l'abbracciarti un punto Per me non fu, tu non montarne in ira. Sempre nel caro petto il cor tremavami, Non venisse a ingannarmi altri con fole: Ché astuzie ree covansi a molti in seno. Né la nata di Giove Elena Argiva D'amor sarìasi e sonno a uno straniero Congiunta mai, dove previsto avesse Che degli Achei la bellicosa prole Nuovamente l'avrebbe alla diletta Sua casa in Argo ricondotta un giorno. Un dio la spinse a una indegna opra; ed ella Pria che di dentro ne sentisse il danno, Non conobbe il velen, velen da cui Tanto cordoglio a tutti noi discorse. Ma tu mi desti della tua venuta Certissimo segnale: il nostro letto, Che nessun vide mai, salvo noi due
Omero (Odissea)
Traduzione di Ippolito Pindemonte
Che ne sapete se un qualsiasi uccello che taglia le strade dell’aria non sia in realtà un immenso mondo di delizie raccchiuso dai vostri cinque sensi?
(Blake)
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Graffio
Utente Master
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Posted - 04 May 2008 : 17:17:01
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Rapido è il tempo che passa e che ci affoga nel nulla: ieri eri ancor nella culla, domani sarai nella cassa: è vano che metta radici la gioia nel petto se quello che reca diletto è quello che rende infelici: o tu,che forse amerei, è meglio che non ci incontriamo! Sai tu che cos’è la tristezza? Io guardo la mia giovinezza Sorgere a un tratto su questo mondo,vigile e viva, come l’infermo mal desto dell’incubo che l’atterriva vede che il cielo è rosa, e d’un angoscia affannosa lo stringe,poiché egli ignora se sia il tramonto o l’aurora. O donna,la mia giovinezza è forse un tramonto:ogni giorno qualcosa non fa più ritorno, quale idolo nuovo si spezza. Non si spezza,no:si dissolve Col tempo,non si sa come: non ne rimane che il nome e un pò di misera polvere. Il tempo sgretola,annulla Regolarmente entro me Quello che trova,finchè Non ne rimanga più nulla. Da questo perenne pensare, da questo perenne soffrire si può sperar di guarire? Si può sperar d’amarfe? Io sento che non si può Mai più guarire,lo sento: da questo strano tormento non si guarisce:lo so. S’annida in te a tradimento Quando agisci e quando riposi: è come la tubercolosi cronica del sentimento.
(Carlo Vallini) L’Amore
Che ne sapete se un qualsiasi uccello che taglia le strade dell’aria non sia in realtà un immenso mondo di delizie raccchiuso dai vostri cinque sensi?
(Blake)
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Graffio
Utente Master
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Posted - 28 July 2008 : 23:47:30
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Perché ci concentriamo con tanta intensità sui nostri problemi?
Che cosa ci attira verso di essi?
Perché posseggono la forza magnetica dell’amore: in un certo senso noi desideriamo i nostri problemi, ne siamo innamorati nella stessa misura in cui vorremmo liberarcene. Ebbene,se il problema contiene un terzo elemento misterioso, irresistibile,affascinante,questo non può che essere un oggetto d’amore o un punto dove si nasconde l’amore stesso: proprio lì,in quel problema. Ciò significa che i problemi sono,contro ogni apparenza, una cosa buona,o,si potrebbe dire,più che problemi sono emblemi,come gli ‘emblemata’rinascimentali,un intrico impossibile di figure intrecciate che riescono incomprensibili eppure costituiscono il motto o il blasone,la famiglia essenziale elevata alla dignità di emblema che tiene in vita… I problemi ci tengono in vita;per questo,forse,non se ne vanno mai. Che cosa sarebbe la vita senza di essi? Totalmente sedata e senza amore. Dentro ciascun problema è nascosto un amore segreto...
James Hillman (Fuochi Blu)
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E’ ancora alla madre che confida questo suo stato d’animo:
“In me si è sviluppato molto il senso del collettivo contrapposto all’individuale; sono sempre lo stesso solitario di un tempo alla ricerca della mia strada,senza aiuto personale, ma possiedo ora il concetto del mio dovere storico. Non ho casa,né moglie[un mese prima si era risposato!N.d.A],né figli,né genitori,né fratelli.(…) E ciò nonostante sono contento,continuo a sentirmi qualcosa nella vita,non solo una potente forza interiore, che ho sempre sentito,ma anche una capacità di comprensione degli altri e un assoluto senso fatalistico della mia missione che mi toglie ogni timore”.
Roberto Massari (Che Guevara.Pensiero e Politica dell’Utopia)
Che ne sapete se un qualsiasi uccello che taglia le strade dell’aria non sia in realtà un immenso mondo di delizie raccchiuso dai vostri cinque sensi?
(Blake)
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Hathor
Utente Master
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Posted - 29 July 2008 : 13:55:00
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Ben tornato!
Leggere i tuoi post è una vera goduria!
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Graffio
Utente Master
1470 Posts
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Posted - 03 August 2008 : 00:15:22
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Grazie Hathor sei gentile
E'(" quasi") confortevole(direi) anche per me tornare a casa e acquietarmi con la mia intimità,la mia identità ed il mio eros.
Ho le ossa rotte(ahh signùr,si dice a Bergamo) ma pocanzi cercavo di ripescare i "miei" 'misteri di sabbia' cara Hathor.
Ma senza alcun successo.
Forse la colpa sarebbe da attribuire al pc messo in disuso da cira tre mesi(?) può essere(??)
Ti aggraderebbe darmi una mano negli scavi?
Ti lascio un abbraccio
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Jhoann Henry Fussli –La lotta di Thor con il serpente del Midgard (1790)
”Il serpente,in moltissimi concetti culturali,rappresenta La forza stessa del ‘patior’,del soffrire per le vampe interne e per la forza delle emozioni profonde,che si assommano alla sfrenatezza.
Pregiudizi di campo moralista a cui neppure Fussli riesce a sfuggire,e per di più agli albori del romanticismo. Il pre-giudizio sulle emozioni affiora continuamente, anche negli autori meno sospettabili.
L’influenza delle religioni storiche del Mediterraneo In questi atteggiamenti psichici è evidente.”
(Carl Gustav Jung)
Pan insegna a suonare il flauto-origine ellenistica-, Museo Archeologico Nazionale di Napoli
• “La vera terapia consiste nell'approccio al divino; più si raggiunge l'esperienza del divino, più si è liberati dalla maledizione della patologia.”
(Carl Gustav Jung)
Una Fantasticheria memorabile
Mentre camminavo fra i fuochi dell' Inferno, deliziato da quei godimenti del genio che agli Angeli appaiono come tormento e insania, raccolsi alcuni dei loro Proverbi; pensando che così come i detti che s'usano in una nazione ne designano il carattere, allo stesso modo i Proverbi dell' Inferno renderanno palese la natura della sapienza Infernale meglio di una qualsiasi descrizione di edifici o abbigliamenti.
Quando me ne tornai a casa, sull'abisso dei cinque sensi, dove uno scosceso pendio minaccia il mondo presente, vidi un Diavolo possente ravvolto in nuvole nere che si librava sui fianchi della roccia: con fuochi corrosivi scriveva la frase seguente, che ora le menti degli uomini percepiscono, e sulla terra la leggono:
Che ne sapete se un qualunque uccello che taglia le strade dell'aria non è un immenso mondo di delizia chiuso dai vostri cinque sensi? - William Blake –
-Di regola le grandi decisioni della vita umana hanno a che fare più con gli istinti che con la volontà cosciente e la ragionevolezza
-Io sono semplicemente convinto che qualche parte del Sè o dell'Anima dell'uomo non sia soggetta alle leggi dello spazio e del tempo
-La vostra visione diventerà chiara solo quando guarderete nel vostro cuore. Chi guarda all'esterno, sogna. Chi guarda all'interno, apre gli occhi
-Poiche' l'europeo non conosce il proprio inconscio, non capisce l'Oriente e vi proietta tutto cio' che teme e disprezza in se stesso
(C.G.Jung )
Ammiro chi resiste.Chi ha fatto del dolore carne,sudore,sangue.Ed ha dimostrato senza Troppe storie,che è possibile vivere,e vivere in piedi ,anche nei momenti peggiori
(Luis Sepùlveda)
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Hathor
Utente Master
6213 Posts
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Posted - 03 August 2008 : 08:53:03
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Trovati i "Misteri di sabbia"! Questo è il link:
http://www.leperledelcuore.it/scripts/forum/search.asp?mode=DoIt
Stavano nella sezione "Mistero e leggende", ma la discussione è stata chiusa e archiviata. Penso sia successo perchè l'ultimo post era di novembre 07.
Chiedi lumi a Lestat o ad Alis.
P.S. Mi sa che da grande farò l'archeologa! Con il "recupero post scomparsi" me la cavo già benissimo...
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