Discussione di partenza |
dolcesogno |
Inviata - 08 October 2013 : 05:38:48 Si racconta che secoli e secoli fa esistesse un gentile e onesto artigiano di nome Cuauhtémoc: egli abitava nei pressi del villaggio di Capachica, sulle rive del vasto e millenario lago Titicaca. Il suo animo era grande e generoso, nobile e modesto; il suo cuore era umile e volenteroso, benedetto dagli déi che lui tanto amava. Lavorava mestamente ogni giorno, onorando con il sudore della fronte quell'innegabile talento che gli spiriti avevano saputo donargli attraverso l’abilità insita nelle sue mani: creava instancabilmente ariballoi dalla delicata fattura, gioielli decorati e damaschinati in piombo, rame e stagno; realizzava meravigliosi strumenti musicali e flauti sofisticati, per celebrare in armonia persino la potente gloria divina. Cuauhtémoc era devoto al suo lavoro quanto ad un unico amore, Itzayana, sua carissima sposa: non passava istante che non vivesse dei suoi sorrisi, larghi come spicchi di luna; non passava momento che non si sentisse rapito dal profumo pungente e fiorito dei suoi lunghi capelli lucidi e scuri, ogni volta che gli si sedeva accanto per dividere con lui un po’ della squisita chica morada che lei soleva preparare ogni pomeriggio. L’abile artigiano si sentiva realizzato e felice ogni istante che poteva stringerla a se e sentirla parte della sua stessa anima, vita della sua stessa vita. Un giorno però la dolce Itzayana si ammalò: non ebbe inizialmente più forza di camminare, poi non ebbe più energia per parlare; non riuscì più a preparare quella deliziosa bevanda al mais nero che Cuauhtémoc tanto bramava. Finì per non illuminare più la notte dell'artigiano con grandi sorrisi di luna: lentamente si spense, chiudendo gli occhi per sempre. E all'uomo, ormai solo, parve di non avere più un senso nel mondo: osservava la sua pallida sposa avvolta nella delicata anacu turchese, stretta in vita da una cintura variopinta, non riuscendo in alcun modo a darsi pace. Invocò così il grande Viracocha, signore di tutti gli dèi, perché lo ascoltasse e riportasse in vita il suo unico amore; gridò alle nuvole tutta la sua disperazione e il suo dolore, ma il cielo restò muto e Cuauhtémoc pensò con rabbia che la devozione di una vita non fosse servita a nulla. Caricò dunque il corpo della sua sposa su una modesta barca di legno e, rassegnato, pensò di dirigersi verso l’isola di Amantanì: decise che là, all'alba, le avrebbe dato degna sepoltura. In preda al dolore e alla sofferenza, pensò però che non avrebbe mai lasciato sola la bella Itzayana: <Se tu non puoi tornare da me> le sussurrò tra le lacrime <Allora resterò io con te per sempre> E così dicendo, passò tutta la notte ad intagliare un fresco ciocco di legno verde, scalpellandolo con tutto l’amore che aveva in corpo e donandogli una graziosa forma di cuore. Prima di richiudere la tomba, sotto il tocco dorato dei primi raggi di sole, posò dunque quel tenero pensiero sul petto della donna: fu il suo ultimo e solenne saluto. Questo è il mio cuore, amore mio. Un giorno ti raggiungerò e allora questo legno non sarà più un mero chirimuya; non sarà più un freddo seme. Questa modesta scultura palpiterà a nuova vita e il mio petto vivrà eternamente nel tuo> le sussurrò Cuauhtémoc bagnandola con caldissime lacrime, prima di terminare il rito e tornare al villaggio. E ogni giorno, per anni, l’uomo non mancò di farle visita: remò avanti e indietro dall'isola anche quando invecchiò e le forze lo abbandonarono; anche quando pareva aver perso la fede e la speranza che il cielo lo ascoltasse, lo consolasse e lo salvasse. Fu così anche durante quel dorato tramonto, quando il buon Cuauhtémoc chiuse gli occhi per l’ultima volta, piegato sul sepolcro della sua amata Itzayana. Eppure un amore così grande non poteva restare nascosto per sempre. Il signore degli déi, Viracocha, squarciò in quel momento le nubi e posò lo sguardo sull'uomo ormai privo di vita; soffiò commosso sul sepolcro e radunò il forte Inti e l’argentea Mama Quilla, rispettivamente signori del sole e della luna. Pregarono la madre terra Pachamama di accogliere la loro supplica e così, con la benedizione dell’alito divino, gli déi fecero sì che i due amanti potessero risorgere a nuova vita: sul sepolcro crebbe vigoroso un piccolo arbusto che si fece nel tempo albero, simbolo eterno del fecondo amore di Cuauhtémoc e Itzayana. Ora quel cuore di legno verde non giaceva più sterile e freddo in una tomba, ma adornava a grappoli le belle braccia della pianta: fu chiamato Cherimoya, frutto cremoso e succoso; amabile e avvolgente come un bacio d’eterno amore.
"La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare." |
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Nives |
Inviata - 09 October 2013 : 21:53:50 Una storia molto bella dolcesogno
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Carla |
Inviata - 08 October 2013 : 07:06:41 Molto bella e romantica storia dolcesogno
QUANDO PENSERAI CHE L'OSCURITA' ABBIA PRESO IL SOPRAVVENTO.. T'ACCORGERAI CHE SONO LI AD ILLUMINARE LE TUE NOTTI! LUNA 31 |
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