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Discussione di partenza
Carla Inviata - 14 April 2016 : 14:25:01
La leggenda di Eco e Narciso

Nell'antica Grecia, in un giorno lontanissimo, Cefiso, il dio delle acque, rapì la ninfa Liriope. Si amarono teneramente e dalla loro unione nacque un figlio che fu chiamato Narciso. Gli anni passarono e Narciso divenne un ragazzo meraviglioso. Liriope volle salvaguardare la bellezza del giovinetto; si recò perciò dall'astrologo Tiresia che, dopo aver consultato l'oracolo, le disse:
- Narciso vivrà molto a lungo e la sua bellezza non si offuscherà. Ma il giovinetto non dovrà più vedere il suo volto.
La profezia di Tiresia si avverò: Narciso restò per sempre adolescente, mantenendo intatta la sua bellezza che svegliava i più teneri sentimenti nelle ninfe che l'avvicinavano.
Ma lo splendido ragazzo sfuggiva il mondo e l'amore e preferiva trascorrere il tempo passeggiando da solo nelle foreste sul suo cavallo oppure andando a caccia di animali selvatici.
Un giorno, mentre cacciava, sentì rimbalzare tra le gole della montagna una voce che si esprimeva in canti e risate. Era Eco, la più incantevole e spensierata ninfa della montagna che, al solo vederlo, s'innamorò perdutamente di lui. Ma Narciso era tanto fiero e superbo della propria bellezza, che gli pareva cosa di troppo poco conto occuparsi di una semplice ninfa. Non così era per Eco che da quel giorno seguì il giovinetto ovunque andasse, accontentandosi di guardarlo da lontano. L'amore e il dolore la consumarono: a poco a poco il sangue le si sciolse nelle vene, il viso le divenne bianco come neve e, in breve, il corpo della splendida fanciulla divenne trasparente al punto che non proiettava più ombra sul suolo.
Affranta dal dolore si rinchiuse in una caverna profonda ai piedi della montagna, dove Narciso era solito andare a cacciare. E lì con la sua bella voce armoniosa continuò a invocare per giorni e notti il suo amato. Inutilmente perché Narciso, che pur udiva l'angoscioso richiamo, non venne mai.
Della ninfa rimasero solo le ossa e la voce. Le ossa presero la forma stessa della cava roccia ove il suo corpo era rannicchiato e la voce visse eterna nella montagna solitaria. Da allora essa risponde accorata ai viandanti che chiamano. Ma è fioca e lontana e ripete perciò solo l'ultima sillaba delle loro parole: ha perduto la sua forza invocando Narciso, il crudele cacciatore che non volle ascoltarla.
Narciso non ne fu affatto addolorato e continuò la sua vita appartata. Fu allora che intervennero gli dei per punire tanta ingratitudine.
Un giorno, mentre il superbo giovinetto si bagnava in un fiume, vide per la prima volta riflessa nell'acqua limpida l'immagine del suo viso. Se ne innamorò perdutamente e per questa ragione tornava di continuo sulle rive del fiume ad ammirare quella fredda figura. Ma ogni volta che tendeva la mano nel tentativo di afferrarla, la superficie dell'acqua s'increspava, ondeggiava e l'immagine spariva.
Una mattina, per vederla meglio, si sporse di più e di più finché perse l'equilibrio cadendo nelle acque, che si rinchiusero per sempre sopra di lui. Il suo corpo fu trasformato in un fiore di colore giallo dall'intenso profumo, che prese il nome di Narciso.






La vita è un eterno
Restare in bilico sul tetto del mondo.
Ci sarà sempre chi cercherà di farti cadere...
Non importa, nonostante le ferite
Rialzati sempre e mantieni il tuo equilibrio!
Carla
Ultime risposte: 7  (ordine cronologico inverso)
Carla Inviata - 07 November 2020 : 10:20:42




La favola della Melograna

Tanto tempo fa nel regno di Fruttamatura c’era un re che decise di voler indossare una corona realizzata solo con la frutta, invece della solita, fatta d'oro e pietre preziose. Fu così che emanò un bando promettendo un grosso premio a chi avesse realizzato con i frutti della sua terra la corona più bella! La notizia si sparse in tutto il regno e ci fu subito un gran daffare. I proprietari di terreni vicini al bosco raccolsero i mirtilli dal blu più brillante, le fragoline e i lamponi che sembravano rubini. Chi possedeva un vigneto scelse i grappoli d’uva che rilucevano come oro. Solo i più poveri che avevano solo pochi alberi da frutta così malandati da produrre solo mele o pere buone per i maiali, non potevano fare nulla! Fra loro c’era Carolina, una bambina talmente gracile e pallida da essere chiamata dai vicini EsseVi, “Senza-vitamine”, perché non mangiava mai frutta e verdura. A parte un misero campo di grano e tre alberi di mele con frutti piccoli e duri come la corteccia, Carolin a non possedeva nulla ma capiva il linguaggio dei vegetali, dono della Fata sua madrina. Era questo il motivo per cui non mangiava la frutta! Le mele, piccole e anemiche, unico prodotto vitaminico nel suo campo, le erano riconoscenti di poter rimanere sui rami a far compagnia agli uccelli.
I frutti, venuti a conoscenza del bando, decisero di aiutarla. Affidarono ad un uccellino una richiesta d’aiuto alla Fata che non tardò a compiere una magia.
Al tramonto, quando Carolina andò nel campo si accorse che ai piedi dell’albero più vecchio c'era una palla di un bel color ocra con sfumature rossastre che aveva una coroncina sulla cima.
Ma Carolina rimase ancora più stupita quando quella strana cosa parlò. “Sono un frutto e mi chiamo Melagrana. Se segui i miei consigli sarai tu a realizzare la corona che incanterà il re. Nessuno qui mi conosce. Vengo dalla lontana Persia e con i miei chicchi color rubino porto fertilità, allegria e amore. Il terreno secco del tuo campo è adatto a far crescere delle magnifiche piante e io che ne sono il frutto ti farò regina”.
“Ora prendi un coltellino” disse la Melagrana. “Per prima cosa dovrai tagliare la coroncina che mi decora il capo, poi inciderai la mia buccia in tanti spicchi. All'interno troverai 600 chicchi, simili a perle color granata che spargerai nel tuo campo appena la luna sarà alta nel cielo”.
Carolina tolse dalla tasca il piccolo coltello che le serviva a strappar le erbacce rigogliose di quel pezzetto di terra che le apparteneva e si affrettò ad ubbidire. Per un attimo rimase interdetta quando, tolta la coroncina, due gocce rosse come sangue le bagnarono le dita. La Melagrana non parlava più ma lei seppe cosa fare. Si bagnò le labbra con il succo e baciò il frutto prima di dividerlo a spicchi. Poi sparse i chicchi nel campo e quando li vide risplendere illuminati dalla luna seppe che non stava sognando.

Carolina il mattino dopo non poteva credere ai suoi occhi, quello non poteva essere che un sogno: il campo era colmo di frutti maturi che le chiedevano solo di essere raccolti e aperti! Subito si mise al lavoro incidendo la buccia con il suo piccolo coltellino. Ogni frutto così inciso liberava un gran numero di chicchi sfavillanti come rubini che cantando una nenia dolcissima si andavano ad unire alle foglie ed ai rametti delle piante formando un meraviglioso lievissimo tessuto. Carolina però non sapeva come realizzare la corona per il re e si rivolse a Melagrana, magicamente ricomparsa integra sull'albero.
“Mia cara, per consegnare la corona al re dovrai essere meravigliosa, liberati dunque dei poveri abiti che indossi e fatti vestire dall'incanto della natura”.
Carolina timidamente si avvolse nel prezioso tessuto che divenne un magnifico abito e un paio di stupende scarpette.
Era bella Carolina col vestito magico che brillava ad ogni movenza! I chicchi rossi, trattenendo i raggi del sole, riflettevano la luce avvolgendola in un alone magico.
Melagrana pensò subito all'espressione di meraviglia che si sarebbe manifestata sul viso del figlio del Re, il giovanissimo principe Benvenuto. Il giovane sarebbe rimasto incantato al primo sguardo, ne era sicura. Detto questo Melagrana svanì. Al suo posto comparve la Fata che suggerì alla fanciulla di darsi da fare per scegliere il frutto più grande da cui ricavare la più straordinaria corona che fosse mai apparsa nel mondo. Carolina stando ben attenta a non rovinarsi il vestito che l'avvolgeva in una luce dai riflessi rosati raccolse la più tonda e panciuta delle melagrane. Col coltellino separò la corona del frutto a cui aggiunse i fili d'argento offerti da un ragno che tesseva la sua tela e spargendo una manciata di chicchi rossi impreziosì l'opera. Chiamò poi gli uccellini perché donassero le piume per farne un cuscino su cui adagiare la corona. E si avviò verso il castello. Quando apparve Carolina tutti gli abitanti del reame fecero all'improvviso uno sbigottito silenzio. Tutti si chiedevano chi fosse quella splendida fanciulla che avanzava con una magnifica corona tempestata di rubini scintillanti. Doveva essere tempestata di veri rubini, per splendere così e non di frutta come richiesto dal loro sovrano! Con il fiato sospeso assistettero quindi all'ingresso di Carolina nella sala del trono dove sedevano il Re, la Regina e il Principe Benvenuto. Carolina si inchinò dinanzi al Re e disse: “Mio Sire la corona che vi offro è composta da chicchi di melagrana, un frutto nato in Oriente, mai visto prima d’ora nel vostro reame. I suoi chicchi, piccoli come perle, splendenti come rubini, portano fertilità,allegria e amore. Se voi sceglierete la mia corona io chiederò soltanto il dono della terra dove per poter coltivare tante piante di questo meraviglioso frutto da donare a tutti”. Il Re fece un sorriso e invitò Carolina a porgergli la corona. Non appena questa gli cinse la testa, tutte le campane del reame suonarono a festa mentre il Principe che si era avvicinato a Carolina le porgeva la mano... chiedendola in sposa.
(Da le storie del bosco di Vis)




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Carla
poesia Inviata - 10 July 2020 : 07:44:24
quote:
Originalmente inviata da Carla

La leggenda di Eco e Narciso

Nell'antica Grecia, in un giorno lontanissimo, Cefiso, il dio delle acque, rapì la ninfa Liriope. Si amarono teneramente e dalla loro unione nacque un figlio che fu chiamato Narciso. Gli anni passarono e Narciso divenne un ragazzo meraviglioso. Liriope volle salvaguardare la bellezza del giovinetto; si recò perciò dall'astrologo Tiresia che, dopo aver consultato l'oracolo, le disse:
- Narciso vivrà molto a lungo e la sua bellezza non si offuscherà. Ma il giovinetto non dovrà più vedere il suo volto.
La profezia di Tiresia si avverò: Narciso restò per sempre adolescente, mantenendo intatta la sua bellezza che svegliava i più teneri sentimenti nelle ninfe che l'avvicinavano.
Ma lo splendido ragazzo sfuggiva il mondo e l'amore e preferiva trascorrere il tempo passeggiando da solo nelle foreste sul suo cavallo oppure andando a caccia di animali selvatici.
Un giorno, mentre cacciava, sentì rimbalzare tra le gole della montagna una voce che si esprimeva in canti e risate. Era Eco, la più incantevole e spensierata ninfa della montagna che, al solo vederlo, s'innamorò perdutamente di lui. Ma Narciso era tanto fiero e superbo della propria bellezza, che gli pareva cosa di troppo poco conto occuparsi di una semplice ninfa. Non così era per Eco che da quel giorno seguì il giovinetto ovunque andasse, accontentandosi di guardarlo da lontano. L'amore e il dolore la consumarono: a poco a poco il sangue le si sciolse nelle vene, il viso le divenne bianco come neve e, in breve, il corpo della splendida fanciulla divenne trasparente al punto che non proiettava più ombra sul suolo.
Affranta dal dolore si rinchiuse in una caverna profonda ai piedi della montagna, dove Narciso era solito andare a cacciare. E lì con la sua bella voce armoniosa continuò a invocare per giorni e notti il suo amato. Inutilmente perché Narciso, che pur udiva l'angoscioso richiamo, non venne mai.
Della ninfa rimasero solo le ossa e la voce. Le ossa presero la forma stessa della cava roccia ove il suo corpo era rannicchiato e la voce visse eterna nella montagna solitaria. Da allora essa risponde accorata ai viandanti che chiamano. Ma è fioca e lontana e ripete perciò solo l'ultima sillaba delle loro parole: ha perduto la sua forza invocando Narciso, il crudele cacciatore che non volle ascoltarla.
Narciso non ne fu affatto addolorato e continuò la sua vita appartata. Fu allora che intervennero gli dei per punire tanta ingratitudine.
Un giorno, mentre il superbo giovinetto si bagnava in un fiume, vide per la prima volta riflessa nell'acqua limpida l'immagine del suo viso. Se ne innamorò perdutamente e per questa ragione tornava di continuo sulle rive del fiume ad ammirare quella fredda figura. Ma ogni volta che tendeva la mano nel tentativo di afferrarla, la superficie dell'acqua s'increspava, ondeggiava e l'immagine spariva.
Una mattina, per vederla meglio, si sporse di più e di più finché perse l'equilibrio cadendo nelle acque, che si rinchiusero per sempre sopra di lui. Il suo corpo fu trasformato in un fiore di colore giallo dall'intenso profumo, che prese il nome di Narciso.






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Semina il tuo sorriso
perché splenda intorno a te!
poesia
poesia Inviata - 10 July 2020 : 07:42:35
complimenti racconti bellissimi brave!!!
un saluto poesia



Semina il tuo sorriso
perché splenda intorno a te!
poesia
nanà Inviata - 14 June 2020 : 15:31:17

Il fiore della passione.



La leggenda della Passiflora




Nei giorni lontani, quando il mondo era tutto nuovo,
la primavera fece balzare dalle tenebre verso la luce tutte le piante della Terra,
e tutte fiorirono come per incanto.

Solo una pianta non udì il richiamo della primavera,
e quando finalmente riuscì a rompere la dura zolla la primavera era già lontana.

- Fa' che anch'io fiorisca, o Signore! - Pregò la piantina.
Tu pure fiorirai - rispose il Signore.
Quando? - chiese con ansia la piccola pianta senza nome.
Un giorno...e l'occhio di Dio si velò di tristezza.

Era ormai passato molto tempo, la primavera anche quell'anno era venuta
e al suo tocco le piante del Golgota avevano aperto i loro fiori.

Tutte le piante, fuorché la piantina senza nome.
Il vento portò l'eco di urla sguaiate, di gemiti, di pianti:
Un uomo avanzava fra la folla urlante, curvo sotto la croce,
aveva il volto sfigurato dal dolore e dal sangue.

Vorrei piangere anch'io come piangono gli uomini - pensò la piantina con un fremito.
Gesù in quel momento le passava accanto,
e una lacrima mista a sangue cadde sulla piantina pietosa.

Subito sbocciò un fiore bizzarro, che portava nella corolla gli strumenti della passione:
Una corona, un martello, dei chiodi... era la passiflora,
il fiore della passione.

(Autore ignoto)
Il fiore della passione.





Il frutto della passione








Se fai qualcosa col cuore, non hai bisogno che qualcuno ti aiuti.



nanà Inviata - 15 January 2018 : 22:40:51

Una leggenda popolare sarda ha come protagonista la quercia.



Tanto tempo fa, quando ancora era cosa comune incontrare per strada il Signore Iddio,
un giorno il diavolo mogio mogio si recò da lui.



Fattosi coraggio, gli rivolse rispettosamente la parola:
“Tu, o Signore, sei il padrone di tutto l’universo,
mentre io, povero diavolo, non posseggo nulla in questo mondo…
Ti prego pertanto di concedermi la potestà su una minima parte del creato.

” E Dio, di rimando: “Cosa desidereresti avere?”
E il diavolo: “Il potere su boschi e foreste!”
E Dio decretò: “Così avvenga.







Il potere su boschi e foreste ti apparterrà quando questi d’inverno saranno senza fogliame.
Tornerà a me, invece, nelle altre stagioni, quando gli alberi saranno coperti di foglie.
” Saputa la notizia dell’avvenuto patto, tutti gli alberi del bosco cominciarono a preoccuparsi,
finchè l’inquietudine si trasformò in agitazione.







Il carpino, il tiglio, il platano, il faggio, l’olmo, l’acero si chiedevano avviliti:
“Cosa possiamo fare? A noi le foglie cadono proprio in autunno”.
Finché al faggio venne l’idea di consultare la quercia, l’albero saggio tra i saggi.

Quando sentì la storia del patto, la quercia rifletté gravemente ed alla fine sentenziò: “Faremo così, cari amici.
Io tenterò di trattenere sui rami le foglie secche, finché a voi non saranno spuntate le nuove!
In tal modo il demonio non potrà avere il dominio su nessuno di noi.
Così avvenne e il diavolo beffato.
Da allora la savia quercia trattiene il fogliame secco per tutto l’inverno,
finché in primavera spuntano le prime foglie verdi.








Se fai qualcosa col cuore, non hai bisogno che qualcuno ti aiuti.

Carla Inviata - 17 December 2017 : 21:33:25
Non la conoscevo nemmeno io Nanà, trovata in web e dato è bella l'ho postata
Le piante sono quasi tutte velenose o urticanti nel lattice che perdono. Anni fà le regalavo pure io o me le auto-regalavo,
ma in casa poi appassiscono, vanno tenute al fresco





La vita è un eterno
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Non importa, nonostante le ferite
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Carla
nanà Inviata - 17 December 2017 : 18:46:52

Non conoscevo la leggenda molto bella...

Molti anni fa, mi capitava spesso di regalarla x Natale....
ma da quando ho scoperto che se strappate le foglie rosse,
il lattice che esce è velenoso sopratutto per i bambini.









Se fai qualcosa col cuore, non hai bisogno che qualcuno ti aiuti.



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