Verso la fine del XIX secolo, un intellettuale russo, il conte A. A. Bobrinskoj, stava esaminando i tumuli funerari vicino a Smela in Ucraina, quando compì una scoperta sorprendente. Le tombe che riportò alla luce contenevano una gran varietà di armi, ma Bobrinskoj, uno dei primi archeologi a interessarsi seriamente ai reperti ossei, si rese conto che gran parte delle tombe in questione appartenevano in verità a delle donne. La prima di tali tombe «amazzoni», come le chiamò l’esperto, risale al quarto secolo a.C., ed è tipica del gruppo. In una fossa, coperti da una struttura di legno e da un cumulo di terra (kurgan), vi erano due scheletri.
Il primo, evidentemente l’individuo più importante, era di sesso femminile ed era orientato accuratamente in direzione est–ovest, mentre, orizzontale, ai suoi piedi, vi era un secondo scheletro, probabilmente maschile. Gli oggetti di valore erano ammassati per la quasi totalità attorno alla parte superiore dello scheletro femminile, che indossava grandi orecchini d’argento, una collana di perle di osso e di vetro, e un braccialetto di bronzo.
Attorno a esso erano disposti utensili domestici, inclusi ceramiche, uno specchio di bronzo, un fuso d’argilla, offerte di cibo, e alcuni coltelli da tavola. Oltre a ciò vi erano: due enormi punte di lancia fatte di ferro, una della lunghezza di quasi sessanta centimetri, pietre (forse da fionda), i resti di una faretra di legno e di pelle (un astuccio atto a contenere frecce per archi), vivacemente decorata, contenente due pugnali di ferro e quarantasette punte di freccia di bronzo.
Intorno ai piedi della donna non vi era invece nessun arma. Dai tempi di Bobrinskoj, gli archeologi russi e ucraini hanno scoperto decine di altre tombe amazzoni. Quasi sorprendente quanto i loro contenuti è la disposizione geografica dei sepolcri: dall’Ucraina meridionale, attraverso le steppe della Russia meridionale fino a Pokrovka, in prossimità del confine col Kazakistan, a milleseicento chilometri di distanza.
A Pokrovka, Jeannine Davis–Kimball, l’archeologa americana scoprì alla fine del XX secolo, grazie alle sue numerose ricerche sul territorio Eurasiatico prove materiali dell'esistenza di donne a lungo favoleggiate e vissute durante l'Età del Bronzo. Le loro tracce, disseminate da un capo all'altro le vie della seta, dal nord del Mar Nero al bacino del Tarim, da Pazyryk allo Xinjiang, rivelano i legami poco conosciuti tra i nomadi dell'Eurasia e le civiltà dell'Europa Antica, in particolare quelle greco–romane, celtiche e vichinghe. Negli scavi effettuati nel 1992 con i colleghi russi scoprendo più di cinquanta (kurgan) o tumuli funerari, datati dal 600 a.C., fino al secondo secolo d.C., ogni Kurgan conteneva originariamente una sola tomba, ma era stato usato ripetutamente nei secoli, forse dalla stessa famiglia, arrivando a contenere addirittura venticinque corpi.