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dolcesogno
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Posted - 07 December 2008 : 00:42:12
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La casa delle Favole
L' Autunno, quel mattino, era assai indaffarato nei preparativi della festa in onore dell'arrivo dell'Inverno suo amico. Soffiava via col suo fresco respiro gli ultimi pensieri sfrenati... turbinosi, per lasciar posto a paesaggi d'anima pacati... silenziosi, fatti di pochi colori... di suoni appena accennati... sotto lo sguardo di nubi sfuggenti... di un sole invecchiato, che camminava lento nel cielo appoggiandosi sui suoi deboli raggi... Quel mattino, dicevo, da un nido posato sulle braccia stanche di una vecchia quercia che cresceva al limitaredel bosco, un passero infreddolito si soffermò ad ascoltare un brusio di vite, un insolito rumore, provenire da un ciuffo di sterpi e d'erba ingiallita, poco distante dalla sua casetta sotto il cielo.
Incuriosito, scese dal ramo e saltellando silenzioso, s'addentrò in quel cespuglio. Grandi pruni spinosi si chiudevano sopra quel sentiero a formare quasi un altro bosco, dove la luce filtrava appena, e dove, a lui che era così piccino, tutto apparve così grande, che il sassolino diventò montagna ed una goccia d'acqua lago.
Fra gli steli d'erba, lo zufolare del vento si fondeva a quel brusio, che crebbe a poco a poco, fino a che il passero riconobbe in esso delle voci... o almeno così gli parve, ed il suo piccolo cuore cominciò a battere veloce. Strane creature sparivano veloci ad ogni bivio, tuffandosi nel fitto di quel bosco, ma lui non si fermò e continuò per quel sentiero che cominciava ad arrampicarsi, a salire verso il cielo... Era così intento ad ascoltare ogni rumore, ad afferrare con lo sguardo i mille color delicati di quel luogo avvolto di magia, che quasi non s'accorse che stava nevicando. A poco a poco tutto il muschio che cresceva ai lati di quella stradina si coprì di un soffice manto candido. Allora, e solo allora, si fermò per guardarsi indietro... ma il sentiero sembrava finire alle sue spalle... era come se la realtà fosse svanita dietro di lui... Ricordo che sentii una lieve paura scuoterlo appena... ma, dopo un istante, riprese a saltellare... Aveva varcato l'Azzurra Porta d'Autunno... ora esisteva soltanto l'attimo... scandito unicamente dal suo frullar d'ali e dai battiti d'amore del suo cuore.
D'improvviso, vide aprirsi avanti a sè una radura, dove la luce sembrava essere più intensa... ed il freddo che aveva dentro svanì e con esso anche la stanchezza per il lungo camminare. Nell'aria c'era un'agre fragranza di legna bruciata, un insolito tepore e, come per incanto, si trovò di fronte una casetta che sembrava essere apparsa dal nulla... e di nulla essere fatta... coperta da un sottile velo di neve candida, che rendeva più tenui i suoi colori, che mangiava pigramente i rumori che giungevano dall'interno e da quel bosco. Era così piccola che l'uccellino si chiese chi ci vivesse dentro e, per un istante, pensò ad un gioco caduto dalle mani di un bimbo... ma un roseo bagliore uscì dalle finestrelle e un filo di fumo sfuggì dal camino... Si accorse che anche il cielo sopra di lui era cambiato... e un po' d'azzurro scendeva a dipingere quel quadro... Sembrerà strano, ma non si chiese altro, e restò incantato a guardare quel sogno... poi, si avvicinò a quella casetta di legno, che era poco più alta di lui e cominciò a guardare attraverso i vetri, per vedere chi l'abitasse.
Dall'interno giungevano suoni, parole, quasi melodie, che l'uccellino non riuscì subito a capire... e, sulle prime, all'interno vide soltanto un fuoco acceso che brillava intenso... poi, finalmente, sedute avanti al fuoco, vide due creature tutte intente a ritagliare delle lamine colorate. Guardò allora se c'era qualcun altro, ma non vide nessuno oltre loro. Saltellò sulla finestrella accanto e, finalmente, vide in volto quelle strane creature. Un'espressione di immensa gioia illuminava i loro visi. Sembrava stessero giocando al gioco più bello del mondo... e in fondo, non si stava sbagliando... era vero ! Ma non lo capì subito. Li udì pronunciare parole che gli sembrarono senza senso... e li sentì ridere e cantare... erano il sogno più bello che avesse mai fatto, e per la prima volta nella vita, si sentì felice senza un perché... gli bastò guardarli, sentire il loro amore riempire ogni spazio di quella casa. D'improvviso, la creatura delle due, che indossava un cappellino rosso, scoppiò in un'esclamazione di stupore e l'altra le sorrise e l'abbraccio dicendo: "E' stupenda... sarà il nostro regalo di Natale" .
Su alcuni scaffali, illuminati dalla fioca luce di qualche candela colorata, c'erano accatastate tante foglie dalle forme più diverse... alcune erano grandi e palmate, altre lunghe e ovali, altre a forma di cuore... Quelle creature le prendevano e ritagliandole, formavano delle lettere... l'uccellino riconobbe una grande A ricavata da una foglia di pioppo e tanti punti esclamativi fatti con aghi di pino. Continuava a non capire... ma poi, d'un tratto, vide le due creature gettare fra le fiamme grosse manciate di quelle lettere appena ritagliate... e, come per magia, le spire di fumo divennero parole e salirono su per il camino e uscirono dal comignolo di quella casetta, accompagnate dal canto più dolce che avesse mai udito. Poi, dopo un ultimo indugio, volarono nel cielo... e finalmente il passerotto capì, quando tutto quell'azzurro sopra di lui divenne la favola più bella che avesse mai letto. Ricordo ancora, che non nascose quella lacrima di gioia che gli sfuggì dal cuore, mentre all'interno di quella piccola immensa casa, le due creature avevano ricominciato con pazienza a ritagliare nuove foglie, cantando e ridendo felici.
L'uccellino non poteva sapere che a lui, sì, proprio a lui era stato concesso di sapere dove nascevano le favole e le poesie più belle, di conoscere quel luogo che non esiste, se non nei pensieri delle creature più pure, se non nell'anima delle cose più semplici, più vicine al cuore. E, dalla Casa delle Favole, costruita in quel luogo distante da ogni realtà del mondo, non volle più tornare al suo nido e restò lì accanto, portando lui stesso, ogni giorno, nuove foglie sull'uscio di quella dimora per poter essere anche lui un poeta.
"La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare." |
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dolcesogno
Utente Master
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Posted - 07 December 2008 : 01:01:28
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Le dodici Fate
Una volta, raccontano, sul monte Ineu vivevano dodici fate. La cittadella entro cui vivevano era tutta d'ambra; le porte avevano stipiti d'oro e d'argento ed erano adorne di belle sculture. Le fate erano così belle, che chiunque le guardasse in viso diventava folle d'amore e vagava sulle loro tracce finchè non era completamente fuori di sè. La loro signora, la principessa delle fate, non aveva pari: la sua voce era così dolce e incantevole, che i pastori, quando guidavano le greggi alle falde del monte e le udivano cantare nelle sere di luna piena, rimanevano ammaliati e non potevano più dormire la notte. Da quelle parti abitava anche un cacciatore, giovane ma molto famoso, di nome Valer. Questi fece una scomessa con altri giovani, vantandosi d'essere in grado di rapire la principessa delle fate e farla moglie. Ma il suo desiderio restava un semplice desiderio, perchè le fate erano custodite da due giganti, ciascuno dei quali aveva un solo occhio sulla fronte; erano brutti e deformi entrambi, ma abbastanza forti per rompere il tronco d'un albero senza sforzarsi troppo. Giorno e notte facevano la guardia intorno alla cittadella, a turno, e ogni essere umano era minacciato di morte, qualora avesse osato accostarsi alle mura. Le dodici fate rapivano dai villaggi vicini dodici giovanotti ogni anno e danzavano con loro per tutta la notte, fino al primo canto del gallo. Quando erano esauste per la danza, arrivavano i giganti, con l'ordine di scagliare i giovanotti oltre le mura della cittadella, affinchè dei loro corpi restasse solo qualche brano. Alcuni, i più fortunati, ne uscivano sciancati, con la spina dorsale rotta e variamente mutilati, tanto che suscitavano pietà e commiserazione. Valer, visto come andavano le cose, decise di stare in agguato, finchè i giganti dal petto taurino non fossero colpiti dalla punta avvelenata delle sue frecce. E questa occasione non tardò a presentarsi. Un giorno di calda estate, le fate erano uscite per bagnarsi nelle acque del lago Lala e i due giganti ricevettero l'ordine di vigilare fuori dalle mura della cittadella; così non le avrebbero viste mentre giocavano e sguazzavano nude nelle onde. Valer non esitò. Si appressò alla cittadella più che potè, fermandosi ad ogni passo dietro un tronco di un albero per non farsi vedere; quandi pensò che fosse il momento opportuno, incoccò una freccia aguzza, con la punta d'acciaio, e saettò il gigante di destra nel bel mezzo del petto. Il dardo penetrò direttamente nel cuore, sicchè il gigante, senza poter dire nè ai nè bai, rovinò a terra in un lago di sangue. Adattò un'altra freccia alla corda dell'arco e scoccò pure questa nel petto del secondo gigante. Ebbe identica fortuna e uccise anche quello. Se non li avesse centrati giusto nel cuore, guai a lui: lo avrebbero soffocato come una cornacchia appena nata. Poi entrò nella cittadella e dalla riva del lago spiò le fate che si bagnavano, con gli occho sgranati per la loro bellezza; poi, di soppiatto, veloce come un fulmine, rubò la veste della pricipesa. Le altre fate, accortesi del pericolo, si trasformarono in colombe e spiccarono il volo verso occidente; rimase lì soltanto la principessa, la quale non cessava di implorare Valer che le restituisse le vesti, promettendogli in cambio tesori e beni di grande valore. Ma lui non la ascoltava neppure. Non gli importava nulla nè della sua preghiera nè delle sue lacrime e della sua angoscia e non rispondeva a nessuna domanda. Così gli avevano insegnato le vecchie del villaggio, esperte di magia: non bisogna parlare con le fate nè restituire loro le vesti, se le si vuole privare del potere di nuocere. Visto che col giovane non c'era da scherzare, la fata alla fine si calmò. Sembrava che si fosse abituata a vivere con lui, tanto più che Valer era un ragazzo molto bello e bravo, la aiutava, faceva di tutto per lei, le portava selvaggina fresca, le dava una mano a cucinare; soltanto, non parlava e non mostrava il luogo in cui aveva nascosto la veste incantata. Provvide lui a confezionarle altre vesti graziose; ma con quelle essa non poteva stregare a nessuno, perchè non avevano nessun potere magico. Così passarono i giorni, le settimane, i mesi. Dopo nove mesi, la pricipessa delle fate diede alla luce un bimbo dai capelli d'oro, bello come un sogno. Valer era molto felice; e sembrava felice anche lei, quando vedeva cinguettare quella creaturina leggiadra che le assomigliava perfettamente nel viso e in tutta la figura. Tuttavia a volte veniva improvvisamente colta da una grande tristezza, da una gran pena; allora cominciava a cantare finchè valli e monti risonavano del suo canto. Quando cantava con più ardore, venivano le undici colombe, le sue sorelle, a posarsi sulle mura della cittadella; la principessa di un tempo usciva a mostrar loro il bambino, dentro una cuna d'abete. Esse lo osservavano a lungo, come se si tratasse di un'apparizione, poi scuotevano il capo e ripartivano verso li loro paese. Una sera Valer tornò a casa più stanco del solito. Era corso dietro ad alcune capre nere ed era riuscito a colpirne una sola, mentre le altre si erano dileguate all'ombra delle rupi montane. Andò a coricarsi subito, dimenticando di cingersi per bene alla vita la veste della fata, che portava addosso notte e dì affinchè lei non gliela rubasse. La principessa delle fate, vedendo ai fianchi di Valer la veste dal magico potere, trasalì. Le rinacque nell’anima il desiderio di andarsene nel mondo dell’isola marina, dai genitori e dalle sorelle che la aspettavano, a vivere nel fasto e nello sfarzo, perché suo padre era il re del mare. Lo accarezzò e si diede da fare, finchè riuscì a svolgere la veste e ad indossarla. Adesso era potente. Poteva ucciderlo con un solo cenno; ma il bimbo le sorrideva nel sonno, così dolcemente che essa perdonò Valer per tutto il male che le aveva fatto. Gli lasciò un biglietto: "Ti lascio il bimbo e la vita. Vado dai miei genitori. Non potrai ritrovarmi, mai più. Con la mia paretenza, la cittadella sprofonda nelle tenebre. Fatti una capanna o trova una grotta, e rifugiatevi là dentro. Quando avrò nostalgia del bimbo, verrò a vedervi."La cittadella fu inghiottita dalla terra, e fu come se non fosse mai esistita. La principessa delle fate si trasformò in una colomba e si diresse in volo verso il paese dei suoi genitori. Il povero Valer, destandosi il giorno seguente sulla riva del lago Lala con il bambino accanto a sé, rimase atterrito. Lesse il biglietto e si percosse la fronte col palmo della mano, rimproverandosi di non aver bruciato la veste di lei, per impedirle di abbandonarlo. Cercò una grotta come rifugio per il bambino e gli approntò un lettuccio fatto di morbide pelli di animali. Trovò poi una capretta e la portò nella grotta col suo caprettino, affinchè allattasse, oltre al suo piccolo, anche il bambino. I due piccoli poppavano quindi l’uno accanto all’altro e Valer correva tutto il giorno per procurare il cibo alla mite capretta. I giorni passavano gli uni dopo gli altri, ma la pena del cacciatore era sempre infinita. Non aveva voglia di dormire né di mangiare e la sua anima era colma di amarezza. Aveva nostalgia della sua sposa. Ma non era ancora trascorso un mese, che la principessa delle fate capitò da lui e gli disse:"Da oggi puoi parlare con me. La nostalgia del mio bimbo mi ha piegata e mi ha indotto a lasciare i miei genitori. A partire da oggi resterò sempre accanto a voi".Valer cadde in ginocchio e le baciò la mano ringraziandola. Con le pietre preziose che essa aveva portate costruirono un bellissimo castello, dove vissero fino alla tarda vecchiaia, nella felicità e nell’amore perfetto. Le undici colombe venivano una volta all’anno, portando regali al bambino e lettere del padre a lei; il bambino cantava belle canzoni, perché aveva ereditato dalla mamma il dono del canto.
"La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare." |
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poesia
Utente Master
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Posted - 28 March 2009 : 11:43:53
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Il sorriso di mia madre.
Un bimbo un giorno raccontò: "Mentre stavo con gli amici a giocare in paradiso un angioletto all'improvviso arrivò e disse così." Svelti andiamo presto su vuol parlarvi il buon Gesù. Noi felici lo seguimmo; ci batteva il cuoricino forte forte a ogni bambino, chi sarà che questa volta uscirà da quella porta?
Lui era là che ci aspettava sorridendo ci osservava poi silenzio e lui parlò: " HO miei piccoli angioletti voglio solo dirvi che, una mamma sulla terra sta aspettando il suo bebé. Con un gesto della mano quella porta si aprì piano, Vidi un ombra una gran luce,poi pian piano apparve un viso com'è dolce il suo sorriso! Gridai forte, quanto è bella io per mamma voglio quella!
Ti prego buon Gesù questa volta sulla terra manda solo me laggiù, io l'ho scelta... è la mia mamma! Lui un po triste mi guardò poi sorrise e sospirò... ebbene sia, presto vai quella è la via. IO la porta attraversai un istante mi voltai, li lasciavo il buon Gesù, i miei amici, il paradiso, ma poi penso alla mia mamma e rivedo il suo sorriso, son felice e son deciso lei per me... è il paradiso.
Giuliana Marinetti
(dedicata hai bambini)
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