La madre
Lei certo l'alba che affretta rosea
al campo ancora grigio gli agricoli mirava scalza co 'l piè ratto passar tra i roridi odor del fieno. Curva su i biondi solchi i larghi omeri udivan gli olmi bianchi di polvere lei stornellante su 'l meriggio sfidar le rauche cicale a i poggi. E quando alzava da l'opra il turgido petto e la bruna faccia ed i riccioli fulvi, i tuoi vespri, o Toscana, coloraro ignei le balde forme. Or forte madre palleggia il pargolo forte; da i nudi seni già sazio palleggialo alto, e ciancia dolce con lui che a' lucidi occhi materni intende gli occhi fissi ed il piccolo corpo tremante d'inquïetudine e le cercanti dita: ride la madre e slanciasi tutta amore. A lei d'intorno ride il domestico lavor, le biade tremule accennano dal colle verde, il büe mugghia, su l'aia il florido gallo canta. Natura a i forti che per lei spregiano le care a i vulghi larve di gloria cosí di sante visïoni conforta l'anime, o Adrïano: onde tu al marmo, severo artefice, consegni un'alta speme de i secoli. Quando il lavoro sarà lieto? quando securo sarà l'amore? quando una forte plebe di liberi dirà guardando nel sole - Illumina non ozi e guerre a i tiranni, ma la giustizia pia del lavoro -? |