Discussione di partenza |
disattivato |
Inviata - 30 November 2008 : 13:24:47
Ragazzi vorrei fare una raccolta di leggende sul Natale..
ovvero:"La leggenda è un tipo di racconto molto antico, come il mito e la fiaba, e fa parte del patrimonio culturale di tutti i popoli, appartiene alla tradizione orale e nella narrazione mescola il reale al meraviglioso.
La parola "leggenda" deriva dal latino legenda che significa "cose che devono essere lette", "degne di essere lette" e con questo termine, un tempo, si voleva indicare il racconto della vita di un santo e soprattutto il racconto dei suoi miracoli.
In seguito la parola acquistò un significato più esteso e oggi la parola leggenda indica qualsiasi racconto che presenti elementi reali ma trasformati dalla fantasia, tramandato per celebrare fatti o personaggi fondamentali per la storia di un popolo, oppure per spiegare qualche caratteristica dell'ambiente naturale e per dare risposta a dei perché.
Le leggende si rivolgono alla collettività, come i miti e spiegano l'origine di qualche aspetto dell'ambiente, le regole e i modelli da seguire, certi avvenimenti storici, o ritenuti tali, allo scopo di rinsaldare i legami d'appartenenza alla comunità."
Quindi vi andrebbe di farne una raccolta?
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Ultime risposte: 7 (ordine cronologico inverso) |
poesia |
Inviata - 28 March 2009 : 11:43:53
Il sorriso di mia madre.
Un bimbo un giorno raccontò: "Mentre stavo con gli amici a giocare in paradiso un angioletto all'improvviso arrivò e disse così." Svelti andiamo presto su vuol parlarvi il buon Gesù. Noi felici lo seguimmo; ci batteva il cuoricino forte forte a ogni bambino, chi sarà che questa volta uscirà da quella porta?
Lui era là che ci aspettava sorridendo ci osservava poi silenzio e lui parlò: " HO miei piccoli angioletti voglio solo dirvi che, una mamma sulla terra sta aspettando il suo bebé. Con un gesto della mano quella porta si aprì piano, Vidi un ombra una gran luce,poi pian piano apparve un viso com'è dolce il suo sorriso! Gridai forte, quanto è bella io per mamma voglio quella!
Ti prego buon Gesù questa volta sulla terra manda solo me laggiù, io l'ho scelta... è la mia mamma! Lui un po triste mi guardò poi sorrise e sospirò... ebbene sia, presto vai quella è la via. IO la porta attraversai un istante mi voltai, li lasciavo il buon Gesù, i miei amici, il paradiso, ma poi penso alla mia mamma e rivedo il suo sorriso, son felice e son deciso lei per me... è il paradiso.
Giuliana Marinetti
(dedicata hai bambini)
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dolcesogno |
Inviata - 07 December 2008 : 01:01:28 Le dodici Fate
Una volta, raccontano, sul monte Ineu vivevano dodici fate. La cittadella entro cui vivevano era tutta d'ambra; le porte avevano stipiti d'oro e d'argento ed erano adorne di belle sculture. Le fate erano così belle, che chiunque le guardasse in viso diventava folle d'amore e vagava sulle loro tracce finchè non era completamente fuori di sè. La loro signora, la principessa delle fate, non aveva pari: la sua voce era così dolce e incantevole, che i pastori, quando guidavano le greggi alle falde del monte e le udivano cantare nelle sere di luna piena, rimanevano ammaliati e non potevano più dormire la notte. Da quelle parti abitava anche un cacciatore, giovane ma molto famoso, di nome Valer. Questi fece una scomessa con altri giovani, vantandosi d'essere in grado di rapire la principessa delle fate e farla moglie. Ma il suo desiderio restava un semplice desiderio, perchè le fate erano custodite da due giganti, ciascuno dei quali aveva un solo occhio sulla fronte; erano brutti e deformi entrambi, ma abbastanza forti per rompere il tronco d'un albero senza sforzarsi troppo. Giorno e notte facevano la guardia intorno alla cittadella, a turno, e ogni essere umano era minacciato di morte, qualora avesse osato accostarsi alle mura. Le dodici fate rapivano dai villaggi vicini dodici giovanotti ogni anno e danzavano con loro per tutta la notte, fino al primo canto del gallo. Quando erano esauste per la danza, arrivavano i giganti, con l'ordine di scagliare i giovanotti oltre le mura della cittadella, affinchè dei loro corpi restasse solo qualche brano. Alcuni, i più fortunati, ne uscivano sciancati, con la spina dorsale rotta e variamente mutilati, tanto che suscitavano pietà e commiserazione. Valer, visto come andavano le cose, decise di stare in agguato, finchè i giganti dal petto taurino non fossero colpiti dalla punta avvelenata delle sue frecce. E questa occasione non tardò a presentarsi. Un giorno di calda estate, le fate erano uscite per bagnarsi nelle acque del lago Lala e i due giganti ricevettero l'ordine di vigilare fuori dalle mura della cittadella; così non le avrebbero viste mentre giocavano e sguazzavano nude nelle onde. Valer non esitò. Si appressò alla cittadella più che potè, fermandosi ad ogni passo dietro un tronco di un albero per non farsi vedere; quandi pensò che fosse il momento opportuno, incoccò una freccia aguzza, con la punta d'acciaio, e saettò il gigante di destra nel bel mezzo del petto. Il dardo penetrò direttamente nel cuore, sicchè il gigante, senza poter dire nè ai nè bai, rovinò a terra in un lago di sangue. Adattò un'altra freccia alla corda dell'arco e scoccò pure questa nel petto del secondo gigante. Ebbe identica fortuna e uccise anche quello. Se non li avesse centrati giusto nel cuore, guai a lui: lo avrebbero soffocato come una cornacchia appena nata. Poi entrò nella cittadella e dalla riva del lago spiò le fate che si bagnavano, con gli occho sgranati per la loro bellezza; poi, di soppiatto, veloce come un fulmine, rubò la veste della pricipesa. Le altre fate, accortesi del pericolo, si trasformarono in colombe e spiccarono il volo verso occidente; rimase lì soltanto la principessa, la quale non cessava di implorare Valer che le restituisse le vesti, promettendogli in cambio tesori e beni di grande valore. Ma lui non la ascoltava neppure. Non gli importava nulla nè della sua preghiera nè delle sue lacrime e della sua angoscia e non rispondeva a nessuna domanda. Così gli avevano insegnato le vecchie del villaggio, esperte di magia: non bisogna parlare con le fate nè restituire loro le vesti, se le si vuole privare del potere di nuocere. Visto che col giovane non c'era da scherzare, la fata alla fine si calmò. Sembrava che si fosse abituata a vivere con lui, tanto più che Valer era un ragazzo molto bello e bravo, la aiutava, faceva di tutto per lei, le portava selvaggina fresca, le dava una mano a cucinare; soltanto, non parlava e non mostrava il luogo in cui aveva nascosto la veste incantata. Provvide lui a confezionarle altre vesti graziose; ma con quelle essa non poteva stregare a nessuno, perchè non avevano nessun potere magico. Così passarono i giorni, le settimane, i mesi. Dopo nove mesi, la pricipessa delle fate diede alla luce un bimbo dai capelli d'oro, bello come un sogno. Valer era molto felice; e sembrava felice anche lei, quando vedeva cinguettare quella creaturina leggiadra che le assomigliava perfettamente nel viso e in tutta la figura. Tuttavia a volte veniva improvvisamente colta da una grande tristezza, da una gran pena; allora cominciava a cantare finchè valli e monti risonavano del suo canto. Quando cantava con più ardore, venivano le undici colombe, le sue sorelle, a posarsi sulle mura della cittadella; la principessa di un tempo usciva a mostrar loro il bambino, dentro una cuna d'abete. Esse lo osservavano a lungo, come se si tratasse di un'apparizione, poi scuotevano il capo e ripartivano verso li loro paese. Una sera Valer tornò a casa più stanco del solito. Era corso dietro ad alcune capre nere ed era riuscito a colpirne una sola, mentre le altre si erano dileguate all'ombra delle rupi montane. Andò a coricarsi subito, dimenticando di cingersi per bene alla vita la veste della fata, che portava addosso notte e dì affinchè lei non gliela rubasse. La principessa delle fate, vedendo ai fianchi di Valer la veste dal magico potere, trasalì. Le rinacque nell’anima il desiderio di andarsene nel mondo dell’isola marina, dai genitori e dalle sorelle che la aspettavano, a vivere nel fasto e nello sfarzo, perché suo padre era il re del mare. Lo accarezzò e si diede da fare, finchè riuscì a svolgere la veste e ad indossarla. Adesso era potente. Poteva ucciderlo con un solo cenno; ma il bimbo le sorrideva nel sonno, così dolcemente che essa perdonò Valer per tutto il male che le aveva fatto. Gli lasciò un biglietto: "Ti lascio il bimbo e la vita. Vado dai miei genitori. Non potrai ritrovarmi, mai più. Con la mia paretenza, la cittadella sprofonda nelle tenebre. Fatti una capanna o trova una grotta, e rifugiatevi là dentro. Quando avrò nostalgia del bimbo, verrò a vedervi."La cittadella fu inghiottita dalla terra, e fu come se non fosse mai esistita. La principessa delle fate si trasformò in una colomba e si diresse in volo verso il paese dei suoi genitori. Il povero Valer, destandosi il giorno seguente sulla riva del lago Lala con il bambino accanto a sé, rimase atterrito. Lesse il biglietto e si percosse la fronte col palmo della mano, rimproverandosi di non aver bruciato la veste di lei, per impedirle di abbandonarlo. Cercò una grotta come rifugio per il bambino e gli approntò un lettuccio fatto di morbide pelli di animali. Trovò poi una capretta e la portò nella grotta col suo caprettino, affinchè allattasse, oltre al suo piccolo, anche il bambino. I due piccoli poppavano quindi l’uno accanto all’altro e Valer correva tutto il giorno per procurare il cibo alla mite capretta. I giorni passavano gli uni dopo gli altri, ma la pena del cacciatore era sempre infinita. Non aveva voglia di dormire né di mangiare e la sua anima era colma di amarezza. Aveva nostalgia della sua sposa. Ma non era ancora trascorso un mese, che la principessa delle fate capitò da lui e gli disse:"Da oggi puoi parlare con me. La nostalgia del mio bimbo mi ha piegata e mi ha indotto a lasciare i miei genitori. A partire da oggi resterò sempre accanto a voi".Valer cadde in ginocchio e le baciò la mano ringraziandola. Con le pietre preziose che essa aveva portate costruirono un bellissimo castello, dove vissero fino alla tarda vecchiaia, nella felicità e nell’amore perfetto. Le undici colombe venivano una volta all’anno, portando regali al bambino e lettere del padre a lei; il bambino cantava belle canzoni, perché aveva ereditato dalla mamma il dono del canto.
"La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare." |
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Inviata - 07 December 2008 : 00:42:12 La casa delle Favole
L' Autunno, quel mattino, era assai indaffarato nei preparativi della festa in onore dell'arrivo dell'Inverno suo amico. Soffiava via col suo fresco respiro gli ultimi pensieri sfrenati... turbinosi, per lasciar posto a paesaggi d'anima pacati... silenziosi, fatti di pochi colori... di suoni appena accennati... sotto lo sguardo di nubi sfuggenti... di un sole invecchiato, che camminava lento nel cielo appoggiandosi sui suoi deboli raggi... Quel mattino, dicevo, da un nido posato sulle braccia stanche di una vecchia quercia che cresceva al limitaredel bosco, un passero infreddolito si soffermò ad ascoltare un brusio di vite, un insolito rumore, provenire da un ciuffo di sterpi e d'erba ingiallita, poco distante dalla sua casetta sotto il cielo.
Incuriosito, scese dal ramo e saltellando silenzioso, s'addentrò in quel cespuglio. Grandi pruni spinosi si chiudevano sopra quel sentiero a formare quasi un altro bosco, dove la luce filtrava appena, e dove, a lui che era così piccino, tutto apparve così grande, che il sassolino diventò montagna ed una goccia d'acqua lago.
Fra gli steli d'erba, lo zufolare del vento si fondeva a quel brusio, che crebbe a poco a poco, fino a che il passero riconobbe in esso delle voci... o almeno così gli parve, ed il suo piccolo cuore cominciò a battere veloce. Strane creature sparivano veloci ad ogni bivio, tuffandosi nel fitto di quel bosco, ma lui non si fermò e continuò per quel sentiero che cominciava ad arrampicarsi, a salire verso il cielo... Era così intento ad ascoltare ogni rumore, ad afferrare con lo sguardo i mille color delicati di quel luogo avvolto di magia, che quasi non s'accorse che stava nevicando. A poco a poco tutto il muschio che cresceva ai lati di quella stradina si coprì di un soffice manto candido. Allora, e solo allora, si fermò per guardarsi indietro... ma il sentiero sembrava finire alle sue spalle... era come se la realtà fosse svanita dietro di lui... Ricordo che sentii una lieve paura scuoterlo appena... ma, dopo un istante, riprese a saltellare... Aveva varcato l'Azzurra Porta d'Autunno... ora esisteva soltanto l'attimo... scandito unicamente dal suo frullar d'ali e dai battiti d'amore del suo cuore.
D'improvviso, vide aprirsi avanti a sè una radura, dove la luce sembrava essere più intensa... ed il freddo che aveva dentro svanì e con esso anche la stanchezza per il lungo camminare. Nell'aria c'era un'agre fragranza di legna bruciata, un insolito tepore e, come per incanto, si trovò di fronte una casetta che sembrava essere apparsa dal nulla... e di nulla essere fatta... coperta da un sottile velo di neve candida, che rendeva più tenui i suoi colori, che mangiava pigramente i rumori che giungevano dall'interno e da quel bosco. Era così piccola che l'uccellino si chiese chi ci vivesse dentro e, per un istante, pensò ad un gioco caduto dalle mani di un bimbo... ma un roseo bagliore uscì dalle finestrelle e un filo di fumo sfuggì dal camino... Si accorse che anche il cielo sopra di lui era cambiato... e un po' d'azzurro scendeva a dipingere quel quadro... Sembrerà strano, ma non si chiese altro, e restò incantato a guardare quel sogno... poi, si avvicinò a quella casetta di legno, che era poco più alta di lui e cominciò a guardare attraverso i vetri, per vedere chi l'abitasse.
Dall'interno giungevano suoni, parole, quasi melodie, che l'uccellino non riuscì subito a capire... e, sulle prime, all'interno vide soltanto un fuoco acceso che brillava intenso... poi, finalmente, sedute avanti al fuoco, vide due creature tutte intente a ritagliare delle lamine colorate. Guardò allora se c'era qualcun altro, ma non vide nessuno oltre loro. Saltellò sulla finestrella accanto e, finalmente, vide in volto quelle strane creature. Un'espressione di immensa gioia illuminava i loro visi. Sembrava stessero giocando al gioco più bello del mondo... e in fondo, non si stava sbagliando... era vero ! Ma non lo capì subito. Li udì pronunciare parole che gli sembrarono senza senso... e li sentì ridere e cantare... erano il sogno più bello che avesse mai fatto, e per la prima volta nella vita, si sentì felice senza un perché... gli bastò guardarli, sentire il loro amore riempire ogni spazio di quella casa. D'improvviso, la creatura delle due, che indossava un cappellino rosso, scoppiò in un'esclamazione di stupore e l'altra le sorrise e l'abbraccio dicendo: "E' stupenda... sarà il nostro regalo di Natale" .
Su alcuni scaffali, illuminati dalla fioca luce di qualche candela colorata, c'erano accatastate tante foglie dalle forme più diverse... alcune erano grandi e palmate, altre lunghe e ovali, altre a forma di cuore... Quelle creature le prendevano e ritagliandole, formavano delle lettere... l'uccellino riconobbe una grande A ricavata da una foglia di pioppo e tanti punti esclamativi fatti con aghi di pino. Continuava a non capire... ma poi, d'un tratto, vide le due creature gettare fra le fiamme grosse manciate di quelle lettere appena ritagliate... e, come per magia, le spire di fumo divennero parole e salirono su per il camino e uscirono dal comignolo di quella casetta, accompagnate dal canto più dolce che avesse mai udito. Poi, dopo un ultimo indugio, volarono nel cielo... e finalmente il passerotto capì, quando tutto quell'azzurro sopra di lui divenne la favola più bella che avesse mai letto. Ricordo ancora, che non nascose quella lacrima di gioia che gli sfuggì dal cuore, mentre all'interno di quella piccola immensa casa, le due creature avevano ricominciato con pazienza a ritagliare nuove foglie, cantando e ridendo felici.
L'uccellino non poteva sapere che a lui, sì, proprio a lui era stato concesso di sapere dove nascevano le favole e le poesie più belle, di conoscere quel luogo che non esiste, se non nei pensieri delle creature più pure, se non nell'anima delle cose più semplici, più vicine al cuore. E, dalla Casa delle Favole, costruita in quel luogo distante da ogni realtà del mondo, non volle più tornare al suo nido e restò lì accanto, portando lui stesso, ogni giorno, nuove foglie sull'uscio di quella dimora per poter essere anche lui un poeta.
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Inviata - 07 December 2008 : 00:09:48 La grande fiera del giocattolo
In una città con tantissimi bambini era finalmente arrivato l'avvenimento dell'anno: la grande fiera del giocattolo. Natale era infatti alle porte e ogni anno, in questo periodo, la città organizzava la fiera. Era una fiera molto conosciuta: i venditori venivano da tutte le parti del mondo per far conoscere la loro merce. Là vi erano tutti i regali possibili che i genitori potevano fare ai loro bambini per renderli felici. Per l'occasione, un ricco direttore di banca decise di prendere il pomeriggio della vigilia di Natale libero: voleva anche lui visitare la fiera quest'anno! Mentre si avviava, pensava tra sé: <<Questo Natale voglio regalare al mio bambino una cosa molto bella ed interessante. Me lo posso permettere... Ho lavorato sodo tutto l'anno e sono disposto a spendere molto... anzi... tantissimo!>>. Quello stesso pomeriggio anche un giardiniere si recava alla fiera e camminando pensava: <<È stato un anno un po' duro con il mio piccolo stipendio, però sono riuscito ugualmente a risparmiare un pochino... spero di poter comprare qualcosa di carino alla mia bambina>>. Intanto, le loro mogli erano rimaste a casa con i bambini e preparavano il pranzo di Natale. Il bambino del direttore era nella sua cameretta. Nonostante la stanza fosse molto bella e vi fosse un armadio colmo di pupazzi e giocattoli, egli era un po' triste. Pensava infatti al suo papà. Lo vedeva così poco. La sera tornava dal lavoro proprio quando lui doveva andare a letto. Oppure era occupato, perché si portava anche del lavoro a casa. Cercava di consolarsi pensando che domani sarebbe stato Natale e che avrebbe ricevuto altri bei regali. Ma la cosa che più lo rasserenò era che finalmente il papà domani poteva essere a casa con lui tutto il giorno. La bambina del giardiniere invece aiutava serenamente la mamma a preparare il pranzo di Natale. Non aveva molti giocattoli, ma, grazie alla vivacità e alla fantasia dei suoi genitori, non si sentiva mai sola. <<Domani è Natale, chissà che bei giochi faremo tutti insieme!>>, pensava felice. Giunto alla fiera, il banchiere cominciò subito a guardare con occhio critico ogni giocattolo esposto. C'era tutto ciò che un bambino potesse desiderare: dai trenini elettrici alle biciclette, dai pupazzi di peluche ai libri, ecc. Voleva comperare qualcosa di veramente grande per suo figlio, ma soprattutto qualcosa che lo tenesse occupato e al tempo stesso lo divertisse. Era sempre così impegnato e concentrato nel suo lavoro che non gli dedicava molto tempo per giocare insieme. Il giardiniere, arrivato anche lui alla fiera, si guardava in giro con calma. Era solo un po' preoccupato perché sperava di trovare qualcosa che potesse piacere alla sua bambina e che non fosse troppo caro. Anche se sapeva che non avrebbe potuto comprare molto, non si lasciò sfuggire niente. Voleva raccontare e descrivere alla sua bambina ogni cosa vista. Verso sera il direttore ed il giardiniere si incontrarono per caso davanti ad una stanza dove all'ingresso c'era un grande cartellone con la scritta: <<Qui puoi trovare il regalo più bello per tuo figlio>>. Videro entrare molta gente incuriosita, ma quasi tutti uscivano delusi e scontenti. Incuriositi, a loro volta decisero di entrare. Era una grande stanza con le pareti bianchissime, molto illuminata, era quasi vuota e non c'erano giocattoli. In fondo alla stanza c'era soltanto un grande specchio antico appeso al muro e davanti ad esso, seduto ad una scrivania, un vecchio signore con una lunga barba bianca. Egli scriveva ed ogni tanto guardava la gente che entrava e usciva. Il direttore, perplesso e deluso, stava per uscire subito, ma quando vide il giardiniere avvicinarsi al vecchio chiedendogli gentilmente chi fosse, si avvicinò lentamente anche lui. Sentì il vecchio rispondere: <<Sono molto anziano, per tutta la vita ho costruito giocattoli per i bambini del mondo. Ma quest'anno ho portato qualcosa di particolare e prezioso... questo bellissimo specchio antico alle mie spalle>>. Il direttore ed il giardiniere si guardarono in faccia stupiti, poi riguardarono lo specchio. Disorientato e quasi irritato il direttore si girò per andarsene, ma ancora una volta si fermò, perché vide il giardiniere stringere la mano al vecchio e con il volto felice esclamare: <<Ho capito! Ora so cosa regalare alla mia bambina. Non sono più preoccupato... arrivederci e grazie mille>>. Il giardiniere uscì poi felice dalla stanza. Il banchiere, rimasto solo, guardò di nuovo lo specchio e pensò che cosa potesse fare un bambino con uno specchio così antico e fragile. Non osando chiederlo al vecchio, che incuteva molto rispetto, uscì in fretta per cercare di raggiungere il giardiniere. Non appena lo trovò gli chiese subito che cosa mai avesse capito. <<Mi dispiace, non posso dirtelo!>>, rispose il giardiniere. <<Devi arrivarci da solo. Vedrai che un giorno capirai il perché questo possa essere il regalo più bello per tuo figlio!>>. Il giorno di Natale, la figlia del giardiniere aprì il regalo e tutta felice ammirò con gioia le bellissime penne colorate ed i grandi fogli bianchi da disegno che suo padre le aveva comperato alla grande fiera del giocattolo. Si alzò e lo abbracciò: <<Grazie papà, così potremo disegnare insieme tutte le belle cose che hai visto alla fiera>>. <<Non solo, bambina mia>>, disse il padre. <<Potremo disegnare altre cose molto più belle, per esempio la neve... Guarda fuori dalla finestra... sta ancora nevicando! Sai, questa notte, dopo molti anni, ha nevicato tantissimo. E siccome tu non hai ancora visto la neve, più tardi andremo con la mamma a fare una passeggiata tutti insieme e così potrai toccarla e giocare. Potremo lanciarci palle e fare un pupazzo... Vedrai che bello!>>. Anche il figlio del banchiere era contento quel mattino. Stava aprendo un grandissimo pacco ricevuto in regalo. Con sorpresa non finiva più di tirare fuori dal pacco tanti piccoli vagoni di un treno; c'erano anche le rotaie e molte casette che figuravano da stazioni e case di campagna, verde per i prati, per i monti, alberi e siepi, e persino un fiumicello con i suoi ponti. Era molto felice: sicuramente il papà lo avrebbe aiutato a costruirlo... oggi finalmente era tutto il giorno a casa con lui e la mamma. Ma, mentre si avvicinava per abbracciarlo e ringraziarlo, suonò il telefono. Il padre si alzò dalla poltrona e andò a rispondere. Il suo viso si fece serio. Riattaccò e guardando un po' triste la moglie ed il figlio riferì: <<Anche oggi il lavoro mi chiama! Mi dispiace molto, ma domani devo essere a New York per una conferenza importante. Devo partire subito!>>. La moglie non disse nulla. Era abituata. Il bambino invece ci restò male. Il suo viso si fece triste e gli spuntarono due lacrime. Il papà lo notò e cercò di consolarlo: <<Non piangere! Lo sai che ti voglio molto bene. Poi, per il trenino, non occorre proprio che ci sia anch'io! Potrai costruirlo con la mamma...>>. Il bambino si girò e stava per scappare piangendo nella sua stanza, ma inciampò in un pacchetto tutto bianco avvolto con un nastro rosso. Si chinò e seduto sul tappeto cominciò ad aprire il pacco. Era triste e cercò di consolarsi con questo nuovo regalo. I genitori si guardarono perplessi. Quindi il padre chiese: <<Non credevo ci fossero altri regali... Sei stata tu?>>. <<No!>>, rispose la mamma. <<Sono rimasta tutto il giorno a casa a preparare il pranzo. Non so chi possa averlo messo sotto l'albero di Natale!>>. Il padre si avvicinò preoccupato al bambino e al regalo. Voleva sapere da dove provenisse e soprattutto assicurarsi che non contenesse qualcosa di pericoloso. Il bambino intanto aveva aperto delicatamente il pacco e con sorpresa tirò fuori una palla rossa con tanti puntini bianchi, come tanti fiocchi di neve. Il padre guardò il figlio ed il regalo e poi prese la scatola per vedere se c'era qualche bigliettino con il nome di chi lo aveva regalato. Con stupore lo trovò: <<Babbo Natale>>. Chiuse gli occhi pensieroso e subito si ricordò del vecchio con la lunga barba bianca che incuteva tanto rispetto. Poi si ricordò anche dello specchio e delle parole che erano scritte all'ingresso della stanza: <<Qui puoi trovare il regalo più bello per tuo figlio>>. E finalmente capì anche lui e si commosse. Nello specchio aveva visto la sua immagine e si rese conto che lui stesso era il regalo più bello per suo figlio! Questo il giardiniere l'aveva capito subito! Abbracciò il bambino e piangendo di felicità esclamò: <<Oggi non parto. Rimaniamo insieme... Oggi sei tu più importante del mio lavoro. Dai che usciamo in giardino... giocheremo con la palla nuova e la mamma farà il tifo per noi>>. Mentre tutta la famiglia usciva felice per giocare insieme, cominciò a nevicare anche là dove abitava il bambino che, da quel giorno, non si sentì più solo e triste.
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Inviata - 07 December 2008 : 00:07:28 La piccola fiammiferaia
Hans Christian Andersen
Faceva molto freddo, nevicava e calava la sera – l’ultima sera dell’anno, per l’appunto, la sera di San Silvestro. Nel freddo e l'oscurità, una povera bimbetta girava per le strade, a capo scoperto, a piedi nudi. Veramente, quand’era uscita di casa, aveva certe babbucce; ma a che le erano servite? Erano molto grandi, prima erano appartenute a sua madre, e così larghe e sgangherate, che la bimba le aveva perdute, traversando in fretta la via, per scansare due carrozze, che s’incrociavano con tanta furia… Una non s’era più trovata, e l’altra se l’era presa un monello, dicendo che ne avrebbe fatto una culla per il suo primo figliuolo.
E così la bambina camminava coi piccoli piedi nudi, fatti rossi e turchini dal freddo: aveva nel vecchio grembiule una quantità di fiammiferi, e ne teneva in mano un pacchetto. In tutta la giornata non era riuscita a venderne nemmeno uno; nessuno le aveva dato un soldo; aveva tanta fame, tanto freddo, e un visetto patito e sgomento, povera creaturina…. I fiocchi di neve le cadevano sui lunghi capelli biondi, sparsi in bei riccioli sul collo; ma essa non pensava davvero ai riccioli! Tutte le finestre scintillavano di lumi; per le strade si spandeva un buon odirino d’arrosto; era la vigilia del capo d’anno : a questo ella pensava.
Nell’angolo formato da due case, di cui una sporgeva innanzi sulla strada, sedette, abbandonandosi, rannicchiandosi tutta, tirandosi sotto le povere gambe. Il freddo la prendeva sempre più ma la bimba non osava ritornare a casa: riportava tutti i fiammiferi e nemmeno un soldino. Il babbo l’avrebbe certo picchiata; e del resto, forse, non faceva freddo anche a casa ? Abitavano proprio sotto il tetto, ed il vento ci soffiava tagliente, sebbene le fessure più larghe fossero turate, alla meglio, con paglia e stracci. Le sue manine erano quasi morte dal freddo. Ah, quanto bene le avrebbe fatto un piccolo fiammifero! Se si arrischiasse a cavarne uno dallo scatolino, ed a strofinarlo sul muro per riscaldarsi le dita… Ne cavò uno, e trracc ! Come scoppiettò, come bruciò! Mandò una fiamma calda e chiara come una piccola candela, quando ella la parò con la manina. Che strana luce! Pareva alla piccina d’essere seduta dinanzi ad una grande stufa di ferrro, con le borchie e il coperchio di ottone lucido: il fuoco ardeva così allegramente, e riscaldava così bene!… La piccina allungava giù le gambe, per riscaldare anche quelle… ma la fiamma si spense, la stufa scomparve , ed ella si ritrovò là seduta, con un pezzettino di fiammifero bruciato tra le mani.
Ne accese un altro: anche questo bruciò, rischiarò, e il muro, nel punto in cui batteva la luce, divenne trasparente come un velo. La bimba vide proprio dentro nella stanza, dove la tavola era apparecchiata con una bella tovaglia, d’una bianchezza abbagliante e con finissime porcellane; nel mezzo della tavola, l’oca arrostita fumava, tutta ripiena di mele cotte e di prugne. Il più bello poi fu che l’oca stessa balzò fuori dal piatto, e , col trinciante ed il forchettone oiantati nel dorso, si diede ad arrancare per la stanza, dirigendosi proprio verso la povera bambina… Ma il fiammifero si spense, e non vide più che il muro opaco e freddo.
La piccolina accese un terzo fiammifero. E si trovò sotto ad un magnifico albero, ancora più grande e meglio ornato di quello che aveva veduto, attaverso i vetri dell’uscio, nella casa del ricco negoziante, la sera di Natale. Migliaia di lumi scintillavano tra i verdi rami, e certe figure colorate, come quelle che si vedono esposte nelle vetrine dei negozi, guardavano la piccina. Ella tese le mani… e il fiammifero si spense. I lumicini di Natale volarono su in alto, sempre più in alto: ed ella si avvide allora ch’erano stelle lucenti. Una stella cadde, e segnò una lunga striscia di luce sul fondo del cielo.
- Qualcuno muore! – disse la piccola, perché la sua vecchia nonna (l’unica persona al mondo che l’avesse trattata amorevolmente – ma che purtroppo era morta), la sua vecchia nonna le aveva detto: - Quando una stella cade, un’anima sale in paradiso.
Strofinò contro il muro un altro fiammifero, che mandò un grande chiarore tutto intorno ed in quel chiarore la vecchia nonna apparve, tutta raggiante, e mite, e buona… - Oh, nonna! – gridò la piccolina: - Prendimi con te! So che tu sparisci, appena la fiammella si spegne, come sono spariti la bella stufa calda, l’arrosto fumante, ed il grande albero di Natale! –
Presto presto, accese tutti insieme i fiammiferi che ancora rimanevano nella scatolina: voleva trattenere la nonna. I fiammiferi diedero tanta luce che nemmeno di pieno giorno è così chiaro: la nonna non era mai stata così bella, così grande… Ella prese la bambina tra le sue braccia, ed insieme volarono su, verso lo Splendore e la Gioia, su, in alto, dove non c’è più fame, nè freddo, né angustia, - e giunsero presso Dio.
Ma nell’angolo tra le due case, allo spuntare della fredda alba, fu veduta la piccina, con le gotine rosse ed il sorriso sulle labbra, morta assiderata nell’ultima notte del vecchio anno. La prima alba dell’anno nuovo passò sopra il piccolo corpo, disteso là, con le scatole dei fiammiferi, di cui una era quasi tutta bruciata.
Ha cercato di scaldarsi… - dissero.
Ma nessuno seppe tutte le belle cose che la bimba aveva visto; nessuno seppe tra quanta luce era entrata, con la vecchia nonna, nella gioia dell'alba del Nuovo Anno.
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Inviata - 07 December 2008 : 00:01:40 Il piccolo Albero di Natale
di Giulio Gavino
C’era una volta un piccolo albero di Natale che, quando parlava con mamma albero di Natale e papà albero di Natale, non vedeva l’ora di poter mettersi addosso le palline colorate, i festoni argentati e le lampadine. Sognava ogni notte il suo momento, entrare nel salotto buono, gustarsi i sorrisi gli auguri in famiglia, lasciarsi sfuggire una lacrima di resina dalla contentezza.
E venne finalmente il giorno del piccolo albero di Natale. Venne scelto quasi per caso tra tanti amici alberi di Natale anche loro. Pensava: "Adesso è venuto il mio momento, adesso sono diventato grande". Il viaggio fu lungo, incappucciato di stoffa bagnata per non perdere il verde luminoso dei rami ancora giovani. Tornata la luce, il piccolo albero di Natale si trovò nella casa di una famiglia povera. Niente palline, niente festoni, solo il suo verde scintillante faceva la felicità dei bambini che lo stavano a guardare con gli occhi all’insù, affascinati. Era il loro primo albero di Natale. Subito fu deluso, sperava di poter dominare una sala ricca di regali e di addobbi eleganti.
Ma passarono i giorni e si abituò a quella casa povera ma ricca di amore. Nessuno aveva l’ardire di toccarlo. Venne la sera di natale e furono pochi i regali ai suoi piedi ma tanti i sorrisi di gioia dei bambini che per giorni erano rimasti a guardarli sotto il suo sguardo severo per cercare di indovinare che cosa ci fosse dentro. Venne il pranzo di Natale, niente di speciale. Venne Capodanno, con un brindisi discreto, ma auguri sinceri. E venne anche l’Epifania e il momento di andare via. Questa volta non lo incappucciarono. Lo tolsero dal vaso, gli bagnarono le radici e tutta la famiglia lo accompagnò verso il bosco. Era felice di ritornare con mamma albero di Natale e papà albero di Natale. Passando per la strada vide tanti suoi amici, ancora con le palline colorate e i fili d’oro e d’argento, che lo salutavano. Ma c’era qualcosa di strano, erano tutti nei cassonetti della spazzatura, ricchi e sventurati, piangevano anche loro resina, ma non per la contentezza. Chissà dove sarebbero finiti!
Ora il piccolo albero di Natale è diventato un abete grande e possente, ha visto tanti figli andare in vacanza per le feste. Qualcuno è ritornato, sano o con un ramo spezzato. Lui guarda da lontano la città dove i bambini del suo Natale lo hanno amato e rispettato. Perché è un albero di Natale, albero di Natale tutto l’anno, perché Natale non vuol dire essere buoni e bravi solo il 25 dicembre, perché Natale può essere ogni giorno. Basta volerlo come quel piccolo albero di Natale che ci tiene compagnia sulla montagna, anche se lontano, anche se non lo vediamo.
E c’era una volta e c’è ancora oggi, un albero di Natale. Sempre diverso e sempre uguale, quasi un caro amico di famiglia che si presenta ogni anno per le vacanze, le sue vacanze, da Santa Lucia all’Epifania. Grande, piccolo, verde o dorato, testimone di ogni Natale, un amico con il quale aspettare l’apertura dei regali e l’occasione buona per scambiarsi gli auguri, per fare la pace, per dirsi anche una parola d’amore. E tutti vogliamo bene all’albero di Natale, ogni anno disposti ad arricchire il suo abbigliamento con nuove palline colorate, un puntale illuminato e addobbi d’oro e d’argento. È cresciuto con noi, cambiato ogni anno, sempre più bello agli occhi di chi guarda, occhi di bambino, ma anche occhi di adulto che vuole tornare bambino. Per quei giorni di festa è lui a fare la guardia al focolare, a salutare quando si rientra a casa, a tenere compagnia a chi è solo. Una presenza che conforta, non solo nell’anima. È meglio se l’albero è di quelli con le radici, pronto a dismettere l’albero della festa e a compiere il suo dovere in mezzo ai boschi, a diventare grande, libero e felice.
"La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare." |
tessa47 |
Inviata - 30 November 2008 : 19:18:40 La figlia piccola di un pastore era intenta ad accudire il gregge del padre in un pascolo vicino Betlemme, quando vide degli altri pastori che camminavano speditamente verso la città. Si avvicinò e chiese loro dove andavano. I pastori risposero che quella notte era nato il bambino Gesù e che stavano andando a rendergli omaggio portandogli dei doni. La bambina avrebbe tanto voluto andare con i pastori per vedere il Bambino Gesù, ma non aveva niente da portare come regalo. I pastori andarono via e lei rimase da sola e triste, così triste che cadde in ginocchio piangendo. Le sue lacrime cadevano nella neve e la bimba non sapeva che un angelo aveva assistito alla sua disperazione. Quando abbassò gli occhi si accorse che le sue lacrime erano diventate delle bellissime rose di un colore rosa pallido. Felice, si alzò, le raccolse e partì subito verso la città. Regalò il mazzo di rose a Maria come dono per il figlio appena nato. Da allora, ogni anno nel mese di dicembre fiorisce questo tipo di rosa per ricordare al mondo intero del semplice regalo fatto con amore dalla giovane figlia del pastore.
Domani è un altro giorno...
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